Weiße Rose

 

Udo Zimmermann, Weiße Rose

★★★★☆

Vienna, MuTh, 30 giugno 2017

(video streaming)

Il coraggio della gioventù

Ci voleva un grande coraggio per resistere al Nazismo nella Germania del 1942. Questo coraggio l’ebbe un gruppo di studenti poco più che ventenni dell’Università di Monaco: i fratelli Hans e Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell e Willi Graf. Assieme formarono la “Weiße Rose” (Rosa bianca) per opporsi in modo non violento al Nazismo. Ad essi si unì in seguito il professore Kurt Heber per la stesura di sei opuscoli in cui si incitavano i tedeschi alla resistenza passiva contro il regime nazista. Il settimo non fu distribuito perché i volantini caddero nelle mani della Gestapo e tutti quanti furono arrestati e giustiziati nel 1943. (1)

Venticinque anni dopo, i fatti vengono adattati dal compositore Udo Zimmermann, che era nato a Dresda proprio in quell’anno, per un’opera da camera in un atto con due voci soliste che raccontano gli ultimi istanti di vita dei due fratelli. E col fratello del compositore, Ingo Zimmermann, avviene la stesura del libretto.

Presentata nel 1967, Weiße Rose ha subito una revisione nel 1986 con l’ampiamento dell’organico ed è in questa versione con dodici strumentisti che viene presentata all’Armel Opera Festival in un allestimento di Anna Drescher, regista insignita nel 2015 dello EOP (European Opera-directing Prize).

La musica dura e atonale di Udo Zimmermann dipinge bene la solitudine dei due giovani in attesa della morte, ma non mancano sprazzi di struggente liricità che esprimono la nostalgia per la breve vita, mentre certi passaggi marziali la loro indomita determinazione. Parlato, canto a bocca chiusa, una vocalità cangiante e la gestualità danno teatralità a una vicenda altrimenti statica, appena interrotta da momenti che qui assumono un loro forte significato: lo scambio quasi ossessivo delle giacche, una mela sbucciata e mangiata, i giochi fra fratelli. La scena vuota e buia si riempie solo di lunghe strisce di carta che scendono dall’alto e poi di fogli sparsi a richiamare i volantini gettati all’università per l’ultima volta. Proiettate sulle strisce immagini che si deformano accentuano l’angoscia di due giovani vite che stanno per essere stroncate, angoscia in parte alleviata dalla fede cristiana che professano. Momenti di rassegnazione – «Ich bin zu schwach» (sono troppo debole) intonano a un certo punto in un lugubre duetto scandito dalle percussioni – si alternano fino all’ultimo a momenti di resistenza, anche  contro le pareti che si chiudono inesorabili su loro. Ma hanno ancora la forza di leggere un’ultima volta i loro scritti mentre avanza il terribile ritmo di marcia degli scarponi delle SS. Le ultime note che udiamo sono però quelle del quintetto di Schubert Die Forelle (La trota) che escono da un gracchiante 78 giri.

Musicalmente sono gli insoliti impasti di voci e strumenti a caratterizzare questo intenso lavoro di Zimmermann. Assieme all’orchestra sinfonica di Biel Solothurn (Svizzera) diretta da Kaspar Zehnder, due validi solisti: Wolfgang Resch e Marion Grange.

(1) In Italia nel 1971 la vicenda è stata oggetto di uno sceneggiato televisivo in due puntate di Alberto Negrin e poi di un libro di Paolo Ghezzi del 1993.

 ⸪

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