Aristofane

Die Vögel

photos © Bayerische Staatsoper

Walter Braunfels, Die Vögel (Les oiseaux)

★★★☆☆

Munich, Nationaltheater, 31 octobre 2020

(live streaming)

 Qui la versione italiana

La Götterdämmerung d’un compositeur (à demi) juif

Walter Braunfels est né à Francfort en 1882 d’Hélène Spohr, arrière-petit-fils du célèbre compositeur et chef d’orchestre allemand. Il grandit dans une famille d’intellectuels et abandonne ses études de droit et d’économie pour celles de musique après avoir assisté au Tristan de Wagner. En 1913, il commence la composition de son troisième opéra, Les Oiseaux, sur un livret qu’il écrit lui-même, mais la première n’a lieu qu’en 1920 – avec un grand succès. Hitler l’apprécia beaucoup : il ignorait que son compositeur était à moitié juif…

la suite sur premiereloge-opera.com

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Die Vögel

foto © Bayerische Staatsoper

Walter Braunfels, Die Vögel (Gli uccelli)

★★★☆☆

Monaco, Nationaltheater, 31 ottobre 2020

(live streaming)

bandiera francese.jpg Ici la version française

La Götterdämmerung di un mezzo ebreo

Tra le pagine in tedesco di Wikipedia ce n’è una che riporta la lista, in stretto ordine alfabetico, dei compositori uccisi dai Nazisti: 57, da Heinz Alt a Vilém Zrzavý. Ancora più lunga la lista di quelli perseguitati e costretti all’esilio, 132. Alla lettera B compare il nome di Walter Braunfels.

Era nato a Francoforte nel 1882 da Hélène Spohr, pronipote del celebre compositore e direttore d’orchestra tedesco. Cresciuto in una famiglia di intellettuali abbandonò gli studi di legge ed economia per quelli di musica dopo aver assistito al Tristano di Wagner. Nel 1913 iniziò a comporre la sua terza opera Gli uccelli su libretto proprio, ma la prima avvenne soltanto nel 1920, in compenso con grande successo. Piacque anche molto a Hitler, che non sapeva fosse di un autore mezzo ebreo e proprio per questo nel 1933 Braunfels fu costretto all’esilio in Svizzera dopo aver perso il posto di direttore al Conservatorio di Colonia. Dopo la sua morte nel 1954 il suo stile neo-romantico, se non addirittura neo-wagneriano, non fu più apprezzato e solo recentemente la sua musica è stata in parte recuperata, a partire dalla incisione discografica nella collana “Entartete Musik” (Musica degenerata) della Decca del 1995

Opera “lirica fantastica” in un prologo e due atti, Gli uccelli è liberamente ispirata alla omonima commedia di Aristofane: due umani delusi dalla vita sulla Terra si recano nel regno degli uccelli e li convincono a costruire la loro città tra la Terra e il Cielo, così da intercettare le offerte degli uomini agli dèi che abitano al di sopra e assicurare ai pennuti la signoria del mondo. Ma gli dèi puniscono gli uccelli, che si sono sono lasciati corrompere da un umano fino a sfidare i valori eterni, e distruggono la città. Davanti alla potenza del divino rivelata nella tempesta, gli uccelli cantano un inno solenne. I due amici ritornano sulla Terra: uno, identico a prima, al conforto del suo focolare e l’altro, profondamente mutato, con il ricordo del canto dell’Usignolo.

Oltre ai due terrestri – Fidoamico deluso dall’arte e Sperabene dall’amore – gli altri personaggi principali sono l’Upupa, un ex-umano ora re degli uccelli, l’Usignolo, anche lei (in tedesco Nachtigall è femminile) un ex-umano che cova il segreto di aver ucciso il proprio figlio e che all’amore vero preferisce l’idea di amore quale è espressa dal chiaro di luna. In Braunfels Prometeo non è il traditore della favola di Aristofane, ma l’ammonitore, colui che mette in guardia gli uccelli dalla vendetta di Zeus – lui ne sa qualcosa…

Quasi esattamente cento anni dopo, Gli uccelli ritornano a Monaco dove erano stati presentati la prima volta il 20 novembre 1920. Ingo Metzmacher dirige l’orchestra del teatro con mano leggera: le trasparenze atmosferiche della partitura sono rese mirabilmente, così come i nostalgici incisi melodici tipici della musica di Braunfels, vicina a quella di Korngold per struggente cantabilità, e gli evidenti richiami straussiani.

