Evgenij Zamjatin

Il naso

Dmitrij Šostakovič, Il naso

★★★★☆

Monaco di Baviera, Nationaltheater, 30 ottobre 2021

(diretta streaming)

La polizia di Putin e lo strano caso di chi ha un solo naso

Il prestigioso teatro bavarese apre la sua stagione con un titolo coraggioso in una produzione di dirompente attualità. Il regista Kirill Serebrennikov deve curare la regia dello spettacolo da remoto, come era successo col suo Così fan tutte (Zurigo, 2018) e il recente Parsifal (Vienna, 2021). Non era potuto presenziare neppure alla proiezione del suo ultimo film (Petrovy v grippe) al Festival del cinema di Cannes poiché le autorità russe non gli permettono di uscire dal paese fino a giugno 2023, conseguenza di una condanna per supposta malversazione che molte associazioni per i diritti vedono come «un modo sottilmente velato per vendicarsi di Serebrennikov a causa la sua critica politica e per inviare un preciso messaggio agli artisti – che non hanno altra scelta che accettare finanziamenti statali per sopravvivere – di astenersi dalla critica politica», dichiara lo Human Rights Watch, facendo notare in particolare il sostegno pubblico del regista per le tematiche LGBTQ e le sue critiche alla Chiesa ortodossa russa e alla censura statale.

Nella sua messa in scena il rapporto fra normale ed eccezionale è capovolto: Kovalëv è l’unico ad avere un solo naso, mentre tutti gli altri ne quattro o cinque o più, pertanto è lui quello anormale! L’incubo kafkiano dell’Assessore Collegiale che vede il proprio naso passeggiare per San Pietroburgo come Consigliere di Stato, riceve nel trattamento orchestrale di Šostakovič una carica eversiva che scandalizzò i suoi contemporanei. E lo farebbe anche questa nuova produzione, se fosse vista in patria.

L’ex direttore artistico del Centro Gogol’, complesso multimediale d’avanguardia di Mosca, affronta l’amaro apologo di Nikolaj Vasil’evič Gogol’ con la convinzione che «per comprendere la realtà della Russia contemporanea è importante immergersi nell’universo gogoliano, in questo cosmo assurdo e paradossale. Secondo me Il naso riguarda un grosso problema d’identità. Il naso e La metamorfosi di Kafka hanno fondamentalmente lo stesso inizio: “Quando Gregor Samsa si svegliò si trovò trasformato in un mostruoso parassita”, si legge in Kafka, e l’inizio di Gogol’ potrebbe essere parafrasato “Quando Kovalëv si svegliò una mattina si ritrovò senza naso”. Tutti hanno un naso, ma Kovalëv non ne ha uno. Il naso rappresenta una caratteristica principale, con cui la società identifica le persone. Una persona a cui manca tale caratteristica perde la sua identità, il suo carisma, la sua aura». Senza il passaporto (confiscatogli dalle autorità russe), anche Serebrennikov ha perso il suo naso, e quindi la sua identità.

Nella sua regia l’inverno è uno dei personaggi principali: i video che vengono proiettati si legano con continuità con quanto vediamo in scena e mostrano la Russia di oggi nella morsa del freddo, e della polizia. Minacciosi veicoli sgomberano mucchi di neve sporca mentre la polizia sistema con movenze coreografiche griglie di sbarramento e agita i manganelli. In mezzo barcollano Babbi Natale ubriachi e manifestanti sparsi. Se Il naso di Barrie Kosky era l’epitome del grottesco, qui il tema dominante è il gelo, metafora della democrazia congelata: nella stazione di polizia che entra in scena su ruote i poliziotti arrestano gli oppositori e tagliano loro il naso e dalla Neva ghiacciata vengono pescati pezzi di cadaveri. Anche molta parte della popolazione indossa le uniformi della polizia, è una massa disinformata, disillusa, incitata contro i dissidenti. Ma attenzione: il termine Polizei in tedesco sulle divise non è traslitterato in cirillico. Non è che anche qui “all’ovest” dobbiamo stare attenti a difendere la nostra democrazia, sembra suggerire il regista russo.

