Alexander Preis

Il naso

Dmitrij Šostakovič, Il naso

★★★★☆

Monaco di Baviera, Nationaltheater, 30 ottobre 2021

(diretta streaming)

La polizia di Putin e lo strano caso di chi ha un solo naso

Il prestigioso teatro bavarese apre la sua stagione con un titolo coraggioso in una produzione di dirompente attualità. Il regista Kirill Serebrennikov deve curare la regia dello spettacolo da remoto, come era successo col suo Così fan tutte (Zurigo, 2018) e il recente Parsifal (Vienna, 2021). Non era potuto presenziare neppure alla proiezione del suo ultimo film (Petrovy v grippe) al Festival del cinema di Cannes poiché le autorità russe non gli permettono di uscire dal paese fino a giugno 2023, conseguenza di una condanna per supposta malversazione che molte associazioni per i diritti vedono come «un modo sottilmente velato per vendicarsi di Serebrennikov a causa la sua critica politica e per inviare un preciso messaggio agli artisti – che non hanno altra scelta che accettare finanziamenti statali per sopravvivere – di astenersi dalla critica politica», dichiara lo Human Rights Watch, facendo notare in particolare il sostegno pubblico del regista per le tematiche LGBTQ e le sue critiche alla Chiesa ortodossa russa e alla censura statale.

Nella sua messa in scena il rapporto fra normale ed eccezionale è capovolto: Kovalëv è l’unico ad avere un solo naso, mentre tutti gli altri ne quattro o cinque o più, pertanto è lui quello anormale! L’incubo kafkiano dell’Assessore Collegiale che vede il proprio naso passeggiare per San Pietroburgo come Consigliere di Stato, riceve nel trattamento orchestrale di Šostakovič una carica eversiva che scandalizzò i suoi contemporanei. E lo farebbe anche questa nuova produzione, se fosse vista in patria.

L’ex direttore artistico del Centro Gogol’, complesso multimediale d’avanguardia di Mosca, affronta l’amaro apologo di Nikolaj Vasil’evič Gogol’ con la convinzione che «per comprendere la realtà della Russia contemporanea è importante immergersi nell’universo gogoliano, in questo cosmo assurdo e paradossale. Secondo me Il naso riguarda un grosso problema d’identità. Il naso e La metamorfosi di Kafka hanno fondamentalmente lo stesso inizio: “Quando Gregor Samsa si svegliò si trovò trasformato in un mostruoso parassita”, si legge in Kafka, e l’inizio di Gogol’ potrebbe essere parafrasato “Quando Kovalëv si svegliò una mattina si ritrovò senza naso”. Tutti hanno un naso, ma Kovalëv non ne ha uno. Il naso rappresenta una caratteristica principale, con cui la società identifica le persone. Una persona a cui manca tale caratteristica perde la sua identità, il suo carisma, la sua aura». Senza il passaporto (confiscatogli dalle autorità russe), anche Serebrennikov ha perso il suo naso, e quindi la sua identità.

Nella sua regia l’inverno è uno dei personaggi principali: i video che vengono proiettati si legano con continuità con quanto vediamo in scena e mostrano la Russia di oggi nella morsa del freddo, e della polizia. Minacciosi veicoli sgomberano mucchi di neve sporca mentre la polizia sistema con movenze coreografiche griglie di sbarramento e agita i manganelli. In mezzo barcollano Babbi Natale ubriachi e manifestanti sparsi. Se Il naso di Barrie Kosky era l’epitome del grottesco, qui il tema dominante è il gelo, metafora della democrazia congelata: nella stazione di polizia che entra in scena su ruote i poliziotti arrestano gli oppositori e tagliano loro il naso e dalla Neva ghiacciata vengono pescati pezzi di cadaveri. Anche molta parte della popolazione indossa le uniformi della polizia, è una massa disinformata, disillusa, incitata contro i dissidenti. Ma attenzione: il termine Polizei in tedesco sulle divise non è traslitterato in cirillico. Non è che anche qui “all’ovest” dobbiamo stare attenti a difendere la nostra democrazia, sembra suggerire il regista russo.

Nel confronto con questa cupa scenografia, la musica di Šostakovič brilla ancora di più. Vladimir Jurovskij, che ha voluto questo lavoro mai eseguito a Monaco per debuttare come Direttore Musicale Generale della Bayerische Staatsoper, coordina con precisione una partitura gioiosamente scatenata, sfacciata e piena di invenzioni sonore sorprendenti: assoli di controfagotto, ensemble di tamburi insidiosi, incastri deraglianti, musica da circo e corali ortodossi. Boris Pinkhasovič eccelle come Kovalëv, Sergej Leiferkus (Ivan), Doris Soffel (una vecchia signora), Laura Aikin (Osipovna), Bálint Szabó (un cocchiere) ed Eliza Boom (una commerciante) spiccano nello sterminato ensemble.

