Maria Stuarda

 

Friedrich Schiller, Maria Stuarda

regia di Davide Livermore

Torino, Teatro Carignano, 25 gennaio 2023

Scambio di regine

Due donne, due cugine, due casate, due destini diversi: una sul trono, l’altra al patibolo. Chi decide queste sorti così diverse? Il caso, una piuma che cade.

Con questa immagine inizia lo spettacolo con cui Davide Livermore torna a Torino in un grande teatro – l’ultima volta era stata al Regio per I vespri siciliani  delle celebrazioni del centocinquantenario dell’Unità d’Italia, dodici anni fa – con Maria Stuart di Friedrich Schiller. Le attrici che interpretano le parti delle due donne hanno preparato entrambi i ruoli e fino all’ultimo non sanno chi vestirà i panni della scozzese Maria e chi quelli dell’altera Elisabetta: la candida piuma dell’angelo del destino questa sera sceglie Laura Marinoni come la Stuart ed Elisabetta Pozzi come la Tudor e le due attrici hanno solo pochi istanti per entrare nei rispettivi personaggi. Questo è solo uno dei momenti più pregnanti di uno spettacolo che a Genova aveva affascinato il pubblico l’anno scorso e che ora si presenta al giudizio degli spettatori del Teatro Carignano, che ne risultano altrettanto soggiogati.

Maria Stuart è del 1801 e si inserisce nella sterminata serie di opere dedicate alla figura della sventurata regina: da Campanella (1598, appena undici anni dopo i fatti storici) alla Reina di Scotia del Ruggeri (1602), dalla Corona trágica, vida e muerte de la Serenisima Reina de Escocia di Lope de Vega (1627) a The Island Queen di John Banks (1684), dalla Maria Stuarda dell’Alfieri (1778) a quella del Lebrun (1820), da Juliusz Słowacki (1832) a Swinburne (1881), per citare solo le maggiori.

Il primo dei cinque atti del dramma di Schiller è incentrato sulla figura della regina cattolica prigioniera nel castello di Fotheringay; il secondo, nel palazzo di Wesminster, è dominato dalla regina protestante; nel terzo c’è il fatale incontro fra le due donne, con la vittoria morale di Maria su Elisabetta e contemporaneamente la sua definitva condanna quando allo scherno della regina d’Inghilterra risponde col rinfacciarle la macchia della sua nascita; nell’atto quarto si scopre il complotto ideato da Mortimer e nel quinto si svolge la straziante morte della Stuart.

Con l’accurata traduzione di Carlo Sciaccaluga, lo spettacolo di Livermore dura tre ore compreso un intervallo, ma il ritmo impresso dai dialoghi e dall’avvicendarsi delle scene tiene lo spettatore avvitato alla poltrona e con il fiato sospeso. La qualità attoriale non è solo delle due attrici principali, ma è dimostrata anche da tutti gli altri cinque interpreti, impegnati in più ruoli anche di generi diversi: ecco quindi Gaia Aprea come Anna Kennedy la nutrice di Maria, ma anche come il vecchio Gerge Talbot conte di Shrewsbury e come un Ufficiale; Linda Gennari come Mortimer, Angelo del destino e un Paggio; Giancarlo Judica Cordiglia come Cecil barone di Burleigh e Melvil il maggiordomo di Maria; Olivia Manescalchi è il cavaliere Paulet, l’ambasciatore di Francia conte di Aubespine e il segretario di stato William Davison; Sax Nicosia è Robert Dudley conte di Leicester. Un sesto personaggio è quello della chitarra, e voce, di Giuia che con i suoi riff al basso elettrico e le sue nostalgiche ballate inglesi da lei rivisitate – e c’è anche l’addio della Didone di Purcell – trasforma il dramma di Schiller in un’opera pop che Livermore riveste di immagini sontuosamente barocche ma contemporanee. L’allestimento scenico di Lorenzo Russo Rainaldi costruisce un ambiente a più piani con passerelle praticabili a cui le luci di Aldo Mantovani danno profondità. Dei costumi di Dolce & Gabbana per la Marinoni e la Pozzi si può solo immaginare l’opulenza che si riflette in quella degli altri personaggi disegnati da Anna Missaglia. Il sound avvolgente e la direzione musicale si devono a Mario Conte.

Alla fine si esce col desiderio di rivedere lo spettacolo con le attrici nei ruoli scambiati, ma bisognerebbe ritornare ogni sera e sperare che la piuma cada dalla parte giusta. Geniale crudeltà del regista.

Pubblicità