Aquagranda

Filippo Perocco, Aquagranda

Venezia, Teatro La Fenice, 8 novembre 2016

★★★★☆

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Una storia di oggi con la musica di oggi

«Penso che i teatri abbiano una responsabilità che non deve essere solo quella di riproporre i capolavori del passato, ma prendersi dei rischi e fare delle scelte di politica culturale e identificare chi può raccontare le storie di oggi con la musica di oggi». Come non essere d’accordo con le parole del regista Damiano Michieletto che mette in scena Aquagranda, un lavoro di oggi in prima esecuzione, un’opera commissionata al giovane compositore Filippo Perocco, trevigiano classe 1972. Complimenti quindi al Teatro La Fenice per aver avuto il coraggio di aprire la sua stagione con questo dramma per musica in un atto su libretto a quattro mani di Luigi Cerantola e Roberto Bianchin, autore quest’ultimo del romanzo/reportage da cui è tratto.

Cinquant’anni fa, il 4 novembre 1966 a Venezia si registrò un’acqua alta mai così elevata da quando erano iniziate le rilevazioni sistematiche del fenomeno: quasi due metri sopra il livello normale e per un tempo interminabile. La vicenda narrata è ambientata nell’isola di Pellestrina, il primo lembo di terra a cedere sotto la pressione delle acque del mare che entrarono con tutta la loro violenza nella laguna. Quello stesso giorno anche Firenze veniva sommersa dalle acque del suo fiume gonfiato da una pioggia battente.

Pellestrina, 4 novembre 1966. Fortunato e Nane, due pescatori, uno anziano e uno giovane, guardano con preoccupazione il livello della marea. Il primo è più allarmato, crede che l’acqua continuerà a crescere, il secondo invece pensa che da un momento all’altro calerà. Il pessimismo di Fortunato – gli dice l’amico – è dovuto al suo malumore per la scelta del figlio Ernesto di andare lontano, in Germania, a lavorare come cameriere. Compare Ernesto, e nel dialogo tra padre e figlio si apprende che questa decisione – partire come emigrante invece di restare in isola a fare il pescatore – è nata dal desiderio di una vita migliore, dalla speranza di poter un giorno vivere un’esistenza diversa da quella del proprio padre e del proprio nonno. Fortunato non capisce le sue motivazioni, e ne nasce un breve scontro. Anche Lilli, la giovane moglie di Ernesto, condivide la contrarietà e i dubbi del suocero. Quest’ultima e il marito comunque si accingono ad andare a comprare delle scarpe al mercato, in vista dell’imminente partenza di Ernesto. Il tempo sembra peggiorare, e l’acqua continua a crescere inesorabile. Sopraggiunge Luciano, il farmacista, e mette Fortunato ed Ernesto al corrente delle ultime notizie sentite alla radio: tutta l’Europa è agitata da fortunali, acquazzoni e tempeste. La preoccupazione generale aumenta. Tornano Ernesto e Lilli, mentre inizia a piovere. Comincia a serpeggiare la paura, ma ancora si pensa che sia, tutto sommato, abbastanza naturale: a novembre, da sempre, l’acqua cresce e cala allo stesso modo. Fortunato, che conosce a menadito la situazione meteorologica di Pellestrina, nota invece che sta accadendo qualcosa di strano e insolito. A mezzanotte l’acqua arriva all’altezza di un metro. Le donne, turbate, non riescono a dormire. La marea sale, inonda l’isola, entra nelle case, l’abitazione di Ernesto e Fortunato rimane al buio. Mentre Lilli e la sua amica Leda si scambiano parole agitate dai rispettivi terrazzini, Ernesto e il padre sono intenti a mettere al riparo più cose possibile nei ripiani alti degli armadi. Tutti aspettano, tra angosce e speranze, che l’acqua cominci a ritirarsi. Lilli e Leda pregano Dio perché salvi la loro isola. Si ode un enorme boato, come fosse scoppiata una bomba. Il maresciallo dei Carabinieri, Cester, arriva con una notizia tremenda: si è aperta una falla nei murazzi che proteggono Pellestrina da più di duecento anni. Il mare sta impadronendosi della laguna. Soffia forte il vento, mentre l’acqua raggiunge il secondo piano delle case. La paura diviene terrore, ciascuno ora teme per la propria vita. I murazzi cedono definitivamente, nella località di Portosecco: Cester ordina attraverso un altoparlante l’evacuazione dell’isola. Fortunato decide di restare, succeda quel che succeda. Ernesto rimane con lui. Il farmacista, con un megafono, avverte tutta la popolazione del grave pericolo che incombe su di loro. Lilli e Leda partono con gli altri, Luciano resta con Fortunato ed Ernesto: per darsi coraggio e vincere la paura porta una bottiglia di vino da condividere. L’acqua continua a crescere, arriva quasi alle finestre dei piani alti. Si sente una sirena in lontananza, che sibila tre volte. La gente ha lasciato Pellestrina. Arriva anche Cester, l’unico, oltre ai tre amici, che non ha abbandonato l’isola. Con sé ha una bandiera bianca, che potrebbe forse segnalare la loro presenza a qualche aereo di passaggio. Il cielo è nero, la marea non dà cenno di recedere. A un certo punto però – quando ormai si crede sia tutto perduto – Fortunato, il più esperto del quartetto, nota un impercettibile cambiamento: il vento si è fermato. L’insidioso scirocco non soffia più. Il mare cessa di salire minaccioso. L’acqua comincia, quasi miracolosamente, a calare. La vita è salva, gli sfollati, tra cui Lilli e Leda ritornano alle loro case. Tutti festeggiano: l’aquagranda finalmente non fa più paura. La potenza distruttrice e la forza immane dell’acqua sono celebrati dal Coro, voce della laguna, che apre e chiude l’opera e accompagna con un continuo, poetico controcanto le emozioni contrastanti dei protagonisti.