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Lady Macbeth of Mtsensk


Dmitrij Šostakovič, Lady Macbeth of Mtsensk

★★★★★

Birmingham, Tower Ballroom, 13 marzo 2019

(diretta streaming)

Potente lettura di Vick

«Chi avrebbe mai immaginato che la squallida tragedia di adulterio, doppio omicidio e tradimento della Lady Macbeth del distretto di Mcensk potesse essere messa in scena in modo così dilettevole? E chi avrebbe potuto immaginare di mettere in scena quest’opera sardonica e ringhiosa con le sue monumentali esigenze orchestrali in una sala da ballo in disuso e con un cast che comprende decine di dilettanti?» si chiedeva il corrispondente di “The Times” all’indomani della prima di questo spettacolo. La risposta ovviamente è: Graham Vick, che quasi ogni anno allestisce un’opera lirica nei posti più inusuali. Nel 2019 tocca al capolavoro di Šostakovič essere rappresentato in una discoteca di un quartiere periferico di Birmingham, la Tower Ballroom, ovviamente in inglese (nella traduzione di David Pountney), con un cast che mescola ottimi professionisti con parecchi dilettanti e la gloriosa Birmingham Symphony Orchestra rimpolpata dalla banda di ottoni degli studenti del locale Conservatorio, che vedremo in scena travestiti da spose sanguinarie o in marcia dietro un funerale. Il coro è reclutato tra i cittadini di Birmingham ma l’effetto ottenuto è eccellente, che siano topi, operai, poliziotti, ospiti ubriachi o prigionieri.

La scena è disegnata dal Block9, collaboratori di Bansky che ricostruiscono con pochi ironici elementi lo squallido ambiente: il frigorifero che troneggia nella cucina è pieno di confezioni di funghi e funghi sono stampati sulla vestaglia di Katerina; un congelatore sarà la tomba del secondo assassinato; la santa icona è una madonna col viso di Margaret Thatcher. I topi menzionati dal vecchio Boris danzano al ritmo indiavolato del secondo interludio mentre viene portato trionfalmente al centro della “scena” il letto su cui Katerina canta il suo lascivo e accorato lamento («Nessuno mi stordirà con le sue carezze appassionate. I miei giorni trascorrono senza gioia») prima che vi venga platealmente consumato l’adulterio che la musica di Šostakovič fa di tutto per sottolineare e che mai come qui è esplicita.

A parte una pedana principale, tutto si svolge su carrelli con ruote che si muovono tra gli spettatori in piedi mescolati con cantanti, coristi e figuranti. Ancor più che per gli altri allestimenti, questo si adatta al tono del lavoro di Šostakovič e il finale acquista una forza espressiva fortissima: Katerina e Sonetka “annegano” in un fiume di topi che lasciano la scena formando un corteo funebre seguito dalla banda. E poi è silenzio, solo interrotto dagli applausi e dall’entusiasmo dei partecipanti.

Dai video appesi il direttore Alpesh Chauhan concerta efficacemente i cantanti che hanno in Chrystal E. Williams (intensa Katerina), Brenden Gunnell (lo sfacciato Sergej) ed Eric Greene (Boris) gli autorevoli interpreti principali.

Il naso

Dmitrij Šostakovič, Il naso

★★★★☆

Lione, Opera Nouvel, 8 ottobre 2011

(registrazione video)

«Un elettrizzante tour de force di acrobazie vocali, colori strumentali selvaggi e assurdità teatrali» (1)

Quando nel 1929 fu eseguito in concerto contro la volontà dell’autore, Šostakovič scrisse «Il Naso perde ogni significato se viene visto solo come una composizione musicale, perché la musica scaturisce solo dall’azione… È chiaro per me che un’esecuzione in forma di concerto de Il Naso lo distruggerà». L’opera terminata nel 1928 vedrà la messa in scena il 18 gennaio 1930 a San Pietroburgo (la città da sei anni rinominata Leningrado) e le sedici repliche furono le ultime in Unione Sovietica fino al 1974 quando fu eseguito da Gennadij Roždestvenskij a Mosca in un’edizione che arriverà in Italia nel gennaio 1979 ma sarà ripresa fino al 2006.

