La fiaba dello zar Saltan

Nikolaj Rimskij-Korsakov, La fiaba dello zar Saltan

★★★★★

Bruxelles, Théâtre de la Monnaie, 16 giugno 2019

(registrazione video)

Una fiaba senza lieto fine per Černjakov

A duecentoventi anni dalla nascita di Puškin, la Monnaie di Bruxelles mette in scena un’altra delle opere basate su un suo racconto in versi, quella Fiaba dello zar Saltan (Сказка о царе Салтане), un prologo e quattro atti su libretto di Vladimir Bel’skij, che Nikolaj Rimskij-Korsakov aveva presentato al pubblico del teatro Solodovnikov di Mosca il 21 ottobre 1900 con le scenografie disegnate da Mikhail Vrubel. Il titolo completo sia dell’opera sia della fiaba è La fiaba dello zar Saltan, di suo figlio il glorioso e potente bogatyr principe Gvidon Saltanovič e della bellissima zarevna Lebed’.

Prologo. Una sera d’inverno, in una stanza. Tre sorelle filano. La maggiore e la mezzana non si impegnano molto, come suggerisce la vecchia Babaricha, invece la minore, Militrisa, si dà da fare. Le due sorelle più vecchie si vantano della propria bontà e bellezza e fantasticano su cosa farebbero, se diventassero zarina. Alla loro porta si ferma lo zar, di passaggio con un seguito di boiardi e si mette ad ascoltare la conversazione delle sorelle. La più anziana promette di allestire un banchetto immenso, la mezzana di tessere panni in quantità e la minore di dare alla luce allo zar un bogatyr. Lo zar entra: sbalordite, le tre sorelle e Babaricha cadono in ginocchio. Lo zar ordina loro di seguirle a palazzo, affinché Militrisa diventi zarina, e le altre due diventino Povaricha (cuoca) e Tkačicha (tessitrice). Le due sorelle maggiori sono molto indispettite e chiedono a Babaricha di aiutarle a vendicarsi di Militrisa. Babaricha propone un piano: quando lo zar partirà per la guerra e Militrisa partorirà un figlio, esse invece della lieta notizia manderanno allo zar un messaggio con scritto che la zarina ha dato alla luce un mostro. Le sorelle approvano il piano e ne pregustano il successo.
Atto I. Il palazzo dello zar a Tmutarakan. Militrisa è triste. Con lei ci sono Babaricha, il giullare, i servitori e le guardie presso la porta. Entra Povaricha con un vassoio di leccornie. Entra un vecchio che chiede di essere condotto dalla zarina, perché vuole raccontare delle favole per il bambino. Giunge anche Tkačicha a vantarsi del raffinato tappeto da lei tessuto. Lo zarevic si sveglia e le balie gli cantano un’allegra canzone infantile. La corte dello zar si riempie di persone. Tutti sono incantati dal bambino e il coro canta in onore suo e della madre. Facendosi largo tra la folla, irrompe con una lettera dello zar un messaggero ubriaco, che si lamenta di essere stato mal ricevuto dallo zar Saltan e racconta di come invece una vecchia lo abbia rimpinzato di cibo e fatto bere a volontà. Gli scrivani leggono il messaggio, in cui si ordina ai boiardi di prendere senza indugio la zarina ed il neonato, di metterli in una botte e di gettarli negli abissi del mare. Tutti sono sconcertati: Militrisa è disperata, mentre le due sorelle gioiscono con cattiveria. La zarina abbraccia suo figlio Gvidon, cantando tutta la sua pena. Si introduce un’enorme botte dove vengono rinchiusi madre e figlio, per essere portati in riva al mare. Il pianto della folla si confonde con le onde del mare.
