Das Floß der Medusa

Théodore Géricault, Le radeau de la Méduse, 1819

Hans Werner Henze, Das Floß der Medusa (La zattera della Medusa)

★★★★☆

Amsterdam, het Muziektheater, 13 marzo 2018

(live streaming)

«Or discendiam qua giù nel cieco mondo»

Scritto in memoria di Che Guevara che era stato assassinato pochi mesi prima, l’“oratorio volgare e militare” di Henze Das Floß der Medusa (La zattera della Medusa) vide la prima esecuzione alla radio di Amburgo il 9 dicembre 1968 con le voci di Edda Moser e Dietrich Fischer-Dieskau, mentre una versione scenica si ebbe nel 1972 a Norimberga con la regia di Wolfgang Weber. Il compositore rivide la partitura nel 1990.

Ernst Schnabel è l’autore del testo, basato su un fatto realmente accaduto: nel 1816 sulle coste dell’Africa avviene il naufragio della fregata “Medusa”. Su una zattera alla deriva nel mare aperto ci sono 154 naufraghi. Abbandonati al loro destino sono uomini del terzo mondo, vittime della disumanità ed egoismo di chi appartiene al mondo dei ricchi e dei potenti che si sono salvati sulle scialuppe. Tra i pochi sopravvissuti c’è il mulatto Jean-Charles, la figura che scruta l’orizzonte sventolando uno straccio rosso nella drammatica tela di Géricault ora al Louvre, il quadro le cui dimensioni e soggetto avevano destato scandalo fra gli stessi colleghi pittori e che era diventato un casi politico per la sua forza di denuncia. Gli echi della tragedia erano filtrati attraverso la cortina di omertà ufficiale e avevano suscitato in Francia e in Europa un’ondata di sdegno che arroventò vieppiù la febbre rivoluzionaria del tempo.

Il lavoro di Henze consiste nella lettura cantata del diario di bordo. La scena è divisa in due parti, di cui una è destinata ai vivi, l’altra ai morti. Caronte, voce recitante con sottofondo di percussioni, fa da intermediario tra i due mondi, che sono separati l’uno dall’altro anche nella scelta degli strumenti: ai vivi sono associati gli strumenti del respiro (i fiati), mentre i morti, che al momento di entrare nel nuovo regno intonano l’italiano antico della Commedia dantesca, sono accompagnati solo dagli archi. La Morte, soprano, ammalia con i suoi vocalizzi.

Ecco la struttura del lavoro: I parte: L’imbarco per il naufragio; Prologo di Caronte; Motto; Comando e ruoli dell’equipaggio; Giornale di bordo; Una risposta; Tentativi di salvataggio; L’abbandono della nave; Ballata del tradimento; Canto per voci nuove; Ordini per il secondo giorno; II parte: La nona notte ed il mattino; Verifica della situazione; Motto; Appello sotto la luna; I conti con la morte; La ballata dell’uomo sulla zattera; Fuga dei sopravvissuti e annuncio del salvataggio; Finale.

L’oratorio fu presentato nel settembre 1986 al Teatro Nuovo di Torino per Settembre Musica, quell’anno centrato sul compositore tedesco a cui venne dedicato un volume monografico curato da Enzo Restagno.

Cinquant’anni dopo la sua creazione l’oratorio acquista una tragica contemporaneaità nella messa in scena di Romeo Castellucci per la Nationale Opera di Amsterdam. Il parallelo con i migranti che ogni giorno rischiano la vita nel Mediterraneo trova nei mezzi visivi di questo spettacolo – una commistione di opera, teatro e video – una grande evidenza, ma iconograficamente importante è anche la raffigurazione del quadro di Géricault, richiamato nello stesso prologo. Nell’allestimento di Castellucci il mare, «paradigma metaforico dello spirito umano», è costantemente presente nel video proiettato sulla tela che separa il pubblico e Caronte dal coro e dai cantanti. Nel video vediamo un giovane, il campione di nuoto senegalese Mamadou Ndiaye, attraversare una via di una città dell’Africa per raggiungere il mare e qui lasciarsi trascinare dalle onde fino a essere – forse – salvato. Il sipario che conclude lo spettacolo è fatto del tessuto dorato con cui si proteggono dal freddo gli scampati dalle onde.

C’è poi il personaggio della Morte «come spuntato fuori da un’allegoria medievale, che punta l’obiettivo contro di me, contro di te, spettatore. È una critica muta ma in grado di metterti a nudo». La Morte in impermeabile giallo e macchina da presa inquadra la sala del teatro che però risulta vuota: «qui non c’è più nessuno slogan da poter gridare. Anche gli slogan si sono consumati. È stato detto tutto, anche le ideologie si consumano. Non c’è più una bandiera rossa che legittimi un grido, piuttosto il silenzio siderale dell’occhio che mostra una sala deserta. Di fronte alla responsabilità dello sguardo ci siamo dileguati. Questa storia allora parla del nostro rapporto con lo sguardo, il nostro personale naufragio come spettatori. Oggi non ci sono più le classi sociali di Henze, ma fa il suo ingresso la “classe dello spettatore”, uno spettatore 24 ore al giorno. Uno spettatore assuefatto al dolore degli altri». (Romeo Castellucci)

Agli spettrali vocalismi della Morte espressi con facilità dal soprano Lenneke Ruiten, risponde il racconto affannato di Jean-Charles, il baritono Bo Skovhus, mentre Dale Duesing interpreta Caronte, narratore dai tratti brechtiani. Tutti e tre si dimostrano eccellenti interpreti. L’enorme massa orchestrale e gli imponenti cori sono diretti con drammatica evidenza da Ingo Metzmacher che fa dell’aspetto musicale la parte più convincente di questa proposta.

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