L’Usignolo in Aristofane aveva solo una piccola parte decorativa, in Braunfels è invece il personaggio centrale della favola, in risposta al panteistico e spirituale anelito di Sperabene. Quella dell’Usignolo è una parte che nell’opera del Novecento si affianca a quella di Zerbinetta (Arianna a Nasso, Strauss) o della regina di Šemacha (Il gallo d’oro, Rimskij-Korsakov) per difficoltà e tessitura acuta. Qui Caroline Wettergreen supera la prova a pieni voti e per di più esibisce una presenza scenica ragguardevole, il che non guasta. I due umani trovano in Charles Workman (il lirico e sognatore Sperabene) e Michael Nagy (il cinico e indifferente Fidamico) eccellenti interpreti, soprattutto Workman impegnato nello struggente monologo finale. Un altro notevole monologo è quello di Prometeo, qui un autorevole Wolfgang Koch che evidenzia il debito wagneriano di Braunfels. Günter Papendell (l’Upupa), Emily Pogorelc (lo Scricciolo) e Bálint Szabó (l’Aquila) sono gli altri efficaci interpreti.

Poco convincente la messa in scena di Frank Castorf, irrisolta tra realismo e fiaba, la sua lettura ha certe cadute di gusto. Il regista prestato alla lirica dopo il cinema lascia i cantanti senza indicazioni e questi si muovono a caso ognuno con una sua scelta interpretativa diversa. Nell’horror vacui tipico di Castorf c’è un po’ di tutto, ma non tutto fila liscio: vasi cadono, copricapi non stanno a loro posto, costumi impacciano i cantanti. Forse il numero di prove non è stato sufficiente. La scenografia di Aleksandar Denić è la replica di quella utilizzata per Da una casa di morti nello stesso teatro due anni fa: una piattaforma rotante con una struttura praticabile irta di antenne, ripetitori televisivi, un radar, schermi televisivi, poster pubblicitari (là era la Pepsi qui la Coca Cola…) e la faccia sorniona di Hitchcock, l’autore di The Birds, il film le cui drammatiche immagini contrastano con l’inno di esultanza per la costruzione della città.

Sono tanti i riferimenti iconografici nei costumi di Adriana Braga Peretzki: le uniformi da ufficiali delle SS, i piumati costumi degli uccelli, le maschere, i travestimenti. Una via di mezzi tra Halloween e il carnevale di Rio. Non mancano le riprese video in tempo reale con steadycam, quasi un obbligo nelle regie di oggi, così come la pioggia finale.

Questa doveva essere la prima di una serie di repliche. Tutte cancellate quelle di novembre a causa della pandemia da Covid-19. Angoscianti e surreali le riprese della platea vuota, ma almeno lo spettacolo raggiungerà un pubblico molto più vasto: per un mese sarà disponibile come video on demand sul sito del teatro.

 

Die Vögel (Gli uccelli)

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★★★☆☆

Una parabola pessimista

Quasi due generazioni di compositori tedeschi di origine ebrea hanno dovuto fare duramente i conti con il Nazismo o venendo essi annientati nei campi di concentramento (Viktor Ullmann, 1898-1944), costretti all’esilio (Ernst Křenek, 1900-1991; Erich Korngold, 1897-1957; Berthold Goldschmidt, 1903-1996) o comunque perseguitati come “artisti degenerati” e la loro musica bandita (Alexander von Zemlinsky, 1871-1942 e Franz Schreker, 1878-1934 fra i tanti).

Non dissimile fu la sorte di Walter Braunfels (1882-1954) la cui opera Die Vögel (Gli uccelli), presentata al Nationaltheater di Monaco di Baviera il 30 novembre 1920 con la direzione di Bruno Walter fu replicata oltre cinquanta volte per poi venir ripresa con altrettanto successo a Berlino e a Colonia da Klemperer. Il lavoro piacque talmente a Hitler che, senza sapere trattarsi di un musicista mezzo ebreo, incaricò Braunfels di scrivergli l’inno del Partito Nazista, cosa che il compositore sdegnosamente rifiutò. Nel 1933 Braunfels perse il posto di direttore del conservatorio di Colonia e visse il resto della vita in esilio in Svizzera.

