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Wojciech Kilar, Orawa per orchestra d’archi
Sergej Prokof’ev, Concerto n°2 in sol minore op. 16
I. Andantino
II. Scherzo. Vivace
III. Intermezzo. Allegro moderato
IV. Finale. Allegro tempestoso – Meno mosso – Allegro – Meno mosso – Cadenza – Allegro tempestoso
Pëtr Il’ič Čajkovskij, Sinfonia n° 4 in fa minore op.36
I. Andante sostenuto – Moderato con anima
II. Andantino in modo di canzone
III. Scherzo. Pizzicato ostinato – Allegro
IV. Finale. Allegro con fuoco
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Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, Krzysztof Urbański direttore, Jan Lisiecki pianoforte
Torino, Auditorium RAI Arturo Toscanini, 8 febbraio 2024
Polonia e Russia
Un debutto sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI quello di Krzysztof Urbański, quarantaduenne polacco che ha diretto le più prestigiose orchestre internazionali. Ha proposto ad apertura di serata un pezzo del suo connazionale Wojciech Kilar, compositore che assieme a Krzysztof Penderecki si era fatto apprezzare nella Nuova Scuola Polacca prima di passare al cinema e scrivere per registi quali Kieślowski, Wajda e Zanussi. Orawa è un breve lavoro per orchestra d’archi del 1986 dalla semplice struttura su modi minimalisti e partendo da un tema appartenente al folklore della Polonia del sud, come il fiume Orawa che nasce al confine con la Slovacchia. Qui è stato presentato nella versione per orchestra d’archi e ha impegnato gli strumentisti della OSN che uno alla volta si sono alzati in piedi e hanno aggiunto il loro elemento tematico in un crescendo di intensità sonora e ritmica fino al finale «Hej!» gridato a piena voce. Fin da questo primo pezzo si è rivelato il particolare modo di dirigere di Urbański: a memoria, senza partitura, con un gesto chiaro e deciso, la mano destra che segna con precisione ma fluidità il tempo, la sinistra che si apre, si chiude, si muove sinuosa per dare gli attacchi, regolare il volume, suggerire il colore.
Una tecnica che si è apprezzata nell’esecuzione della Sinfonia n° 4 in fa minore di Pëtr Il’ič Čajkovskij, quella che il compositore russo considerava la sinfonia migliore fino a quel momento. Era il febbraio 1878 e Čajkovskij era in Italia dopo il disastroso matrimonio con la sua allieva Antonina Ivanovna Miliukova, fatto che l’aveva portato sull’orlo del suicidio. La composizione della Quarta Sinfonia – dedicata “Alla mia migliore amica” ossia la generosa mecenate Nadežda von Meck – aveva accompagnato la sua guarigione spirituale in quanto il compositore nella stesura aveva dato libero sfogo ai suoi sentimenti. Il programma della sinfonia riflette questa sua fase biografica: dalla forza del destino che si oppone alla felicità nel primo tempo, alla malinconia del secondo tempo, al momento in cui ci si lascia trasportare dalla fantasia nel terzo tempo, all’allegria un po’ forzata nell’ultimo. Fino a che nelle fanfare degli ottoni si fa nuovamente sentire l’inesorabile motivo del destino, quasi uno squillo di trombe del Giudizio Finale. Čajkovskij sviluppa un mondo sonoro trascinante che Krzysztof Urbański ha esaltato mettendo in evidenza la chiara scrittura del primo movimento che pur nella grande libertà espressiva segue fedelmente la forma classica – introduzione-enunciazione-sviluppo-ripresa – espressa con un travolgente senso musicale. Le famiglie dell’orchestra si alternano come protagoniste, con gli archi che con la loro leggerezza e trasparenza si oppongono alle tragiche fanfare degli ottoni. Il sorprendente Scherzo tutto giocato sull’ostinato pizzicato degli archi, l’Allegro con fuoco del finale sono momenti di una esecuzione di grande bellezza che ha reso il merito dovuto a questo primo capolavoro sinfonico di Čajkovskij. Sarà interessante riascoltare Krzysztof Urbański quando a fine febbraio sarà presente in un concerto che comprenderà la Quinta Sinfonia di Dmitrij Šostakovič.
Prima, il pezzo centrale del programma è stato il Secondo Concerto in sol minore di Sergej Prokof’ev, un lavoro di grande virtuosismo in cui ha potuto brillare il giovane canadese, ma di chiare origini polacche, Jan Lisiecki. Ventottenne di straordinaria maturità artistica – una carriera la sua che è iniziata con il debutto a undici anni come pianista prodigio – è stato il più giovane artista della storia a ricevere un Gramophone Award come Young Artist of the Year nel 2013 in seguito alla registrazione di due concerti di Mozart per «il suo tocco squisitamente dosato e la cadenza da lui stesso composta per il primo movimento del K467 che dimostra la sua immersione nello stile», come recita la motivazione del premio. Ma qui non è il tocco mozartiano che ascoltiamo, bensì quello vigoroso del lavoro di Prokof’ev che solo grandi maestri della tastiera hanno voluto affrontare. Uno dei più importanti concerti del XX secolo, grandioso e virtuosistico fino allo spasimo, non lo si direbbe da quell’inizio sommesso in cui la mano sinistra indugia in semplici arpeggi mentre la destra enuncia il primo tema un po’ spigoloso ma in tempo ineffabile di Andantino, seguito poi dal secondo tema Allegretto che ha le movenze di una dinoccolata marionetta cubista. Presto però un virtuosismo muscolare quasi feroce ha il sopravvento e domina per tutto il movimento fino al crescendo «con tutta forza» finale. Lo Scherzo che segue è sarcastico e altrettanto impegnativo tecnicamente, poi avanza pesante e cupa la marcia dell’Intermezzo prima del lungo e complesso Finale aggressivo nei tempi e nelle sonorità. Le mani del giovane pianista sprigionano un’incontenibile energia incanalata in una stupefacente precisione dove l’appropriarsi della materia musicale diventa parte essenziale dell’esecuzione che è stata applaudita con entusiasmo dal pubblico al quale Lisiecki ha regalato un fuori programma di pari intensità: un pezzo pianistico di Henryk Mikołaj Górecki dai decisi contrasti sonori.
⸪