Se è l’aspetto visivo quello che premeva al suo autore, questa produzione di Lione che arriva dal festival di Aix-en-Provence, ma che è nata al MET, non l’avrebbe deluso: William Kentridge per la regia e i video, per le scenografie aiutato da Sabien Theunissen, i costumi di Greta Goiris formano uno spettacolo di grande impatto visuale nei vari stili delle avanguardie russe del ventennio (futurismo, suprematismo, costruttivismo..), cinema, giochi di ombre, immagini d’archivio e un grande naso di cartapesta. Più che una messa in scena quella di Kentridge è una messa in immagini che mescola vari mezzi e comprende piccoli interni tipo casa di bambola che danno il tocco realistico (la lurida bottega del barbiere, la camera da letto di Kovaliov con l’armadio in cui vive il servo), mentre il tocco surreale è quello della redazione del giornale formata da ripiani di fogli su cui sono appollaiati gli impiegati.

In un’opera come questa, in cui i dialoghi hanno un’importanza capitale – nella scena delle lettere è richiesta una completa padronanza del russo – la presenza di interpreti nella lingua del libretto è essenziale e qui lo sono tutti. Già nell’edizione del 2005 Vladimir Samsonov incarnava l’eroe indolente di questa surreale vicenda e qui ritorna con al fianco un cast di provata efficacia. A capo dell’orchestra del teatro Kazushi Ono dipana con maestria questa parodistica partitura dai mille colori.

(1) Dalle note di Gerard McBurney per Boosey & Hawkes

Lady Macbeth del distretto di Mcensk

Dmitrij Šostakovič, Lady Macbeth del distretto di Mcensk

★★★★★

Parigi, Opéra Bastille, 16 aprile 2019

(live streaming)

Realismo e cinismo nella messa in scena più convincente di Warlikowski

«Alcune scene possono urtare la sensibilità dei più giovani e di alcune persone» si premura di avvisare l’Opéra National per il nuovo spettacolo. Va infatti in scena Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitrij Šostakovič, l’opera che aveva scandalizzato Stalin il quale l’aveva bandita dai teatri sovietici – assieme al suo autore.

A dieci anni dall’ultima produzione alla Bastille, allora affidata a Martin Kušej, questa di Krzysztof Warlikowski non fa nulla per mitigare l’impatto choccante dell’opera, anzi preme sul pedale della violenza e della sessualità più sfrenata, e quello che era sembrato eccessivo per il suo Don Giovanni, qui è accettabile, anzi addirittura prevedibile, come la stanza di Katerina L’vovna che sembra una gabbia con le sbarre e che nell’ultimo atto diventerà con efficacia il vagone che trasporta i deportati.

Lo spettacolo inizia con un video digitale (bruttino e neanche tanto necessario) di due donne che annegano, come avverrà nel finale della vicenda. La scenografia della fidata Maƚgorzata Szczęśniak – il reparto macelleria di un mattatoio con le pareti tappezzate di lucide piastrelle – ricorda quella utilizzata da Michieletto per il suo Il dissoluto punito, ma ancor di più, per la presenza delle carcasse di animali macellati, alla Lady Macbeth di dieci anni fa del regista cileno Marcelo Lombardero, spettacolo che arrivò anche in Polonia, la patria di Warlikowski, il quale ha però negato di essere a conoscenza di quella messa in scena e ha rivendicato la genuinità della sua. Sia come sia, la sua regia è perfettamente coerente con la musica di Šostakovič così imbarazzantemente evidente. Questa volta l’esplicita regia non aggiunge nulla a quanto già c’è nella musica. Stalin aveva ragione!

La lettura di Warlikowski è dominata dalla sessualità: la cuoca Aksin’ja qui è la giovane mantenuta del vecchio Boris e viene violentata da Sergej e dai contadini/macellai e la scena dell’amplesso di Katerina con Sergej non avviene al buio, come si è spesso visto. Mentre la regia video indugia sul gioco d’ombre che si stagliano sulla parete, in scena tutto avviene in maniera piuttosto esplicita. Anche il lamento di Boris all’inizio del secondo atto, «Ah, cosa vuol dire esser vecchi!», si riferisce all’impotenza sessuale più che alla perdita del sonno e Aksin’ja si consola con un churro ripieno di cioccolato. Warlikowski inserisce nella sua drammaturgia anche gli interludi tra i vari quadri e memorabile è la veglia funebre di Boris durante quello che precede il quadro quinto con la banda di ottoni nei palchi. La stessa banda aveva accompagnato grottescamente con una marcetta l’ingresso delle carcasse appese ai ganci. Magnifica anche la triviale festa di matrimonio con il suo grottesco cabaret, tutto sempre perfettamente in linea con la musica di Šostakovič. Il delitto e castigo dei due amanti termina in un’atmosfera di abbrutimento che richiama i gulag staliniani, forse l’unico momento di denuncia politica dello spettacolo di Warlikowski che comunque evita una lettura manichea: qui tutti dimostrano un lato sordido, nessuno è innocente.

