Die Vögel (Gli uccelli)

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★★★☆☆

Una parabola pessimista

Quasi due generazioni di compositori tedeschi di origine ebrea hanno dovuto fare duramente i conti con il Nazismo o venendo essi annientati nei campi di concentramento (Viktor Ullmann, 1898-1944), costretti all’esilio (Ernst Křenek, 1900-1991; Erich Korngold, 1897-1957; Berthold Goldschmidt, 1903-1996) o comunque perseguitati come “artisti degenerati” e la loro musica bandita (Alexander von Zemlinsky, 1871-1942 e Franz Schreker, 1878-1934 fra i tanti).

Non dissimile fu la sorte di Walter Braunfels (1882-1954) la cui opera Die Vögel (Gli uccelli), presentata al Nationaltheater di Monaco di Baviera il 30 novembre 1920 con la direzione di Bruno Walter fu replicata oltre cinquanta volte per poi venir ripresa con altrettanto successo a Berlino e a Colonia da Klemperer. Il lavoro piacque talmente a Hitler che, senza sapere trattarsi di un musicista mezzo ebreo, incaricò Braunfels di scrivergli l’inno del Partito Nazista, cosa che il compositore sdegnosamente rifiutò. Nel 1933 Braunfels perse il posto di direttore del conservatorio di Colonia e visse il resto della vita in esilio in Svizzera.

Prologo. L’usignolo accoglie il pubblico nel regno degli uccelli, esaltando le sue virtù utopiche. Tuttavia, confessa un desiderio insoddisfatto nella sua anima.
Atto I. Hoffegut (Sperabene) e Ratefreund (Fidoamico), disillusi dai loro simili, partono per una regione desolata alla ricerca dell’upupa, re degli uccelli. Incontrano lo Scricciolo, che è sospettoso degli umani, ma riescono a persuaderlo a convocare il suo padrone. Risvegliata dal sonno, l’Upupa, che una volta era stata lui stesso un uomo, affronta Hoffegut e Ratefreund, che dichiarano il loro desiderio di vivere tra gli uccelli spensierati. Quando l’Upupa sospira che gli uccelli non hanno un vero regno da chiamare proprio, Hoffegut osserva che il cielo è il loro dominio. L’Upupa esita, osservando che l’aria appartiene a tutte le creature. Ratefreund proclama che gli uccelli dovrebbero costruire una grande città tra le nuvole, fortificata contro gli uomini in basso e gli dèi in alto. Hoffegut è scettico, ma l’Upupa abbraccia la proposta con entusiasmo e convoca gli uccelli al suo fianco, annunciando che sono arrivati ​​due uomini con un piano che andrà a beneficio degli uccelli. La prima reazione degli uccelli è denunciare gli uomini come malvagi e traditori. Tuttavia, nonostante un avvertimento da parte dell’Aquila, l’Upupa convince la folla ad ascoltarli. Giocando sulle loro emozioni, Ratefreund ricorda un’età dell’oro in cui gli uccelli erano venerati dagli uomini e li incita a reclamare la loro gloria perduta. Galvanizzati, gli uccelli si impegnano nel piano escogitato da Ratefreund, anche se significa guerra. Anche Hoffegut è coinvolto nell’eccitazione, immaginando ingenuamente un mondo migliore a portata di mano. Incoraggiato dal suo successo, Ratefreund esige che gli uccelli lo onorino come loro signore e padrone, e loro acconsentono volentieri. In mezzo a tanta gioia, gli uccelli si precipitano per iniziare la loro grande impresa.
Atto II. La notte successiva. Hoffegut viene risvegliato dalla canzone dell’Usignolo. Si sente rivitalizzato, inebriato dalla sua dolce voce e lo supplica di avvicinarsi e gli chiede di insegnargli a vedere il mondo attraverso i suoi occhi. All’inizio l’uccello gli dice che non riuscirà mai a capire cosa significhi vivere in armonia con l’universo, ma la sua dichiarazione d’amore la fa cedere e gli dà un bacio sulla fronte, esaudendo il suo desiderio. L’aria si riempie delle voci del profumo dei fiori, e Hoffegut soccombe al loro incanto e sviene. L’alba illumina la cittadella nel cielo costruita dagli uccelli. Guidati dall’Upupa e da Ratefreund, gli uccelli vantano le loro nobili conquiste e il loro imminente dominio su tutti gli esseri viventi. Un corteo nuziale si fa largo tra la folla, guidato dallo Scricciolo, che annuncia con orgoglio l’arrivo dei primi sposi ad entrare nella grande città. Tutti si uniscono alla celebrazione nuziale, che culmina in una danza cerimoniale guidata da due colombe come sposa e sposo. L’atmosfera è sconvolta quando altri uccelli si precipitano dentro, gridando a gran voce che una potente creatura ha sfondato le barricate. Lo straniero entra, pesantemente ammantato, e gli uccelli si rannicchiano per la paura. L’Upupa e Ratefreund sfidano l’intruso, che annuncia di essere venuto come amico ad ammonirli; grazie alla grazia di Zeus, è stata data loro la possibilità di riorganizzarsi e sottomettersi alla volontà degli dèi. Gli uccelli reagiscono con aria di sfida, dopo di che lo straniero rivela di essere il titano Prometeo, che una volta si era ribellato agli dèi ed era stato punito severamente. Nonostante questo terribile avvertimento e le perplessità espresse da Hoffegut e dall’Upupa, Ratefreund esorta sfacciatamente gli uccelli a dichiarare guerra agli dèi. All’improvviso scoppia una terribile tempesta che manifesta l’ira di Zeus e un fulmine distrugge la cittadella degli uccelli. Castigati, gli uccelli cantano un inno di lode e ringraziamento a Zeus. Ratefreund emerge dal nascondiglio. Congedando l’intera avventura tra gli uccelli come un’allodola sciocca, esorta Hoffegut a tornare con lui nelle comodità di casa in città. Hoffegut si sofferma per un momento, riflettendo sul suo breve incontro con l’Usignolo, un’esperienza che vivrà per sempre nel suo cuore. Mentre si gira per andarsene, si sente ancora una volta il richiamo dell’Usignolo; sopraffatto dall’emozione, Hoffegut si mette in viaggio verso casa.