Prologo. L’usignolo accoglie il pubblico nel regno degli uccelli, esaltando le sue virtù utopiche. Tuttavia, confessa un desiderio insoddisfatto nella sua anima.
Atto I. Hoffegut (Sperabene) e Ratefreund (Fidoamico), disillusi dai loro simili, partono per una regione desolata alla ricerca dell’upupa, re degli uccelli. Incontrano lo Scricciolo, che è sospettoso degli umani, ma riescono a persuaderlo a convocare il suo padrone. Risvegliata dal sonno, l’Upupa, che una volta era stata lui stesso un uomo, affronta Hoffegut e Ratefreund, che dichiarano il loro desiderio di vivere tra gli uccelli spensierati. Quando l’Upupa sospira che gli uccelli non hanno un vero regno da chiamare proprio, Hoffegut osserva che il cielo è il loro dominio. L’Upupa esita, osservando che l’aria appartiene a tutte le creature. Ratefreund proclama che gli uccelli dovrebbero costruire una grande città tra le nuvole, fortificata contro gli uomini in basso e gli dèi in alto. Hoffegut è scettico, ma l’Upupa abbraccia la proposta con entusiasmo e convoca gli uccelli al suo fianco, annunciando che sono arrivati ​​due uomini con un piano che andrà a beneficio degli uccelli. La prima reazione degli uccelli è denunciare gli uomini come malvagi e traditori. Tuttavia, nonostante un avvertimento da parte dell’Aquila, l’Upupa convince la folla ad ascoltarli. Giocando sulle loro emozioni, Ratefreund ricorda un’età dell’oro in cui gli uccelli erano venerati dagli uomini e li incita a reclamare la loro gloria perduta. Galvanizzati, gli uccelli si impegnano nel piano escogitato da Ratefreund, anche se significa guerra. Anche Hoffegut è coinvolto nell’eccitazione, immaginando ingenuamente un mondo migliore a portata di mano. Incoraggiato dal suo successo, Ratefreund esige che gli uccelli lo onorino come loro signore e padrone, e loro acconsentono volentieri. In mezzo a tanta gioia, gli uccelli si precipitano per iniziare la loro grande impresa.
Atto II. La notte successiva. Hoffegut viene risvegliato dalla canzone dell’Usignolo. Si sente rivitalizzato, inebriato dalla sua dolce voce e lo supplica di avvicinarsi e gli chiede di insegnargli a vedere il mondo attraverso i suoi occhi. All’inizio l’uccello gli dice che non riuscirà mai a capire cosa significhi vivere in armonia con l’universo, ma la sua dichiarazione d’amore la fa cedere e gli dà un bacio sulla fronte, esaudendo il suo desiderio. L’aria si riempie delle voci del profumo dei fiori, e Hoffegut soccombe al loro incanto e sviene. L’alba illumina la cittadella nel cielo costruita dagli uccelli. Guidati dall’Upupa e da Ratefreund, gli uccelli vantano le loro nobili conquiste e il loro imminente dominio su tutti gli esseri viventi. Un corteo nuziale si fa largo tra la folla, guidato dallo Scricciolo, che annuncia con orgoglio l’arrivo dei primi sposi ad entrare nella grande città. Tutti si uniscono alla celebrazione nuziale, che culmina in una danza cerimoniale guidata da due colombe come sposa e sposo. L’atmosfera è sconvolta quando altri uccelli si precipitano dentro, gridando a gran voce che una potente creatura ha sfondato le barricate. Lo straniero entra, pesantemente ammantato, e gli uccelli si rannicchiano per la paura. L’Upupa e Ratefreund sfidano l’intruso, che annuncia di essere venuto come amico ad ammonirli; grazie alla grazia di Zeus, è stata data loro la possibilità di riorganizzarsi e sottomettersi alla volontà degli dèi. Gli uccelli reagiscono con aria di sfida, dopo di che lo straniero rivela di essere il titano Prometeo, che una volta si era ribellato agli dèi ed era stato punito severamente. Nonostante questo terribile avvertimento e le perplessità espresse da Hoffegut e dall’Upupa, Ratefreund esorta sfacciatamente gli uccelli a dichiarare guerra agli dèi. All’improvviso scoppia una terribile tempesta che manifesta l’ira di Zeus e un fulmine distrugge la cittadella degli uccelli. Castigati, gli uccelli cantano un inno di lode e ringraziamento a Zeus. Ratefreund emerge dal nascondiglio. Congedando l’intera avventura tra gli uccelli come un’allodola sciocca, esorta Hoffegut a tornare con lui nelle comodità di casa in città. Hoffegut si sofferma per un momento, riflettendo sul suo breve incontro con l’Usignolo, un’esperienza che vivrà per sempre nel suo cuore. Mentre si gira per andarsene, si sente ancora una volta il richiamo dell’Usignolo; sopraffatto dall’emozione, Hoffegut si mette in viaggio verso casa.

Musicista di grande successo tra le due guerre, dopo la morte cadde nel dimenticatoio poiché il suo stile neo-romantico veniva considerato conservatore e passatista. Solo recentemente la sua musica è stata in parte recuperata, ad esempio, da James Conlon che col suo progetto “Recovered Voices” della OREL Foundation ha dato nuova voce ai compositori perseguitati dalla tirannide nazista.