L’implacabile corsa verso l’inferno ingaggiata dal compositore e dal regista trova in Ingo Metzmacher un interprete che non potrebbe essere più valido: la partitura lussureggiante riverbera di tutti i colori possibili sotto la sua bacchetta e sembra essere restituita per la prima volta. La tensione si allenta solo a momenti, quando l’orchestra assume toni lugubri e dolenti che contrastano con la triviale e bandistica presenza degli ottoni. Dopo Il naso londinese, Metzmacher si conferma un formidabile interprete della musica di Šostakovič.

Aušrinė Stundytė incarna perfettamente Katerina sia nell’impegno fisico che vocale. Non c’è difficoltà che il soprano lituano non affronti e risolva con efficacia. Il timbro omogeneo nei vari registri, i colori ora accesi ora lividi, gli acuti lancinanti, tutto determina a definire un personaggio ai limiti della follia e indimenticabile. Pavel Černoch, seducente cowboy dagli occhi azzurri, questa volta è del tutto convincente nonostante i noti limiti della sua prestazione vocale: il colore chiaro e il tono scanzonato sono adatti al personaggio di Sergej. Dmitrij Ul’ianov sorprende per l’inaspettata profondità e il lirismo, malgrado il grottesco della parte di Boris. Sorprendenti anche i ruoli minori: Sofija Petrović è una seducente ma intensa Aksin’ja, personaggio che da vittima diventa carnefice. Krzysztof Bączyk è uno spassoso Pope brillo e Wolfgang Ablinger Sperrhacke è il vecchio contadino, qui macellaio che accarezza voluttuosamente le carni dei quarti di maiale. Prende troppo sul serio la precaria tonalità con un’intonazione incerta lo Zinovij di John Daszak. Di lusso Alexander Tsymbalyuk, capo polizia e vecchio ergastolano. Smagliante il coro diretto da José Luis Basso.

Questa Lady Macbeth è di certo la messa in scena più convincente del regista polacco e uno degli spettacoli più coinvolgenti della pur ricchissima stagione lirica parigina.

The Nose

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Dmitrji Šostakovič, The Nose

London, Royal Opera House, 9 November 2016

★★★★★

(live streaming)

bandieraitaliana1.gif   Qui la versione in italiano

Three geniuses meet – two from Russia and one from Australia

Ninety years separate Gogol’s novel Hoc (The Nose, 1836) from the eponymous Shostakovich opera, and another ninety from the the Royal Opera House production in which The Nose is staged for the first time – and in English. A grotesque, surreal, dystopian, farcical nightmare. There are many definitions that fit the revolutionary work of the twenty year old brilliant Russian composer which Barrie Kosky revives in the idiomatic translation by David Pountney. No other operatic performance in recent years has received such rave reviews (1). One for all, the one from Bachtrack whose reviewer has wittily complied with the spirit of the Australian director.

Not long past from Saul‘s success in Glyndebourne, Kosky’s start’s from Shostakovich’s music and his staging is an incoherent cabaret full of irresistibly comic skits and hilarious danced interludes – choreography by Otto Pichler. The director and costume designer Buki Shiff had to solve the nose problem first and foremost: in Kovalev the nose looks missing because all the others characters flaunt a generous prosthesis! There are noses everywhere in this vibrant phantasmagoria: noses kneeling in prayer, noses strolling in the background, noses that emerge from the curtain, remote controlled noses that trot on the scene, noses engaged in a tap number as “dancers” in a row …

The set design is limited to a round platform, a kind of large table with tablecloth that serves as Kovalev’s bed chamber, and a few other props. Everything is focused on the actors/singers, the magnificent costumes, the faces make-up. On stage we see alluring bearded “girls”, mustachioed policemen, women dressed like matryoshka dolls and other characters straight out of a cartoon or a slapstick comedy. Gogol’s bureaucratic satire here becomes a surreal visual game that keeps pace with the anarchist and modernist Russian composer’s music – before being put on line by Stalin.

