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Pier Luigi Pizzi, Non si può mai stare tranquilli
286 pagine, EDT, 2023
Un fiume in piena, dilagante, incontenibile. Non si possono definire altrimenti le memorie autobiografiche di Pier Luigi Pizzi raccolte da Mattia Palma durante varie conversazioni/interviste.
All’età di 93 anni, cosa difficile da credere per la prestanza e l’inesauribile vitalità del Maestro, lo scenografo-regista-costumista apre la stura dei suoi ricordi di oltre settant’anni di carriera. “Incontri di vita e di teatro”, dove vita e teatro formano un insieme inscindibile.
Con un labile ordine cronologico sempre interrotto da divagazioni, si dipana la catena dei suoi ricordi, che non hanno mai un tono nostalgico ma l’immediatezza del presente e riaffiorano i nomi dei personaggi che hanno fatto la storia del teatro e del cinema in Italia a partire dal 1950. Da Marta Abba – proprietaria dei diritti delle commedie di Pirandello, che Pizzi incontrò nella sua villa liberty chiamata “Trovarsi”, come la commedia che sarebbe andata in scena al Teatro Valle di Roma con la Compagnia dei Giovani nella sua seconda formazione, quella con Rossella Falk Ugo Pagliai, Elsa Albani e Nora Ricci: «Toccò a me andare a spiegarle il progetto. […] Aveva fama di essere scontrosa, quindi mi aspettavo il peggio; invece fu molto amabile. Guardò con interesse i bozzetti delle tre scene e si soffermò a lungo sui figurini, che le piacquero. Mi trattenne a colazione e mi incantò con il racconto del suo passato di attrice, di Pirandello, della sua vita in America tra il teatro a Broadway e gli agi di Cleveland, dove aveva vissuto con il marito miliardario. Era già sera quando ripresi la macchina per tornare a Roma. Durante tutto il viaggio, risentivo il suono della sua voce fascinosa. Aveva sedotto anche me» – a Valerio Zurlini, uno dei protagonisti di un’ilare vicenda: «Per Le fate di Bolognini chiesi a un mio assistente scenografo di fabbricare un falso Burri con un sacco e del catrame. Nessuno dubitò dell’autenticità del quadro, che ogni sera veniva messo scrupolosamente al sicuro. Alla fine delle riprese, divertito dagli unanimi apprezzamenti, decisi di appenderlo nel mio studio in via del Babuino. Ci cascò perfino Valerio Zurlini, esperto d’arte contemporanea. Un giorno una giornalista che mi aveva intervistato mi fotografò accanto a quel quadro. Dopo qualche tempo mi telefonò per dirmi che aveva mostrato la fotografia a Burri, il quale senza esitazioni aveva rifiutato la paternità dell’opera. Rimasi colpito e se possibile la mia stima per l’artista crebbe maggiormente. Ho fatto subito distruggere quel falso: mi ero divertito abbastanza».
Questi sono solo due esempi della verve del Maestro che con estrema nonchalance snocciola uno dopo l’altro aneddoti e giudizi sui personaggi che ha incontrato nella sua lunga carriera e di cui talora svela i lati nascosti, non sempre lusinghieri. Ed è nel raccontare gli aspetti meno edificanti dei personaggi più famosi l’aspetto più divertente dei suoi scritti.
Pizzi fa anche luce su elementi meno conosciuti, come quelli relativi al film mai realizzato di Federico Fellini, Il viaggio di G. Mastorna, progetto andato in fumo perché il regista, superstiziosissimo, si affidò al responso di Gustavo Rol, il veggente torinese: «Un giorno decise di andare a chiedergli un parere sul film, io aspettavo il verdetto con Giulietta nella loro casa di Fregene. Federico incontrò Rol, che disse di non aver bisogno di leggere la sceneggiatura: la conosceva già. Fece comparire il suo responso direttamente in una tasca della giacca di Federico, che non ebbe però il coraggio di aprire la busta fino al suo rientro a Roma, la sera. Quando finalmente arrivò a casa, divorato dall’ansia, lesse la lettera davanti a noi: Rol lo invitava categoricamente a rinunciare». E così fu.
“Non si può mai stare tranquilli” dice il titolo: è il tormentone con cui Pizzi commenta le sorprese e i capovolgimenti nei giochi della vita, quella vita di cui si considera un superstite in lista d’attesa: «Ma non mi pare giusto congedarmi in tono malinconico. Il sentimentalismo patetico non mi appartiene. Preferisco continuare a battermi, a restare in trincea. È curiosa la sensazione del sopravvissuto che, ancora in piena attività, firma contratti per gli anni successivi come se niente fosse, come se avesse davanti l’eternità. […] Ho ancora tante opere da interrogare, e intendo farlo aspettando nuove risposte. Il cielo può attendere».
⸪