Nel confronto con questa cupa scenografia, la musica di Šostakovič brilla ancora di più. Vladimir Jurovskij, che ha voluto questo lavoro mai eseguito a Monaco per debuttare come Direttore Musicale Generale della Bayerische Staatsoper, coordina con precisione una partitura gioiosamente scatenata, sfacciata e piena di invenzioni sonore sorprendenti: assoli di controfagotto, ensemble di tamburi insidiosi, incastri deraglianti, musica da circo e corali ortodossi. Boris Pinkhasovič eccelle come Kovalëv, Sergej Leiferkus (Ivan), Doris Soffel (una vecchia signora), Laura Aikin (Osipovna), Bálint Szabó (un cocchiere) ed Eliza Boom (una commerciante) spiccano nello sterminato ensemble.

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Il naso

Dmitrij Šostakovič, Il naso

★★★★☆

Lione, Opera Nouvel, 8 ottobre 2011

(registrazione video)

«Un elettrizzante tour de force di acrobazie vocali, colori strumentali selvaggi e assurdità teatrali» (1)

Quando nel 1929 fu eseguito in concerto contro la volontà dell’autore, Šostakovič scrisse «Il Naso perde ogni significato se viene visto solo come una composizione musicale, perché la musica scaturisce solo dall’azione… È chiaro per me che un’esecuzione in forma di concerto de Il Naso lo distruggerà». L’opera terminata nel 1928 vedrà la messa in scena il 18 gennaio 1930 a San Pietroburgo (la città da sei anni rinominata Leningrado) e le sedici repliche furono le ultime in Unione Sovietica fino al 1974 quando fu eseguito da Gennadij Roždestvenskij a Mosca in un’edizione che arriverà in Italia nel gennaio 1979 ma sarà ripresa fino al 2006.

Se è l’aspetto visivo quello che premeva al suo autore, questa produzione di Lione che arriva dal festival di Aix-en-Provence, ma che è nata al MET, non l’avrebbe deluso: William Kentridge per la regia e i video, per le scenografie aiutato da Sabien Theunissen, i costumi di Greta Goiris formano uno spettacolo di grande impatto visuale nei vari stili delle avanguardie russe del ventennio (futurismo, suprematismo, costruttivismo..), cinema, giochi di ombre, immagini d’archivio e un grande naso di cartapesta. Più che una messa in scena quella di Kentridge è una messa in immagini che mescola vari mezzi e comprende piccoli interni tipo casa di bambola che danno il tocco realistico (la lurida bottega del barbiere, la camera da letto di Kovaliov con l’armadio in cui vive il servo), mentre il tocco surreale è quello della redazione del giornale formata da ripiani di fogli su cui sono appollaiati gli impiegati.

In un’opera come questa, in cui i dialoghi hanno un’importanza capitale – nella scena delle lettere è richiesta una completa padronanza del russo – la presenza di interpreti nella lingua del libretto è essenziale e qui lo sono tutti. Già nell’edizione del 2005 Vladimir Samsonov incarnava l’eroe indolente di questa surreale vicenda e qui ritorna con al fianco un cast di provata efficacia. A capo dell’orchestra del teatro Kazushi Ono dipana con maestria questa parodistica partitura dai mille colori.

(1) Dalle note di Gerard McBurney per Boosey & Hawkes

L’inondation

Francesco Filidei, L’inondation

★★★★☆

Parigi, Opéra Comique, 3 ottobre 2019

(registrazione video)

Rumori e silenzi nel condominio

Conosciuto in occidente soprattutto per il romanzo Noi, che precedette nella sua visione distopica Brave New World di Huxley e 1984 di Orwell, Evgenij Zamjatin (1884-1937) è autore anche de L’inondazione (1929), un lungo racconto su cui si basa il libretto scritto a quattro mani da Joël Pommerat e Francesco Filidei. Il secondo è il compositore al quale è stato commissionato il lavoro mentre il primo l’ha allestito all’Opéra Comique. Il teatro ha messo a disposizione per due anni, tanto è durato il processo di gestazione del lavoro, tutto il necessario: spazi, cantanti, musicisti. Un bell’esempio di generosità da parte di un teatro verso la creazione di un’opera contemporanea.