The overactive score is masterfully rendered by Ingo Metzmacher. Alongside the countless comic effects provided by Shostakovich and virtuoso instrumental solos (such as the surprising interlude for percussion), he knows to highlight the rare moments of lyricism, as well as keep the more than seventy characters well on stage. Of all these, let’s mention Martin Winkler’s clown face and the inexhaustible vitality, a real tour de force in which body, voice and facial expression are all one in the definition of councilor Kovalev’s character. The glorious bass John Tomlinson ironically covers the three roles entrusted to him and the tenor Wolfgang Ablinger-Sperrhacke brings all its humor into Ivan’s character, charlatan and sluggish servant, but with sounding stage entrances.

The last performance was broadcast live by Opera Platform and will still be available for a few months. Do not miss the opportunity to watch one of the best shows of the year.

(1) «A terrifically good nose job», «Jaw dropping», «Another triumph for opera director Barrie Kosky», «Virtuosic staging», «An exuberant, riotous show»…

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The Nose

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Dmitrji Šostakovič, The Nose

Londra, Royal Opera House, 9 novembre 2016

★★★★★

(live streaming)

Union-jack.jpg  Click here for the English version

L’incontro di tre genii – due russi e uno australiano

Novant’anni separano il racconto di Gogol’ Hoc (Il naso, 1836) dall’opera omonima di Šostakovič, e altri novanta dalla produzione alla Royal Opera House dove The Nose va in scena per la prima volta, e in lingua inglese. Un incubo grottesco, surreale, distopico, farsesco. Molte sono le definizioni che si adattano al rivoluzionario lavoro del compositore russo ventenne che il geniale Barrie Kosky fa rivivere nella idiomatica traduzione di David Pountney. Nessun altro spettacolo lirico degli ultimi anni ha ricevuto giudizi così entusiastici (1). Uno per tutti quello di Bachtrack il cui recensore si è adeguato con arguzia allo spirito del regista australiano.

Reduce dal successo del Saul a Glyndebourne, nella sua chiave di lettura Kosky parte dalla musica dell’opera di Šostakovič e la sua messa in scena è un cabaret sconclusionato e irresistibilmente comico fatto di scenette ed esilaranti siparietti danzati con le coreografie di Otto Pichler. Il regista e la costumista Buki Shiff risolvono prima di tutto il problema del naso che ha lasciato la faccia di Kovalëv: lui ne sembra privo poiché tutti gli altri ne ostentano una generosa protesi! Ci sono nasi dappertutto in questa esuberante fantasmagoria: nasi inginocchiati in preghiera, nasi che passeggiano sullo sfondo, nasi che sbucano dal sipario, nasi telecomandati che trotterellano sulla scena, nasi impegnati in un numero di tip tap come “ballerine” di fila…

La scenografia è limitata a una piattaforma tonda, una specie di grande tavola con tovaglia che funge da camera di Kovalëv, e a pochi altri elementi scenici. Tutto è giocato sugli attori/cantanti, i magnifici costumi, il trucco dei volti. In scena abbiamo via via procaci “ragazze” barbute, poliziotti baffuti, donne vestite come matrioske e altri personaggi che sembrano usciti da un cartoon o da una comica finale. La satira burocratica di Gogol’ diventa qui un gioco surreale pieno di trovate visive che tengono il passo con le trovate musicali dell’anarchico e modernista compositore russo – prima che fosse messo in riga anche lui da Stalin.

L’iperattiva partitura è resa magistralmente da Ingo Metzmacher che, accanto agli innumerevoli effetti comici previsti da Šostakovič e ai virtuosistici assoli strumentali (sorprendente l’interludio per percussioni), sa evidenziare i rari momenti di lirismo, oltre che tenere a bada gli oltre settanta personaggi in scena. Di tutti ricordiamo almeno la faccia da clown e il tour de force di inesauribile vitalità di Martin Winkler, in cui corpo, voce ed espressione facciale sono un tutt’uno nella definizione del personaggio dell’assessore Kovalëv. Il glorioso basso John Tomlinson copre con ironia i tre ruoli che gli sono affidati e il tenore Wolfgang Ablinger-Sperrhacke apporta tutto il suo umorismo nel personaggio del servo Ivan, cialtrone e indolente, ma dalle entrate in scena quantomeno altisonanti.

L’ultima recita è stata trasmessa live da Opera Platform dove sarà ancora disponibile per alcuni mesi. Da non perdere uno dei migliori spettacoli di quest’anno.

