Orlando

Olga Neuwirth, Orlando

★★★☆☆

Vienna, Staatsoper, 8 dicembre 2019

(video streaming)

La prima opera gender-bending

La Staatsoper di Vienna non è certo conosciuta per l’audacia della sua programmazione: è uno dei teatri europei di stampo più conservatore sia nella scelta dei titoli sia nella loro messa in scena. Ma questa volta ha fatto un’eccezione per una compositrice austriaca come Olga Neuwirth, cinquantaduenne musicista non nuova al teatro musicale nelle sue forme più libere: teatro musicale (Bählamms Fest, 1998), installazione musicale (The Outcast da Melville, 2011) o adattamenti e nuove interpretazioni di opere come la Lulu di Alban Berg (American Lulu, 2011) o di film (Lost Highway da David Lynch, 2003).

Orlando, su un verboso libretto della stessa Neuwirth e di Catherine Filloux, è ovviamente basato sull’omonima “biografia” di Virginia Woolf, ma la cavalcata attraverso i tempi del protagonista, che necessariamente terminava nel 1928, data di pubblicazione del libro, nell’opera arriva fino ai giorni nostri.

Parte I. Nel 1598, il giovane aristocratico inglese Orlando viene cresciuto per una carriera militare. Il suo angelo custode lo osserva da lontano. Lui scopre la poesia. Arriva quasi troppo tardi per l’arrivo della regina Elisabetta I, si avvicina a lei timidamente, ma nota subito la discrepanza tra potere e fragilità, mentre la regina è incantata dalla sua giovinezza e lo colma di onorificenze prima di morire. Durante il rigido inverno del 1610, i festeggiamenti si svolgono sul Tamigi ghiacciato. Sebbene fidanzato, Orlando si innamora appassionatamente dell’affascinante Sasha, che però preferisce divertirsi con un marinaio russo. Sascha scompare e il gelo si scioglie. Orlando è profondamente ferito e si ritira in solitudine nella sua tenuta. Cade in un sonno mortale, dal quale le pratiche mediche arcane non possono svegliarlo. Quando si sveglia, torna a essere un poeta; la sua opera porterà il titolo “La quercia”. Tuttavia, ricomincia a desiderare la compagnia, ma il suo collega poeta Greene è vanitoso e non interessato alla poesia di Orlando, ma solo ai suoi soldi. Deluso dalla vita e dall’arte, Orlando decide di voltare le spalle all’Inghilterra e si fa distaccare come ambasciatore in una terra lontana. La guerra e la crudeltà abbondano e Orlando cade di nuovo in trance. La Purezza, la Modestia e la Castità visitano il poeta addormentato, ma vengono allontanate dal canto del coro e da una musica di ottoni. Orlando si sveglia come una donna! Ispirata dal desiderio di scrivere poesie, ora si rende conto che la attende una vita difficile come donna. È percepita nient’altro che come un corpo – un marinaio quasi cade dall’albero quando intravede la sua caviglia. Ma solo il suo corpo è cambiato, sotto tutti gli altri aspetti rimane la stessa persona. Di ritorno in Inghilterra, invita i suoi colleghi poeti Pope, Addison, Dryden e Duke a prendere il tè. Loro accettano, ma non prestano attenzione al suo lavoro. Quando rifiuta la proposta di matrimonio di Duke, questi la minaccia di farle perdere la casa e prevede che finirà la sua vita nella miseria come prostituta. Orlando donna vive l’atmosfera sociale opprimente dell’età vittoriana; dietro un’ipocrita facciata borghese, l’inettitudine degli individui rende facile per il potere trarne vantaggio sotto ogni aspetto. Le donne e i bambini sono le prime vittime: lo sfruttamento dei bambini ha raggiunto un massimo in questo momento storico. Il putto esprime speranza.
Parte II. La Prima Guerra Mondiale. Mentre fugge su terreni accidentati, Orlando si rompe la caviglia, ma viene portata in salvo dal fotografo di guerra Shelmerdine che conosce il suo lavoro “La quercia” e le chiede di sposarlo e diventare la madre di suo figlio. Orlando e Shelmerdine si sposano, ma non c’è fine alla miseria della guerra. Shelmerdine diventa corrispondente di guerra e dei suoi orrori. La generazione del 1968, incluso Orlando, vuole porre fine alla grande delusione. Orlando continua a scrivere. Negli anni ’80, Orlando ha una ragazza e entra in scena il computer. Orlando è arrogantemente ammonita da un gentiluomo: secondo lui sta imbrattando la purezza della letteratura. Dovrebbe smettere di scrivere e sposarsi. Anche Greene è sopravvissuto ai secoli ed è ora un editore di successo. Anche lui le dice che tipo di letteratura dovrebbe scrivere se vuole avere successo: deve mantenere tutto semplice, altrimenti non può pubblicare le sue opere, meno che mai come e-book. Anche se ha perso la casa (proprio come aveva predetto Duke), non si lascerà manipolare, ma preferisce aderire alla massima di Virginia Woolf: «Le parole odiano fare soldi…». Shelmerdine viene ucciso nella guerra in Iraq e Orlando piange la sua perdita. Il figlio genderqueer di Orlando è convinto che ci debba essere una via d’uscita dalla miseria, ci si deve solo avere il coraggio di essere quello che si è e non adattarsi. Orlando ha fornito questa possibilità a suo figlio. Nel frattempo, tuttavia, un altro movimento ha messo radici: “Prima noi! Prima noi!” grida la gente. Orlando vuole contrastare questo movimento con i suoi scritti. I “bambini sradicati” temono per il loro futuro, mentre per Orlando i tempi e le esperienze si stabiliscono saldamente nella sua memoria in modo che non dimenticherà. Il narratore sostiene che le differenze sono irrilevanti, solo l’umanità è un obbligo. Il passato, il presente e il futuro si dissolvono. Orlando continuerà a scrivere, perché: «Nessuno ha il diritto di obbedire». Il putto è convinto che troveremo la nostra libertà, i cori ci ammoniscono di stare all’erta e il narratore ha l’ironica ultima parola.