Costituito da sedici scene suddivise in due atti, L’inondation ha una particolare orchestrazione: 11 legni, 7 ottoni, una fisarmonica, archi e un assortito insieme percussioni e oggetti sonori: bicchieri, carta vetrata, pluriball, squeaker, macchina per riprodurre il suono di un taser, fischietti, ciottoli, pompa da bicicletta, richiami d’uccelli… «L’orchestra sostiene il macrocosmo degli elementi, il quartiere, l’edificio, ma anche i suoi effetti e i suoi echi nella vita interiore dei personaggi», dice il compositore, «e ha una forma abbastanza classica, con una grande sezione di percussioni, cosa usuale per me, con cinque percussionisti, due dei quali sono collocati nei palchi di barcaccia. […] Tutti i suoni sono naturali. Mi interessano i suoni concreti: sentiamo le mosche, il vento, l’acqua che sale, ma anche le scale al pianoforte del vicino – e da una scena all’altra, sentiamo che l’allievo è migliorato. Ciò contribuisce al realismo e alla teatralità pur rimanendo una creazione musicale. L’universo sonoro dei protagonisti viene tradotto in musica, tranne quando la donna scopre di essere tradita. Qui la musica quasi scompare e lascia spazio ai rumori che risuonano in un silenzio spietato. Allo stesso modo, non ha più senso il canto, che lascia il posto alla parola. Infine, volevo creare una forma di capsula del tempo, come l’arredamento, ripristinando le caratteristiche del suono degli anni ’50, quello dei dischi di vinile». Rumori, suoni leggeri e soprattutto silenzi accompagnano una vocalità sobria simile al declamato del Pelléas et Mélisande di Debussy e tendente al parlato. Il testo, spesso molto prosaico, risulta in ogni momento quindi perfettamente intelligibile.

C’era una volta una donna, che amava un uomo, amata da lui, ma senza figli. Nel loro piccolo appartamento vicino al fiume, la vita sembra essere al minimo, come le macchine della fabbrica accanto, silenziosa, immobile, colpita dai venti autunnali e dal trambusto dei vicini circostanti. Una notte di pioggia, la ragazza all’ultimo piano, il cui padre è appena morto, viene portata a casa loro. L’uomo e la donna decidono di adottarla. La vita ricomincia. Arriva la primavera, si stringono i legami tra l’uomo e la ragazza. La donna rimane indietro, abbandonata, muta di fronte a questa intimità rivale. Un’alluvione devasta il loro appartamento. Ospitato per alcune settimane dalla famiglia al secondo piano, ognuno trova il proprio posto. Di notte, l’uomo e la donna si riuniscono di nuovo, su un divano nel soggiorno, mentre la ragazza condivide la stanza dei bambini. Il giorno in cui ritornano nel loro appartamento, la ragazza scompare. Tre mesi dopo, la donna scopre di essere incinta. L’indagine per la scomparsa viene chiusa, la vita riprende, nonostante i brutti sogni e la tempesta interiore della donna. Nasce una bambina. L’uomo e la donna sono felici. Ma la vita non è una favola. Ossessionata dal ricordo della ragazza, la donna sprofonda in un delirio febbrile e finalmente prende la parola e confessa il crimine mettendo così a tacere il suo senso di colpa.