(1) «A terrifically good nose job», «Jaw dropping», «Another triumph for opera director Barrie Kosky», «Virtuosic staging», «An exuberant, riotous show»…

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Il naso

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★★★☆☆

Sarcasmo, surrealismo e burocrazia

Opera satirica in tre atti su libretto a otto mani (Evgenij Zamjatin, Georgij Ionin, e Alexander Preis oltre al compositore stesso, Dmitrij Šostakovič) tratto dall’omonimo racconto di Nikolaj Gogoľ del 1836, Нос (Nos). Composto nel 1927-28 andò in scena solo nel 1930, ma dopo le prime repliche venne bandito dall’Unione Sovietica staliniana e ricomparve solo 44 anni dopo.

Atto primo. A Pietroburgo. Il barbiere Ivan Yakovlevic sta rasando l’assessore di collegio Platon Kovalëv, che lo rimprovera per il cattivo odore delle sue mani. Yakovlevic, appena svegliatosi, taglia una fetta del pane sfornato un momento prima dalla moglie, Praskova Ossipovna. Con sconcerto, si accorge che nell’impasto si trova un naso. La moglie lo accusa di averlo tagliato a qualcuno mentre era ubriaco, e lo caccia fuori di casa perché se ne sbarazzi. Credendo di essere inosservato, il barbiere cerca di liberarsene buttandolo nella Neva, ma un brigadiere ferma il poveretto per chiedere spiegazioni. Nel frattempo Kovalëv, che ama farsi chiamare Maggiore, scopre risvegliandosi di essere inspiegabilmente privo del naso e corre fuori di sé al commissariato. Passando davanti alla cattedrale di Kazan, Kovalëv scorge tra i fedeli il proprio naso, vestito da Consigliere di stato. Imbarazzato, Kovalëv avanza un timido reclamo verso il superiore, il quale gli gira le spalle apostrofandolo sdegnosamente.
Atto secondo. Dal momento che il commissario di polizia è assente, Kovalëv si risolve a pubblicare un annuncio sul giornale. Nella redazione l’impiegato, malgrado l’evidente assenza del naso, rifiuta di inserire la richiesta per non compromettere la serietà del giornale. Tornato al suo appartamento, Kovalëv è abbattuto per la sua miserabile situazione, che lo specchio gli conferma per l’ennesima volta.
Atto terzo. La polizia è mobilitata per impedire che il naso lasci la città. Alla stazione di posta il commissario osserva il via vai della folla. Mentre il postiglione dà il segnale, il naso, nelle spoglie del consigliere di stato, si slancia per prendere la carrozza in partenza. Dato l’allarme, il brigadiere cerca di agguantarlo. Il naso-gentiluomo scappa, braccato da un nugolo di inseguitori. Alla fine del parapiglia, di tutto l’insolito gentiluomo non rimane che un naso nelle mani di una vecchia signora. La scena successiva è sdoppiata sul palcoscenico: da un lato si vede l’appartamento di Kovalëv, dall’altro quello della vedova Pelagia Podotcina. Kovalëv ringrazia il brigadiere per avergli riportato il naso, ma non riesce a rimetterlo al suo posto, né giova l’intervento di un medico gonfio di prosopopea. Kovalëv sospetta la vedova Podotchina di avergli fatto il malocchio, per non aver accettato di sposare sua figlia. Prega l’amico Jaryškin di scriverle una lettera in cui le intima di fargli tornare l’aspetto di prima. La signora replica con un’altra lettera in cui, equivocando ogni significato contenuto nella precedente, si meraviglia per gli ingiusti rimproveri, ma conferma però di gradire Kovalëv come genero. Tutta la città parla ormai della straordinaria vicenda, e i curiosi sbirciano dappertutto per vedere il famoso naso, che si dice se ne vada in giro da solo. Senonché il naso ritorna inesplicabilmente al suo posto sul volto di Kovalëv, il quale riprende la vita di sempre, rasato dal barbiere a cui puzzano le mani. Durante una passeggiata il maggiore Kovalëv incontra la signora Podotcina, che non perde occasione per cercare di accasare la figlia. Ma Kovalëv, come al solito, rifiuta e preferisce fare la corte a una graziosa ambulante, mentre continua la passeggiata toccandosi con orgoglio il naso ritrovato.

I librettisti ampliarono l’opera di Gogoľ prendendo in prestito da alcune delle sue altre opere, tra cui Il cappotto, Il matrimonio, Le memorie di un pazzo, Le anime morte. Da I fratelli Karamazov di Dostoevskij sono tratte invece le parole della canzone di Ivan nel sesto quadro.

