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Michel van der Aa, Upload
Bregenz, Werkstattbühne, 29 luglio 2021
(film opera)
Vecchie domande nella prima opera digitale
E se la nostra mente potesse vivere per sempre? I recenti progressi dell’intelligenza artificiale e delle neuroscienze indicano che presto saremo in grado di mappare i nostri ricordi e le nostre esperienze e di utilizzare questi dati per costruire una coscienza digitale identica alla nostra. Queste “emulazioni dell’intero cervello” saranno in grado di esistere indefinitamente dopo la nostra morte: una specie di resurrezione virtuale. Ma dove risiedono realmente le nostre identità? Nella nostra mente, nel nostro corpo o nelle nostre relazioni? E fino a che punto i dati della nostra vita determinano il nostro destino?
A mettere in scena queste questioni, a porre queste antiche domande in presenza delle nuove tecnologie è il film opera di Michel van der Aa, compositore olandese nato nel 1970 da una famiglia di musicisti, suo padre un attivo direttore d’orchestra e organista diplomato al Conservatorio Reale dell’Aia e sua madre una cantante a livello amatoriale. Tuttavia, Van der Aa è entrato veramente in contatto con la musica solo quando uno psicologo infantile ha consigliato, all’età di 10 anni, di fargli suonare uno strumento per superare i suoi incubi. Una vecchia chitarra in soffitta ha fornito la soluzione e da quel momento Van der Aa ha trovato nella musica il suo sfogo. Durante gli anni del liceo, suonò come chitarrista in diverse band e inizialmente non si considerava abbastanza bravo per studiare composizione, tanto che iniziò a studiare registrazione musicale al Conservatorio Reale dell’Aia e qui ha imparato a trattare la musica in modo analitico acquisendo esperienza nella manipolazione del suono. Dopo gli studi ha fondato con successo una società di registrazione, ma il sogno di comporre continuava e nel 1993 ha iniziato a studiare composizione con Louis Andriessen. Dopo aver intrapreso con successo la carriera di compositore con opere come Between, Faust, Fire, nel 2002 si è preso un anno sabbatico per studiare cinema a New York. Dopo il ritorno, ha partecipato all’International Dance Course for professional Choreographers and Composers in Inghilterra e nel 2007 ha fatto esperienza come regista teatrale al Lincoln Center Theatre Director’s Lab.
Nelle opere di Van der Aa ricorrono diversi temi e motivi. Tra i temi ricorrenti vi sono l’ego contro l‘alter ego, la teatralità, l’uomo contro la macchina, il tempo e lo spazio, la polifonia, l’effetto zap e la ripetizione. In Passage e One (2002), il protagonista è interpretato da un solista, un ensemble o un’orchestra, dopo di che viene messo alla prova da impulsi esterni. Questo “avversario” emerge come un alter ego che viene rappresentato, ad esempio, da una versione campionata su nastro o da un musicista dell’ensemble. La maggior parte delle sue opere esprime una forte immaginazione teatrale. Esiste una somiglianza tra la composizione e il teatro: Van der Aa vede il suono come qualcosa di plastico, che può assumere costantemente forme diverse, i suoi suoni hanno un forte potere espressivo.
In Upload esamina il nostro rapporto con la tecnologia, la mortalità e l’identità, attraverso la storia di un padre che, per rimanere con la figlia dopo la sua inevitabile morte, fa “caricare” i pensieri e i ricordi per ottenere una “resurrezione virtuale”. La partitura si muove tra suoni elettronici e acustici, così come la messa in scena si muove tra performance dal vivo, scene preregistrate e tecnologia di motion capture. La partitura sembra a volte una colonna sonora, che trasmette anche inquietudine ed eccitazione, con il pulsare nervoso degli archi, le percussioni dall’aspetto caotico e l’elettronica trasformata in crepitante rumore bianco. Tutto questo, però, assume un tono diverso nelle scene che riguardano il “presunto” dialogo Padre-Figlia.
L’opera, profondamente emotiva, pone antiche domande filosofiche – sul destino, sull’identità, sul costo dell’immortalità e sull’etica del progresso tecnologico che assumono un nuovo significato sullo sfondo delle tecnologie del presente e del futuro prossimo. Van der Ae è anche librettista e regista dello spettacolo che è stato presentato a Bregenz nel luglio 2021.
Michel van der Aa racconta la vicenda su due livelli. Da un lato, c’è l’incontro del padre con la figlia, dall’altro, il processo di caricamento è spiegato in forma documentaria sotto forma di registrazioni video. In una scena del film vediamo delle persone arrivare alla clinica dove viene preparato il loro upload: prima viene analizzata la loro identità biologica (movimenti, linguaggio, sensi e sistema ormonale); poi è la volta dell’identità psicologica (creazione di un mindfile, un deposito della personalità, della storia personale); infine la scansione e la mappatura completa della mente per ottenere una coscienza digitale eterna, una rinascita dopo la morte biologica. La mente, che era prigioniera di un corpo con tutte le sue fragilità, si libera di questi rischi e diventa praticamente eterna. Il che però non rende le cose facili per chi resta: la Figlia accusa il Padre: «Il tuo processo vitale non è solo tuo. A un certo punto io me ne andrò e tu sarai ancora qui». «Speravo che facessi la stessa cosa» le risponde. Ma la figlia non vuole rinunciare al suo corpo: «Scansionare una mente per copiare la personalità è come scansionare uno Stradivari per ascoltare Bach» e gli rinfaccia di avere abbandonato prima del tempo il suo corpo mentre il padre scopre che la memoria dei dolori non gli è stata tolta e questo lo fa soffrire, tanto da chiedere alla figlia di “cancellarlo” per sempre.
Non solo il tema trattato con le sue implicazioni etiche, anche la realizzazione è del tutto contemporanea: impressionante il concetto generale di Theun Mosk (palcoscenico, luci), Madelon Kooijman e Nils Nuijten (drammaturgia), Joost Rietdijk (regia visiva), Darien Brito (motion capture, grafica in tempo reale) e Julius Horsthuis (artista frattale). Grandi schermi scorrevoli ricreano gli ambienti virtuali e mostrano il back stage dell’operazione, con i macchinari e le futuristiche apparecchiature per il “transfer”, o immagini della MusikFabrik Orchestra diretta da Otto Tausk, che esegue la partitura che accompagna il canto lirico della figlia, la magnifica Julia Bullock, e del padre, Roderick Williams, entrambi profondamente immedesimati nelle rispettive parti e vocalmente impeccabili.
La versione per il palcoscenico dopo Bregenz è stata presentata a Colonia, Amsterdam e New York mentre il video è disponibile su medici.tv.
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