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Francesco Filidei, L’inondation
★★★★☆
Parigi, Opéra Comique, 3 ottobre 2019
(registrazione video)
Rumori e silenzi nel condominio
Conosciuto in occidente soprattutto per il romanzo Noi, che precedette nella sua visione distopica Brave New World di Huxley e 1984 di Orwell, Evgenij Zamjatin (1884-1937) è autore anche de L’inondazione (1929), un lungo racconto su cui si basa il libretto scritto a quattro mani da Joël Pommerat e Francesco Filidei. Il secondo è il compositore al quale è stato commissionato il lavoro mentre il primo l’ha allestito all’Opéra Comique. Il teatro ha messo a disposizione per due anni, tanto è durato il processo di gestazione del lavoro, tutto il necessario: spazi, cantanti, musicisti. Un bell’esempio di generosità da parte di un teatro verso la creazione di un’opera contemporanea.
Costituito da sedici scene suddivise in due atti, L’inondation ha una particolare orchestrazione: 11 legni, 7 ottoni, una fisarmonica, archi e un assortito insieme percussioni e oggetti sonori: bicchieri, carta vetrata, pluriball, squeaker, macchina per riprodurre il suono di un taser, fischietti, ciottoli, pompa da bicicletta, richiami d’uccelli… «L’orchestra sostiene il macrocosmo degli elementi, il quartiere, l’edificio, ma anche i suoi effetti e i suoi echi nella vita interiore dei personaggi», dice il compositore, «e ha una forma abbastanza classica, con una grande sezione di percussioni, cosa usuale per me, con cinque percussionisti, due dei quali sono collocati nei palchi di barcaccia. […] Tutti i suoni sono naturali. Mi interessano i suoni concreti: sentiamo le mosche, il vento, l’acqua che sale, ma anche le scale al pianoforte del vicino – e da una scena all’altra, sentiamo che l’allievo è migliorato. Ciò contribuisce al realismo e alla teatralità pur rimanendo una creazione musicale. L’universo sonoro dei protagonisti viene tradotto in musica, tranne quando la donna scopre di essere tradita. Qui la musica quasi scompare e lascia spazio ai rumori che risuonano in un silenzio spietato. Allo stesso modo, non ha più senso il canto, che lascia il posto alla parola. Infine, volevo creare una forma di capsula del tempo, come l’arredamento, ripristinando le caratteristiche del suono degli anni ’50, quello dei dischi di vinile». Rumori, suoni leggeri e soprattutto silenzi accompagnano una vocalità sobria simile al declamato del Pelléas et Mélisande di Debussy e tendente al parlato. Il testo, spesso molto prosaico, risulta in ogni momento quindi perfettamente intelligibile.
C’era una volta una donna, che amava un uomo, amata da lui, ma senza figli. Nel loro piccolo appartamento vicino al fiume, la vita sembra essere al minimo, come le macchine della fabbrica accanto, silenziosa, immobile, colpita dai venti autunnali e dal trambusto dei vicini circostanti. Una notte di pioggia, la ragazza all’ultimo piano, il cui padre è appena morto, viene portata a casa loro. L’uomo e la donna decidono di adottarla. La vita ricomincia. Arriva la primavera, si stringono i legami tra l’uomo e la ragazza. La donna rimane indietro, abbandonata, muta di fronte a questa intimità rivale. Un’alluvione devasta il loro appartamento. Ospitato per alcune settimane dalla famiglia al secondo piano, ognuno trova il proprio posto. Di notte, l’uomo e la donna si riuniscono di nuovo, su un divano nel soggiorno, mentre la ragazza condivide la stanza dei bambini. Il giorno in cui ritornano nel loro appartamento, la ragazza scompare. Tre mesi dopo, la donna scopre di essere incinta. L’indagine per la scomparsa viene chiusa, la vita riprende, nonostante i brutti sogni e la tempesta interiore della donna. Nasce una bambina. L’uomo e la donna sono felici. Ma la vita non è una favola. Ossessionata dal ricordo della ragazza, la donna sprofonda in un delirio febbrile e finalmente prende la parola e confessa il crimine mettendo così a tacere il suo senso di colpa.
La freddezza e la mancanza di sentimenti con cui Sofia, la donna, uccide la ragazza si riflette nella scrittura musicale che solo alla fine diventa emotiva e drammatica e marca la parte più convincente di un lavoro che fino ad allora era vissuto su una tensione latente e inespressa. Nello spettacolo la scena del delitto è la prima a essere rappresentata durante il preludio orchestrale, così che buona parte della vicenda è vista come un lungo flashback, quasi cinematografico. Il dimesso realismo dell’ambientazione e dei personaggi contrasta con la presenza di un narratore che dà il tono di favola a una storia di cronaca tragica, un narratore che interpreta anche il poliziotto incaricato delle indagini sulla sparizione della ragazza. Due sono invece le interpreti per uno stesso personaggio, poiché una cantante dà voce alla ragazzina: il compositore riteneva essenziale mantenere l’età del personaggio, quattordicenne. Questo sdoppiamento ha permesso intriganti soluzioni sceniche.
Quarto impegno di regia lirica per Joël Pommerat, dopo Thanks to My Eyes, Au monde e il Pinocchio di Boesmans, il tempo a disposizione gli ha permesso una proficua collaborazione con il compositore e il risultato è una messinscena molto curata e fedele alle intenzioni musicali. La scenografia di Éric Soyer, che cura anche la complessa luminotecnica, è uno spaccato di condominio su tre piani che permette di vedere la circolazione, le interazioni e le solitudini dei vari personaggi. Ogni appartamento è altresì la fotografia di uan situazione famigliare o sociale: al primo piano i coniugi altruisti con tre figli che ospitano la coppia di sotto quando il loro appartamento viene allagato dalla piena del fiume, all’ultimo piano i due locali del narratore e del padre che muore. Per il finale tutto si ritrae per lasciare posto a un’unica grande stanza di ospedale.
Sotto la guida attenta di Emilio Pomàrico sono l’Orchestre Philharmonique de Radio France e gli efficaci interpreti: il soprano Chloé Briot è la moglie introversa, il baritono Boris Grappe il marito distratto, Norma Nahoun la voce della ragazzina, il controtenore Guilhem Terrail quella del narratore/Poliziotto e Vincent Le Texier il dottore delle ultime scene.
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