«Il naso è l’esordio operistico di un genio musicale di ventiquattro anni che ha deciso di cimentarsi nel genere dell’opera grottesco-satirica con i mezzi musicali moderni da lui conosciuti. Lo stile – basato sulla comicità della dissonanza – non guarda solo a Stravinskij, ma soprattutto a Hindemith, e la disinvolta commistione con generi popolareschi e folcloristici, ma anche di dottissimo contrappunto, ne fa un unicum nel panorama mondiale. […] [Nell’opera] vibra pure una parte importante della ricerca artistica russa: quella del teatro di regia. Il giovane Dmitrij aveva collaborato con il regista Vsevolod Mejerchol’d e con Vladimir Majakovskij, assorbendone gli umori. Le tecniche di recitazione – il realismo stravolto dei dialoghi – e di montaggio drammaturgico derivano da queste esperienze. La musicalità stridente del libretto accumula fonemi, allitterazioni, catene di consonanti dure e sibilanti. Il caos verbale organizzato, l’effetto di abnorme cicaleccio sono le parti che colpiscono immediatamente in quest’opera che comprende circa sessanta personaggi (nel settimo quadro sono in scena ventisette cantanti). L’orchestra è “da camera” ma suona con tale caleidoscopica varietà da non rimpiangerne una grande». (Franco Pulcini)

Nel 1974 Gennadij Roždestvenskij dirige l’opera in studio e la stessa registrazione viene utilizzata cinque anni dopo dal Teatro Musicale da Camera di Mosca per una rappresentazione di tono amatoriale filmata in un disadorno cinema-teatro da 200 posti e con le telecamere in bella vista. La produzione di Boris Pokrovskij è fatta in grande economia: c’è un’orchestrina e un direttore, ma la registrazione di Roždestvenskij viene sovrapposta alla musica e ai rumori dal vero con un effetto abbastanza straniante, soprattutto quando la traccia sonora e quella video viaggiano per conto proprio con discontinuità e sfasamenti nella sincronizzazione che aggiungono un tocco di surrealismo in più allo sconclusionato allestimento.

Nonostante le recenti riproposte dell’opera nei maggiori teatri del mondo questa ibrida edizione è l’unica disponibile in video e con tutti i suoi difetti è un documento di come era, quindici anni prima della caduta del muro di Berlino, uno spettacolo di Mosca che a New York sarebbe stato definito off-Broadway.

  • Il naso, Ono/Kentridge, Lione, 8 ottobre 2011
  • The Nose, Metzmacher/Kosky, Londra, 9 novembre 2016
  • Il naso, Jurowski/Serebrennikov, Monaco di Baviera, 30 ottobre 2021

Lady Macbeth del distretto di Mcensk

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★★★★☆

Orgasmo e omicidio…

… sono i poli estremi di quest’opera secondo il regista Martin Kušej. Se aggiungiamo anche la noia della protagonista, abbiamo in breve le tappe della vicenda di Katerina Izmailova.

Su libretto di Alexander Preis e del compositore stesso, tratta dall’omonimo racconto di Nikolaj Leskov del 1865, Lady Macbeth del distretto di Mcensk (Леди Макбет Мценского уезда, Ledi Makbet Mcenskogo uezda) di Dmitrij Šostakovič venne rappresentata nel 1934 con grande successo sia di pubblico sia di critica, tanto che poco tempo dopo se ne poterono vedere ben tre diversi allestimenti nei teatri di Mosca. Apprezzata quale espressione di una rivolta antiborghese (una donna agiata prende coscien­za della società zarista e con un servo uccide i suoi padroni), non piacque però a Stalin che abbandonò la sala durante una sua rappresentazione e in seguito proibì l’opera in quanto «inadatta al popolo sovietico […] caotica, apolitica […] atta a solleticare i gusti pervertiti del pubblico borghese con la sua musica agitata, urlante e nevrastenica». La scabrosità del soggetto turbava i principi su cui si fondava la società sovietica ipotizzata dal suo dittatore e da allora iniziò l’ostracismo della musica del compositore.