La freddezza e la mancanza di sentimenti con cui Sofia, la donna, uccide la ragazza si riflette nella scrittura musicale che solo alla fine diventa emotiva e drammatica e marca la parte più convincente di un lavoro che fino ad allora era vissuto su una tensione latente e inespressa. Nello spettacolo la scena del delitto è la prima a essere rappresentata durante il preludio orchestrale, così che buona parte della vicenda è vista come un lungo flashback, quasi cinematografico. Il dimesso realismo dell’ambientazione e dei personaggi contrasta con la presenza di un narratore che dà il tono di favola a una storia di cronaca tragica, un narratore che interpreta anche il poliziotto incaricato delle indagini sulla sparizione della ragazza. Due sono invece le interpreti per uno stesso personaggio, poiché una cantante dà voce alla ragazzina: il compositore riteneva essenziale mantenere l’età del personaggio, quattordicenne. Questo sdoppiamento ha permesso intriganti soluzioni sceniche.

Quarto impegno di regia lirica per Joël Pommerat, dopo Thanks to My Eyes, Au monde e il Pinocchio di Boesmans, il tempo a disposizione gli ha permesso una proficua collaborazione con il compositore e il risultato è una messinscena molto curata e fedele alle intenzioni musicali. La scenografia di Éric Soyer, che cura anche la complessa luminotecnica, è uno spaccato di condominio su tre piani che permette di vedere la circolazione, le interazioni e le solitudini dei vari personaggi. Ogni appartamento è altresì la fotografia di uan situazione famigliare o sociale: al primo piano i coniugi altruisti con tre figli che ospitano la coppia di sotto quando il loro appartamento viene allagato dalla piena del fiume, all’ultimo piano i due locali del narratore e del padre che muore. Per il finale tutto si ritrae per lasciare posto a un’unica grande stanza di ospedale.

Sotto la guida attenta di Emilio Pomàrico sono l’Orchestre Philharmonique de Radio France e gli efficaci interpreti: il soprano Chloé Briot è la moglie introversa, il baritono Boris Grappe il marito distratto, Norma Nahoun la voce della ragazzina, il controtenore Guilhem Terrail quella del narratore/Poliziotto e Vincent Le Texier il dottore delle ultime scene.

The Nose

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Dmitrji Šostakovič, The Nose

London, Royal Opera House, 9 November 2016

★★★★★

(live streaming)

bandieraitaliana1.gif   Qui la versione in italiano

Three geniuses meet – two from Russia and one from Australia

Ninety years separate Gogol’s novel Hoc (The Nose, 1836) from the eponymous Shostakovich opera, and another ninety from the the Royal Opera House production in which The Nose is staged for the first time – and in English. A grotesque, surreal, dystopian, farcical nightmare. There are many definitions that fit the revolutionary work of the twenty year old brilliant Russian composer which Barrie Kosky revives in the idiomatic translation by David Pountney. No other operatic performance in recent years has received such rave reviews (1). One for all, the one from Bachtrack whose reviewer has wittily complied with the spirit of the Australian director.

Not long past from Saul‘s success in Glyndebourne, Kosky’s start’s from Shostakovich’s music and his staging is an incoherent cabaret full of irresistibly comic skits and hilarious danced interludes – choreography by Otto Pichler. The director and costume designer Buki Shiff had to solve the nose problem first and foremost: in Kovalev the nose looks missing because all the others characters flaunt a generous prosthesis! There are noses everywhere in this vibrant phantasmagoria: noses kneeling in prayer, noses strolling in the background, noses that emerge from the curtain, remote controlled noses that trot on the scene, noses engaged in a tap number as “dancers” in a row …

The set design is limited to a round platform, a kind of large table with tablecloth that serves as Kovalev’s bed chamber, and a few other props. Everything is focused on the actors/singers, the magnificent costumes, the faces make-up. On stage we see alluring bearded “girls”, mustachioed policemen, women dressed like matryoshka dolls and other characters straight out of a cartoon or a slapstick comedy. Gogol’s bureaucratic satire here becomes a surreal visual game that keeps pace with the anarchist and modernist Russian composer’s music – before being put on line by Stalin.