Come sono molti gli oltre quattro secoli in cui si sviluppa la vicenda, così sembrano molte le tre ore interminabili di uno spettacolo che si sviluppa in un prologo e diciannove scene. L’ambizioso messaggio politico prende la mano alle autrici del testo e della musica e non c’è argomento che non venga affrontato: solo negli ultimi trenta minuti si passa dai sovranismi all’ecologia, dal razzismo all’ideologia queer, dal consumismo all’incertezza di futuro per i giovani. La musica della Neuwirth è di impianto atonale, ma quando si aggrega in qualcosa di tonale subito l’intonazione devia così da creare una specie di musica “stonale” con i secondi violini volutamente accordati a un diapason minore. Nella sua eclettica partitura, diretta da Mattias Pintscher, entra di tutto, dall’aria barocca a Bella ciao ai riff della chitarra elettrica, così da ricreare quello che in pittura erano i manifesti strappati di Mimmo Rotella, con immagini differenti che appaiono in punti diversi del quadro. Il procedimento però ben presto stanca in mancanza di una linea musicale che capti in qualche modo l’attenzione dell’ascoltatore. Anche quanto si vede in scena, con la regia di Polly Graham e il set design di Roy Spahn, che utilizza in abbondanza il mezzo visivo (spezzoni di documentari storici e i video di Will Duke proiettati su pannelli mobili) affascina senza coinvolgere. Si ha un unico momento di emozione nella scena della Seconda Guerra mondiale: sullo sfondo compaiono i nomi di quanti hanno perso la vita nei campi di concentramento nazisti, nomi che lentamente sbiadiscono fino a scomparire sulle note del Concerto per due violini di Bach, che si spengono sull’immagine del fungo atomico e delle rovine della guerra.

Per il ’68 entrano in scena una batteria e una chitarra basso che si aggiungono all’orchestra per riprendere frammenti di successi rock del periodo fino ad arrivare al punk degli anni ’80. Presto si unirà un altro personaggio, il figlio di Orlando, qui impersonato dall’artista transgender Justin Vivian Bond, che canta la libertà di non essere o uomo o donna, mentre il coro inneggia alle lodi dei membri sessuali maschili e femminili.

Lunghi brani di testo sono recitati da un “narratore”, Anna Clementi, che dovrebbe avere le fattezze della Woolf, ma come per tutti gli altri personaggi, sono eccessivi e strampalati, in una parola brutti, i costumi firmati Comme les Garçons, così come esageratamente stravaganti sono le parrucche.

Non sono molte le cantanti che hanno la vocalità necessaria, la personalità e la stamina di affrontare una parte come questa di Orlando. Vengono in mente i nomi di Barbara Hannigan e di Kate Lindsey, ed è infatti a quest’ultima che tocca attraversare i secoli del libretto, ma diversamente dalla Elina dell’Affare Makropulos, qui cambia sesso e lotta per i suoi diritti. Il mezzosoprano americano è il giusto animale da palcoscenico e l’impervia parte vocale non è un problema per lei che deve usare un registro basso quando è uomo, e uno più acuto e varie fioriture quando diventa donna. Innegabile l’impegno anche degli altri interpreti tra cui Eric Jurenas (angelo custode un po’ inquietante) e Leigh Melrose (Shelmerdine e la maschera di Greene).

Come scrive il quotidiano viennese “Die Presse” all’indomani della prima: «Orlando è un ibrido sotto tutti gli aspetti, tra dramma teatrale e opera, tra epico e drammatico, tra postmoderno e avanguardia, tra i più diversi stili vocali e musicali. L’opera stessa, come il suo protagonista, sfida ogni definizione o incasellamento in una categoria consolidata, mettendo in pratica la sua stranezza a tutti i livelli e Neuwirth è straordinariamente coerente in questo senso. Se l’opera segnerà o meno una nuova pietra miliare, solo il futuro lo dirà. Ma la Staatsoper è sicuramente cresciuta da questo sforzo collettivo».

Olga Neuwirth è la prima donna a presentare una sua opera nel prestigioso teatro nei suoi 150 anni di esistenza.

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