Atto I. Quadro I. Vengono sottolineate le umiliazioni alle quali Caterina è sottoposta da parte del suocero, che non solo la importuna e vorrebbe possederla, ma le rinfaccia di non riuscire ad avere figli. Come se non bastasse, poiché il marito di Caterina, Sinovio, dovrà allontanarsi per alcuni giorni, Boris fa giurare, davanti a tutta la servitù, che rimarrà fedele al consorte lontano. La cuoca Aksinia, allora, interviene e le fa notare un bel garzone assunto da poco. Quadro II. Alcuni lavoranti insidiano e maltrattano la deforme Aksinia, aizzati proprio da Sergej. Caterina interviene in difesa della donna, ma pur essendo provocata da Sergej, ne rimane attratta. Quadro III. Caterina si dispera per la sua atroce solitudine. Sergej si introduce nella sua camera da letto e seduce Caterina.
Atto II. Quadro I. Boris è eccitato e tormentato dalla presenza di Caterina, al punto da decidere di assolvere ai doveri coniugali in vece del figlio. Mentre sta progettando tali lascivie, gli cade addosso, dalla finestra della camera di Caterina, Sergej. Boris lo riduce in fin di vita a frustate di fronte agli occhi di tutti i servitori e di Caterina stessa: quindi Sergej viene rinchiuso in cantina. Caterina avvelena Boris mettendo del veleno per topi nel suo piatto; dopo avergli sottratto la chiave della cantina dove è rinchiuso l’amante, assiste alle funzioni del pope, chiamato per assistere il moribondo. Quadro II. Caterina è a letto con Sergej, tormentata dai rimorsi: arriva il marito, che viene ucciso dai due e nascosto in cantina.
Atto III. Quadro I. Caterina e Sergej si sposano, mentre il marito è dato per disperso. Caterina è ossessionata da ciò che ha fatto e guarda terrorizzata verso la cantina. Un servo ubriaco, mentre gli altri sono in chiesa per il matrimonio, credendo che le occhiate di Caterina nascondano la presenza di un buon vino, sfonda la porta della cantina, trova il cadavere di Sinovio e chiama la polizia. Quadro II. Nel distretto di polizia i gendarmi si annoiano e, per passare il tempo, si divertono a creare problemi a qualche intellettuale, ad esempio accusando di nichilismo un innocente insegnante. Quadro III. Caterina, alla fine della cerimonia, si accorge che la cantina è stata aperta ma è troppo tardi per fuggire.
Atto IV. Caterina e Sergej si trovano in un accampamento, di notte, mentre sono in viaggio verso la Siberia perché condannati a lavori forzati. Caterina corrompe una guardia perché le permetta di passare la notte con Sergej, ma lui la considera ormai solo una fonte di disgrazie ed è invece attratto da un’altra detenuta più giovane, Sonetka, alla quale regala le calze di lana che Caterina gli ha dato. Tutti si prendono gioco di lei: Caterina, disperata, si getta nel fiume trascinando con sé la rivale. Le due donne annegano, mentre i deportati riprendono la marcia.

Per un quarto di secolo l’opera fu bandita dai teatri e solo nel 1962 Šostakovič ne presentò un’edizione revisionata col titolo Katerina Izmailova (un titolo più indicato poiché la protagonista non ha l’iniziativa inco­sciente e criminale del personaggio di Shakespeare), ma da dopo la sua morte la versione più rappresentata è quella originale. Per un’analisi ap­profondita dell’opera e delle sue analogie con la Kát’a Kabanová di Ja­náček si veda il bel saggio Šostakovič di Franco Pulcini nelle edizioni EDT.

Questa produzione del 2006 al Nederlandse Opera di Amsterdam si basa dunque sulla versione del ’34 e si avvale della messa in scena del regista Martin Kušej che assieme alla scenografia di Martin Zehetgruber am­bienta la vicenda in epoca moderna e in due spazi distinti: una specie di gabbbia di vetro per l’annoiata Katerina e la sua collezione di scarpe e l’esterno sporco di terra in cui avvengono i misfatti e hanno luogo le scene corali. Per l’ultimo atto, nel carcere siberiano, l’ambiente è diverso, ma an­cora più angosciante.

La famosa scena dell’amplesso quasi animalesco è risolta con efficacia da un’illuminazione stroboscopica che giustamente non contraddice e non aggiunge nulla a quello che la musica qui (da alcuni definita “pornofonia”) suggerisce molto chiaramente.

L’impervia partitura trova nella direzione del lèttone Mariss Jansons un ottimo interprete soprattutto negli splendidi intermezzi orchestrali che, come gli interludi del Peter Grimes di Britten, hanno trovato un’autonoma vita concertistica per la bellezza e la forza con cui dipingono i mo­menti lirici o satirici della storia.

Interprete intensa del titolo è Eva-Maria Wetsbroek che ha voce e fisico adatti alla parte della sensuale e trascurata moglie che quando incon­tra il ceffo seduttore di Sergej (un Christopher Ventris dallo sguardo am­maliatore) gli si consegna anima e corpo – soprattutto il secondo. Ottimi i due interpreti principali, ma eccellenti anche gli altri, tra cui il bieco e volgare Boris, il suocero, che ha la potente voce di Vladimir Vaneev.

Due dischi bly-ray per un’immagine e un suono perfetti e tra gli extra un interessante documentario.