Atto II. Sulla riva dell’isola di Bujan. Tra le onde la botte appare e scompare. A poco a poco il mare si placa, la botte giunge a riva e ne escono la zarina e lo zarevic cresciuto. Sono felici di essere salvi, ma la zarina è inquieta perché l’isola appare vuota e selvaggia. Gvidon tranquillizza la madre e costruisce un arco e delle frecce. D’improvviso si ode un rumore di lotta: un cigno si dibatte in mezzo al mare e su di lui piomba un nibbio. Gvidon prende la mira e tira una freccia al predatore. Si fa buio. Madre e figlio osservano stupiti il cigno uscire dal mare e ringraziare il suo salvatore, promettendogli di essere riconoscente e raccontando di essere in realtà una fanciulla, mentre il nibbio ucciso era un mago malvagio. Infine li esorta a non affliggersi e ad abbandonarsi al sonno. Allora la madre canta al figlio una ninnananna ed entrambi si addormentano. All’alba appare tra le nebbie la città fantastica di Ledenec. Madre e figlio si svegliano e si incuriosiscono; Gvidon capisce che lì si trova il cigno. Dalle porte della città esce il popolo in tripudio, ringrazia Gvidon per averli liberati dal mago malvagio e gli chiede di regnare sulla loro città.
Atto III. Scena prima Sulla riva dell’isola di Bujan. Da lontano si vede una nave diretta a Tmutarakan’: Gvidon la osserva con malinconia. Si lamenta con il cigno, perché gli sono venute a noia tutte le meraviglie dell’isola, mentre vorrebbe vedere suo padre, ma in modo da non essere visto. Il cigno acconsente ad esaudire il suo desiderio, e gli ordina di immergersi per tre volte in mare, per trasformarsi in un calabrone. Gvidon quindi vola per raggiungere la nave. Scena seconda La corte dello zar a Tmutarakan’. Lo zar Saltan siede sul trono ed è triste, presso di lui ci sono Povaricha, Tkačicha e Babaricha. A riva la nave attracca. I mercanti ospiti vengono invitati presso lo zar, sono fatti sedere ad una tavola imbandita e viene loro offerto il cibo. In segno di ringraziamento i mercanti iniziano a narrare le meraviglie da loro viste in giro per il mondo: la metamorfosi di un’isola deserta nella bella città di Ledenec, dove vivono uno scoiattolo che rode noci d’oro e sa cantare, e trentatré bogatyr. Povaricha e Tkačicha cercano di distrarre lo zar con altri racconti: per questo il calabrone irritato le punge entrambe su un sopracciglio. Nello zar cresce il desiderio di visitare l’isola. Allora Babaricha racconta la più straordinaria delle meraviglie: la bellissima figlia di uno zar, la cui bellezza offusca il cielo di giorno ed illumina la terra di notte. Il calabrone punge Babaricha in un occhio ed ella grida. Inizia un bel trambusto: si dà la caccia al calabrone, che però riesce a fuggire.
Atto IV. Scena prima. Sulla riva dell’isola di Bujan. È sera. Gvidon sogna la bellissima zarevna e chiama a sé il cigno, per svelargli il suo amore per lei e chiedergli di trovarla. Il cigno non esaudisce subito la richiesta: non è sicuro dell’autenticità del sentimento, ma Gvidon insiste. Alla fine il cigno cede e rivela a Gvidon di essere proprio lei la sua amata e dall’oscurità appare la zarevna Lebed’ in tutto lo splendore della sua bellezza. Al mattino la zarina Militrisa si reca al mare con il suo seguito. Gvidon e la zarevna le chiedono di acconsentire alle nozze e Militrisa li benedice. Scena seconda. L’introduzione orchestrale celebra le meraviglie della città di Ledenec. Nell’isola si attende l’arrivo dello zar Saltan. Si diffonde un suono di campane. Una nave giunge all’approdo. La corte dello zar scende a riva, seguita dallo zar stesso accompagnato da Povaricha, Tkačicha e Babaricha. Gvidon accoglie l’illustre ospite, facendolo sedere accanto a sé ed invitandolo ad ammirare le tre meraviglie del luogo: ad un suo cenno squillano le trombe, e compare una casetta di cristallo con lo scoiattolo straordinario, poi i valorosi guerrieri e, infine, la zarevna Lebed’ esce da un terem. Tutti sono estasiati e si coprono gli occhi con le mani, accecati dalla sua bellezza. Saltan è commosso e chiede alla magica Lebed’ di mostrargli la zarina Militrisa. Ella lo invita a guardare sul terem: sul terrazzino compare la zarina che intona un duetto gioioso e commosso con Saltan. Poi lo zar chiede di suo figlio, e Gvidon si rivela. Povaricha e Tkačicha cadono ai piedi dello zar, implorando perdono, mentre Babaricha fugge terrorizzata, ma lo zar colmo di gioia perdona tutte.