The overactive score is masterfully rendered by Ingo Metzmacher. Alongside the countless comic effects provided by Shostakovich and virtuoso instrumental solos (such as the surprising interlude for percussion), he knows to highlight the rare moments of lyricism, as well as keep the more than seventy characters well on stage. Of all these, let’s mention Martin Winkler’s clown face and the inexhaustible vitality, a real tour de force in which body, voice and facial expression are all one in the definition of councilor Kovalev’s character. The glorious bass John Tomlinson ironically covers the three roles entrusted to him and the tenor Wolfgang Ablinger-Sperrhacke brings all its humor into Ivan’s character, charlatan and sluggish servant, but with sounding stage entrances.

The last performance was broadcast live by Opera Platform and will still be available for a few months. Do not miss the opportunity to watch one of the best shows of the year.

(1) «A terrifically good nose job», «Jaw dropping», «Another triumph for opera director Barrie Kosky», «Virtuosic staging», «An exuberant, riotous show»…

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The Nose

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Dmitrji Šostakovič, The Nose

Londra, Royal Opera House, 9 novembre 2016

★★★★★

(live streaming)

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L’incontro di tre genii – due russi e uno australiano

Novant’anni separano il racconto di Gogol’ Hoc (Il naso, 1836) dall’opera omonima di Šostakovič, e altri novanta dalla produzione alla Royal Opera House dove The Nose va in scena per la prima volta, e in lingua inglese. Un incubo grottesco, surreale, distopico, farsesco. Molte sono le definizioni che si adattano al rivoluzionario lavoro del compositore russo ventenne che il geniale Barrie Kosky fa rivivere nella idiomatica traduzione di David Pountney. Nessun altro spettacolo lirico degli ultimi anni ha ricevuto giudizi così entusiastici (1). Uno per tutti quello di Bachtrack il cui recensore si è adeguato con arguzia allo spirito del regista australiano.

Reduce dal successo del Saul a Glyndebourne, nella sua chiave di lettura Kosky parte dalla musica dell’opera di Šostakovič e la sua messa in scena è un cabaret sconclusionato e irresistibilmente comico fatto di scenette ed esilaranti siparietti danzati con le coreografie di Otto Pichler. Il regista e la costumista Buki Shiff risolvono prima di tutto il problema del naso che ha lasciato la faccia di Kovalëv: lui ne sembra privo poiché tutti gli altri ne ostentano una generosa protesi! Ci sono nasi dappertutto in questa esuberante fantasmagoria: nasi inginocchiati in preghiera, nasi che passeggiano sullo sfondo, nasi che sbucano dal sipario, nasi telecomandati che trotterellano sulla scena, nasi impegnati in un numero di tip tap come “ballerine” di fila…

La scenografia è limitata a una piattaforma tonda, una specie di grande tavola con tovaglia che funge da camera di Kovalëv, e a pochi altri elementi scenici. Tutto è giocato sugli attori/cantanti, i magnifici costumi, il trucco dei volti. In scena abbiamo via via procaci “ragazze” barbute, poliziotti baffuti, donne vestite come matrioske e altri personaggi che sembrano usciti da un cartoon o da una comica finale. La satira burocratica di Gogol’ diventa qui un gioco surreale pieno di trovate visive che tengono il passo con le trovate musicali dell’anarchico e modernista compositore russo – prima che fosse messo in riga anche lui da Stalin.

L’iperattiva partitura è resa magistralmente da Ingo Metzmacher che, accanto agli innumerevoli effetti comici previsti da Šostakovič e ai virtuosistici assoli strumentali (sorprendente l’interludio per percussioni), sa evidenziare i rari momenti di lirismo, oltre che tenere a bada gli oltre settanta personaggi in scena. Di tutti ricordiamo almeno la faccia da clown e il tour de force di inesauribile vitalità di Martin Winkler, in cui corpo, voce ed espressione facciale sono un tutt’uno nella definizione del personaggio dell’assessore Kovalëv. Il glorioso basso John Tomlinson copre con ironia i tre ruoli che gli sono affidati e il tenore Wolfgang Ablinger-Sperrhacke apporta tutto il suo umorismo nel personaggio del servo Ivan, cialtrone e indolente, ma dalle entrate in scena quantomeno altisonanti.