Musicista di grande successo tra le due guerre, dopo la morte cadde nel dimenticatoio poiché il suo stile neo-romantico veniva considerato conservatore e passatista. Solo recentemente la sua musica è stata in parte recuperata, ad esempio, da James Conlon che col suo progetto “Recovered Voices” della OREL Foundation ha dato nuova voce ai compositori perseguitati dalla tirannide nazista.

Nel 2009 Conlon dirige dunque a Los Angeles questa opera “lirica fantastica” in 1 prologo e 2 atti su libretto del compositore. Ispirata all’omonima commedia di Aristofane tratta infatti di «due cittadini di Atene, in fuga dal regime democratico, il quale significa egualitarismo coattivo, delazioni, multe, confische, condanne all’esilio e a morte, sono in cammino verso il libero Regno degli Uccelli: Pisetero ed Euelpide si chiamano, nomi che Walter Braunfels, nella sua opera, solo per lo spunto iniziale tratta dagli Uccelli e recante lo stesso titolo, traduce Fidoamico [Ratefreund] e Sperabene [Hoffegut]. Cercano una città ove si possa vivere così: “una città di lana morbida, per sdraiarsi come su una pelliccia bella soffice”. Per questo, lo spazio immenso intercorrente fra la terra e l’etere abitato dagli dèi sembra la regione giusta; e gli uccelli, fatti di gioia e per la gioia viventi, liberi, paiono i compagni ideali. Ma giunti presso di loro e parlato con l’Upupa, che prima era un uomo, Pisetero esprime ben più ambizioso piano. Esser gli Uccelli stirpe più antica, non che degli Dei, dello stesso Crono; poter essi dunque rivendicare i loro diritti anche contro gli uomini, che ne fanno strame. Potersi tutto lo spazio mediano tra i due mondi estremi circondare di mura e trasformare in città fortificata: ecco l’ idea. Allora il fumo dei sacrificî non si alzerebbe più, nutriente agli Dei, fino all’etere: costoro si ridurrebbero alla fame! […] Walter Braunfels era di sensi profondamente cattolici. Non poteva accettare una religione che si prende giuoco dei suoi dèi né voleva concepirne la profondità; e lo smisurato comico di Aristofane non era per il suo raffinato, appena appena estenuato, neo-classicismo. Il dramma ch’egli trae da Aristofane addirittura capovolge l’esempio, da non potersi chiamare nemmeno fonte; e mette capo a una restaurata religione per la quale uno Zeus-Jahvé, in scena deus absconditus, reprime facilmente la velleitaria rivolta e viene adorato dal popolo degli uccelli. I due ometti si ritrovano sulla superficie terrestre disgraziati come ne erano partiti; ma uno dei due, Sperabene, è più ricco e insieme più povero perché ha dentro di sé la dolorosa dolcezza del ricordo». (1)

Il linguaggio musicale del compositore di Francoforte tocca il punto più alto nel quadro notturno del secondo atto dove «Braunfels dedica, in via secondaria, un omaggio anche all’apertura dei Gurre-Lieder di Schönberg, […] tra le alte cose del Novecento musicale. Nella scena percorsa da brividi l’autore finge il desiderio di un arcano rapporto tra l’umana natura di Sperabene e quella non-umana del bellissimo Usignuolo, un soprano di coloratura del quale cercheremo il precedente non nei tanti esempî storici che subito vengono alla memoria, ma nella suprema eleganza della Fata-Madrina della Cendrillon di Massenet, a comprovare questo versante misterico (in senso romantico) dell’opera».

L’Usignolo in questa versione di Los Angeles ha la voce di Desirée Rancatore che svolge con disinvoltura le agilità richieste della parte. Il sognatore Hoffegut ha l’interessante e timbrata voce dell’allora emergente tenore americano Brandon Jovanovich, quasi una controfigura di Jim Carrey.

In ogni nota della partitura James Conlon dimostra la sua grande attenzione a questa musica, ma la sua amorevole lettura non riesce a trasformare in capolavoro quest’opera che non riesce a coinvolgere, manca di drammaticità (per non parlare di umorismo) e si sviluppa in maniera convenzionale, indecisa tra Zauberflöte e Parsifal.

Neanche l’ingenua messa in scena di Darko Tresnjak, i costumi filo-egiziani e i balletti con grande sbattere di braccia a simulare ali fanno il miracolo di convincere e l’interesse per la tenue vicenda si esaurisce con l’ultima nota della peraltro lussureggiante partitura.

Nel disco ArtHaus ci sono sottotitoli anche in italiano, ma nessun extra.

(1) Le citazioni sono di Paolo Isotta che recensisce l’allestimento al Lirico di Cagliari (aprile 2007) di Giancarlo Cobelli con la direzione di Roberto Abbado.


  • Die Vögel, Metzmacher/Castorf, Monaco, 31 ottobre 2020

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