Nel 2009 Conlon dirige dunque a Los Angeles questa opera “lirica fantastica” in 1 prologo e 2 atti su libretto del compositore. Ispirata all’omonima commedia di Aristofane tratta infatti di «due cittadini di Atene, in fuga dal regime democratico, il quale significa egualitarismo coattivo, delazioni, multe, confische, condanne all’esilio e a morte, sono in cammino verso il libero Regno degli Uccelli: Pisetero ed Euelpide si chiamano, nomi che Walter Braunfels, nella sua opera, solo per lo spunto iniziale tratta dagli Uccelli e recante lo stesso titolo, traduce Fidoamico [Ratefreund] e Sperabene [Hoffegut]. Cercano una città ove si possa vivere così: “una città di lana morbida, per sdraiarsi come su una pelliccia bella soffice”. Per questo, lo spazio immenso intercorrente fra la terra e l’etere abitato dagli dèi sembra la regione giusta; e gli uccelli, fatti di gioia e per la gioia viventi, liberi, paiono i compagni ideali. Ma giunti presso di loro e parlato con l’Upupa, che prima era un uomo, Pisetero esprime ben più ambizioso piano. Esser gli Uccelli stirpe più antica, non che degli Dei, dello stesso Crono; poter essi dunque rivendicare i loro diritti anche contro gli uomini, che ne fanno strame. Potersi tutto lo spazio mediano tra i due mondi estremi circondare di mura e trasformare in città fortificata: ecco l’ idea. Allora il fumo dei sacrificî non si alzerebbe più, nutriente agli Dei, fino all’etere: costoro si ridurrebbero alla fame! […] Walter Braunfels era di sensi profondamente cattolici. Non poteva accettare una religione che si prende giuoco dei suoi dèi né voleva concepirne la profondità; e lo smisurato comico di Aristofane non era per il suo raffinato, appena appena estenuato, neo-classicismo. Il dramma ch’egli trae da Aristofane addirittura capovolge l’esempio, da non potersi chiamare nemmeno fonte; e mette capo a una restaurata religione per la quale uno Zeus-Jahvé, in scena deus absconditus, reprime facilmente la velleitaria rivolta e viene adorato dal popolo degli uccelli. I due ometti si ritrovano sulla superficie terrestre disgraziati come ne erano partiti; ma uno dei due, Sperabene, è più ricco e insieme più povero perché ha dentro di sé la dolorosa dolcezza del ricordo». (1)

Il linguaggio musicale del compositore di Francoforte tocca il punto più alto nel quadro notturno del secondo atto dove «Braunfels dedica, in via secondaria, un omaggio anche all’apertura dei Gurre-Lieder di Schönberg, […] tra le alte cose del Novecento musicale. Nella scena percorsa da brividi l’autore finge il desiderio di un arcano rapporto tra l’umana natura di Sperabene e quella non-umana del bellissimo Usignuolo, un soprano di coloratura del quale cercheremo il precedente non nei tanti esempî storici che subito vengono alla memoria, ma nella suprema eleganza della Fata-Madrina della Cendrillon di Massenet, a comprovare questo versante misterico (in senso romantico) dell’opera».

L’Usignolo in questa versione di Los Angeles ha la voce di Desirée Rancatore che svolge con disinvoltura le agilità richieste della parte. Il sognatore Hoffegut ha l’interessante e timbrata voce dell’allora emergente tenore americano Brandon Jovanovich, quasi una controfigura di Jim Carrey.

In ogni nota della partitura James Conlon dimostra la sua grande attenzione a questa musica, ma la sua amorevole lettura non riesce a trasformare in capolavoro quest’opera che non riesce a coinvolgere, manca di drammaticità (per non parlare di umorismo) e si sviluppa in maniera convenzionale, indecisa tra Zauberflöte e Parsifal.

Neanche l’ingenua messa in scena di Darko Tresnjak, i costumi filo-egiziani e i balletti con grande sbattere di braccia a simulare ali fanno il miracolo di convincere e l’interesse per la tenue vicenda si esaurisce con l’ultima nota della peraltro lussureggiante partitura.

Nel disco ArtHaus ci sono sottotitoli anche in italiano, ma nessun extra.

(1) Le citazioni sono di Paolo Isotta che recensisce l’allestimento al Lirico di Cagliari (aprile 2007) di Giancarlo Cobelli con la direzione di Roberto Abbado.


  • Die Vögel, Metzmacher/Castorf, Monaco, 31 ottobre 2020