L’ultima recita è stata trasmessa live da Opera Platform dove sarà ancora disponibile per alcuni mesi. Da non perdere uno dei migliori spettacoli di quest’anno.

(1) «A terrifically good nose job», «Jaw dropping», «Another triumph for opera director Barrie Kosky», «Virtuosic staging», «An exuberant, riotous show»…

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Il naso

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★★★☆☆

Sarcasmo, surrealismo e burocrazia

Opera satirica in tre atti su libretto a otto mani (Evgenij Zamjatin, Georgij Ionin, e Alexander Preis oltre al compositore stesso, Dmitrij Šostakovič) tratto dall’omonimo racconto di Nikolaj Gogoľ del 1836, Нос (Nos). Composto nel 1927-28 andò in scena solo nel 1930, ma dopo le prime repliche venne bandito dall’Unione Sovietica staliniana e ricomparve solo 44 anni dopo.

Atto primo. A Pietroburgo. Il barbiere Ivan Yakovlevic sta rasando l’assessore di collegio Platon Kovalëv, che lo rimprovera per il cattivo odore delle sue mani. Yakovlevic, appena svegliatosi, taglia una fetta del pane sfornato un momento prima dalla moglie, Praskova Ossipovna. Con sconcerto, si accorge che nell’impasto si trova un naso. La moglie lo accusa di averlo tagliato a qualcuno mentre era ubriaco, e lo caccia fuori di casa perché se ne sbarazzi. Credendo di essere inosservato, il barbiere cerca di liberarsene buttandolo nella Neva, ma un brigadiere ferma il poveretto per chiedere spiegazioni. Nel frattempo Kovalëv, che ama farsi chiamare Maggiore, scopre risvegliandosi di essere inspiegabilmente privo del naso e corre fuori di sé al commissariato. Passando davanti alla cattedrale di Kazan, Kovalëv scorge tra i fedeli il proprio naso, vestito da Consigliere di stato. Imbarazzato, Kovalëv avanza un timido reclamo verso il superiore, il quale gli gira le spalle apostrofandolo sdegnosamente.
Atto secondo. Dal momento che il commissario di polizia è assente, Kovalëv si risolve a pubblicare un annuncio sul giornale. Nella redazione l’impiegato, malgrado l’evidente assenza del naso, rifiuta di inserire la richiesta per non compromettere la serietà del giornale. Tornato al suo appartamento, Kovalëv è abbattuto per la sua miserabile situazione, che lo specchio gli conferma per l’ennesima volta.
Atto terzo. La polizia è mobilitata per impedire che il naso lasci la città. Alla stazione di posta il commissario osserva il via vai della folla. Mentre il postiglione dà il segnale, il naso, nelle spoglie del consigliere di stato, si slancia per prendere la carrozza in partenza. Dato l’allarme, il brigadiere cerca di agguantarlo. Il naso-gentiluomo scappa, braccato da un nugolo di inseguitori. Alla fine del parapiglia, di tutto l’insolito gentiluomo non rimane che un naso nelle mani di una vecchia signora. La scena successiva è sdoppiata sul palcoscenico: da un lato si vede l’appartamento di Kovalëv, dall’altro quello della vedova Pelagia Podotcina. Kovalëv ringrazia il brigadiere per avergli riportato il naso, ma non riesce a rimetterlo al suo posto, né giova l’intervento di un medico gonfio di prosopopea. Kovalëv sospetta la vedova Podotchina di avergli fatto il malocchio, per non aver accettato di sposare sua figlia. Prega l’amico Jaryškin di scriverle una lettera in cui le intima di fargli tornare l’aspetto di prima. La signora replica con un’altra lettera in cui, equivocando ogni significato contenuto nella precedente, si meraviglia per gli ingiusti rimproveri, ma conferma però di gradire Kovalëv come genero. Tutta la città parla ormai della straordinaria vicenda, e i curiosi sbirciano dappertutto per vedere il famoso naso, che si dice se ne vada in giro da solo. Senonché il naso ritorna inesplicabilmente al suo posto sul volto di Kovalëv, il quale riprende la vita di sempre, rasato dal barbiere a cui puzzano le mani. Durante una passeggiata il maggiore Kovalëv incontra la signora Podotcina, che non perde occasione per cercare di accasare la figlia. Ma Kovalëv, come al solito, rifiuta e preferisce fare la corte a una graziosa ambulante, mentre continua la passeggiata toccandosi con orgoglio il naso ritrovato.