Prima opera di grande respiro di Perocco, suddivisa in dodici scene e un epilogo, Aquagranda si basa su una partitura fatta di lacerti, di suoni impuri, “scarti tonali”, “detriti sonori”, “processi di erosione”, secondo la parole dell’autore: gli inquietanti crepitii realizzati dal pianoforte preparato mantengono alta la tensione in un ambiente sonoro che non descrive ma evoca la forza della natura e gli effetti delle sue devastazioni. La scrittura musicale è spoglia, essenziale, prosciugata. C’è chi ha fatto il nome di Anton Webern a proposito della stile compositivo di Perocco.

Il coro ai lati del palcoscenico è la Voce della Laguna e l’effetto stereofonico ottenuto non è lontano da quello dei “cori spezzati” di Andrea Gabrieli intonati nella non lontana Basilica di San Marco – anche se qui non c’è lo stile dialogico del compositore veneziano, bensì un brusio dapprima inintelligibile, poi frammenti ripetuti di parole in dialetto e citazioni di canti lagunari. Non sono le parole con il loro significato che interessano al compositore, bensì il loro suono, la loro suggestione timbrica. Molti sono i fenomeni di allitterazioni offerti dal libretto e sono questi elementi a esaltare la teatralità di un lavoro che altrimenti è senza soluzione di continuità nella sua drammaticità e che ha l’inesorabilità dell’acqua che sale. Solo verso la fine raggiunge una tensione drammatica che sfocia nel quartetto della penultima scena in cui affiora qualche spunto melodico.

Il geniale allestimento scenico di Michieletto è l’altro elemento teatrale di questa drammaturgia. La scena ideata da Paolo Fantin consiste in una parete di vetro su cui vengono proiettati spezzoni in bianco e nero delle immagini di allora, ma la parete si rivela essere un enorme serbatoio trasparente che lentamente si riempie fino a poi scaricare tutta la massa d’acqua in una pioggia scrosciante. Sarebbe riduttivo definire questo un geniale coup de théâtre tanto il gesto è conforme alla drammaturgia. Da quel momento in poi il palcoscenico è una pozza d’acqua in cui sguazzano i mimi-danzatori, gli uomini a torso nudo e calzoni neri e le donne in abiti verde acqua, che preparano al finale fiducioso con la riappacificazione degli uomini con l’acqua della laguna, «aqua sposa, amorosa, aqua tosa, me morosa». Ottima prova è proprio quella del doppio coro, come pure dei solisti. Assieme a tutti gli altri hanno dimostrato grande abnegazione ad affrontare un’opera nuova e vocalmente impegnativa. La direzione di Marco Angius, grande interprete della musica di oggi, ha messo in luce analiticamente le particolarità di questa partitura rarefatta.

Ben nove sono le rappresentazioni di questa nuova opera e alcune dedicate agli allievi delle scuole.

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