Nella lettura di Dmitrij Černjakov, davanti al sipario tagliafuoco una donna in abiti contemporanei racconta al pubblico che è sola col figlio autistico, il marito l’ha abbandonata da tempo. Lei vuole raccontare al ragazzo del padre scomparso e per farlo usa il solo linguaggio che il figlio vuole ascoltare, quello delle favole, che per lui sono la realtà. E allora inizia La fiaba dello zar Saltan. Attraverso due passerelle che scavalcano la buca orchestrale entrano in scena i personaggi della favola. I costumi del folklore russo qui hanno colori acidi e tessuti rigidi, come di cartone, e richiamano i disegni con cui Ivan Bilibin nel 1905 aveva illustrato il racconto. Nel prologo e nel primo atto tutto si svolge al proscenio e i due piani, quello della realtà della madre col figlio autistico e quello della fiaba narrata, coesistono: sulle sedie da cucina si siedono i personaggi nei loro ingombranti costumi, per terra il ragazzo con i suoi giochi – lo scoiattolo, i soldatini, una bambola vestita da principessa cigno: le tre meraviglie del quarto atto.

Non c’è profondità nella scena neanche negli altri atti: il fondo è un velario su cui vengono proiettati gli ingenui disegni animati di Gleb Filštinskij, proiezione su schermo dei pensieri del giovane. Tutto avviene nella mente del ragazzo. Momento di grande emozione è quello di quando il figlio acquista la parola all’inizio del secondo atto e poi solleva il telo per entrare nella “sua” storia come protagonista. Ma tutta la lettura di Černjakov è ricca di momenti di grande poesia e sensibilità.

Nel finale tutti sono in abiti contemporanei: il padre/Saltan è ritornato per conoscere finalmente il figlio in un tardivo tentativo di riconciliazione con la moglie, ma il figlio (che ha riconosciuto nell’infermiera che si occupa di lui la principessa cigno di cui si è innamorato) si spaventa al frastuono del coro che inneggia a lui come zarevič e ritorna nel suo stato di autismo. Stavolta la fiaba non ha un lieto fine.

Bogdan Volkov con il suo aspetto da adolescente turbato, il timbro luminoso e il soave fraseggio delinea uno zarevič lirico e di rara sensibilità. Il suo duetto con Olga Kulchynska, soprano dai melismi incantatori, è uno dei momenti musicalmente più trascinanti di una partitura che di momenti felici ne ha tanti, e non solo “il volo del calabrone” per il quale è unicamente conosciuta. Svetlana Aksenova è l’intensa madre/Miltrissa, mentre efficaci si dimostrano tutti gli altri interpreti con un plauso particolare per le voci delle due perfide sorelle, Stine Marie Fischer e Bernarda Bobro.

I momenti sinfonici che dipingono il viaggio per mare e gli altri intermezzi strumentali ricordano la grandezza di orchestratore dell’autore di Sheherezade e di Sadko. Qui rifulgono in tutto il loro splendore sotto la sapiente bacchetta di Alain Altinoglu che dopo Il gallo d’oro del 2016 in questo stesso teatro torna a farci conoscere quest’altra gemma dell’opera russa.

Pubblicità