I librettisti ampliarono l’opera di Gogoľ prendendo in prestito da alcune delle sue altre opere, tra cui Il cappotto, Il matrimonio, Le memorie di un pazzo, Le anime morte. Da I fratelli Karamazov di Dostoevskij sono tratte invece le parole della canzone di Ivan nel sesto quadro.

«Il naso è l’esordio operistico di un genio musicale di ventiquattro anni che ha deciso di cimentarsi nel genere dell’opera grottesco-satirica con i mezzi musicali moderni da lui conosciuti. Lo stile – basato sulla comicità della dissonanza – non guarda solo a Stravinskij, ma soprattutto a Hindemith, e la disinvolta commistione con generi popolareschi e folcloristici, ma anche di dottissimo contrappunto, ne fa un unicum nel panorama mondiale. […] [Nell’opera] vibra pure una parte importante della ricerca artistica russa: quella del teatro di regia. Il giovane Dmitrij aveva collaborato con il regista Vsevolod Mejerchol’d e con Vladimir Majakovskij, assorbendone gli umori. Le tecniche di recitazione – il realismo stravolto dei dialoghi – e di montaggio drammaturgico derivano da queste esperienze. La musicalità stridente del libretto accumula fonemi, allitterazioni, catene di consonanti dure e sibilanti. Il caos verbale organizzato, l’effetto di abnorme cicaleccio sono le parti che colpiscono immediatamente in quest’opera che comprende circa sessanta personaggi (nel settimo quadro sono in scena ventisette cantanti). L’orchestra è “da camera” ma suona con tale caleidoscopica varietà da non rimpiangerne una grande». (Franco Pulcini)

Nel 1974 Gennadij Roždestvenskij dirige l’opera in studio e la stessa registrazione viene utilizzata cinque anni dopo dal Teatro Musicale da Camera di Mosca per una rappresentazione di tono amatoriale filmata in un disadorno cinema-teatro da 200 posti e con le telecamere in bella vista. La produzione di Boris Pokrovskij è fatta in grande economia: c’è un’orchestrina e un direttore, ma la registrazione di Roždestvenskij viene sovrapposta alla musica e ai rumori dal vero con un effetto abbastanza straniante, soprattutto quando la traccia sonora e quella video viaggiano per conto proprio con discontinuità e sfasamenti nella sincronizzazione che aggiungono un tocco di surrealismo in più allo sconclusionato allestimento.

Nonostante le recenti riproposte dell’opera nei maggiori teatri del mondo questa ibrida edizione è l’unica disponibile in video e con tutti i suoi difetti è un documento di come era, quindici anni prima della caduta del muro di Berlino, uno spettacolo di Mosca che a New York sarebbe stato definito off-Broadway.

  • Il naso, Ono/Kentridge, Lione, 8 ottobre 2011
  • The Nose, Metzmacher/Kosky, Londra, 9 novembre 2016
  • Il naso, Jurowski/Serebrennikov, Monaco di Baviera, 30 ottobre 2021