foto © Lalla Pozzo
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Jean Genet, Le serve
regia di Veronica Cruciani
Torino, Teatro Gobetti, 27 febbraio 2024
La pièce “malsana” di Genet vince la prova del tempo
Nel 1933, a Le Mans, le due sorelle Christine e Léa Papin, di 28 e 21 anni, a servizio da tempo presso una famiglia borghese, in seguito a un rimprovero per un banale incidente, massacrarono madre e figlia e ne seviziarono i corpi con inaudita ferocia. Commesso il delitto si ritirarono nella loro stanza per dormire nello stesso letto. Al giudice non fornirono alcun motivo comprensibile del loro atto, l’unica loro preoccupazione sembrò quella di condividerne interamente la responsabilità.
Quando, liberamente ispirato da quel truce fatto di cronaca, nell’aprile 1947 al Théâtre de l’Athénée andò in scena per la prima volta Les Bonnes, la pièce fu accolta male: «Non ci furono applausi, ma un silenzio totale. È stato orribile», racconterà una delle interpreti. Il testo ruota attorno al crudele gioco delle parti di due domestiche, Claire e Solange, che a turno recitano la parte della signora indossandone vestiti e imitandone gli atteggiamenti, esprimendo così allo stesso tempo il loro odio e il loro desiderio di essere lei. Con delle lettere anonime le ragazze hanno denunciato di furto l’amante di Madame, ma quando vengono a sapere che l’uomo è rilasciato per mancanza di prove e che il loro tradimento sarà scoperto, tentano di assassinare Madame, falliscono, e poi tentano di uccidersi a vicenda.
Perfetto congegno di teatro nel teatro che mette a nudo la menzogna della scena, Le serve è uno straordinario esempio di continuo ribaltamento tra essere e apparire, tra immaginario e realtà. La rivolta delle serve contro la padrona non è un gesto sociale, un’azione rivoluzionaria, è un rituale e questo rituale è l’incarnazione della frustrazione: l’azione di uccidere l’oggetto amato ed invidiato non può essere portata a compimento, viene ripetuta all’infinito come un gioco. Tuttavia questo gioco non raggiunge mai il suo apice poiché la messa in scena viene continuamente interrotta dall’arrivo della padrona. Questo fallimento è inconsciamente insito nel cerimoniale stesso ed è il tempo sprecato nei preliminari a non portare al compimento del rituale. Anzi, questo rituale diventa un atto assurdo, il desiderio di compiere un’azione che non potrà mai superare la distanza che separa il sogno dalla realtà.
Genet aveva concesso al regista Louis Jouvet di affidare le parti a delle donne, ma avrebbe voluto invece che le domestiche fossero interpretate da uomini: come avrebbe poi scritto Jean-Paul Sartre in Saint Genet comédien et martyr, «il suo obiettivo era mostrare la femminilità senza femmina, mostrare una irrealizzazione, una falsificazione della femminilità e così radicalizzare l’apparenza. […] Le caratteristiche femminili dovevano essere solo “apparenza”, solo il risultato di una commedia, sogno impossibile di uomini in un mondo privo di donne. […] Solange e Claire amano Madame, che nel linguaggio di Genet significa che vorrebbero essere Madame e appartenere all’ordine sociale di cui invece sono gli scarti». Le due serve, insomma, non sono realmente “serve”, ma rappresentano tutti coloro che, in modo diverso e a diverso titolo, sono oppressi, rifiutati, reietti, considerati “diversi” e pertanto relegati ai margini. Ma qui la rivoluzione sociale non c’entra. Si tratta di una conflittualità che va al di là della disparità economica, qui è in gioco l’eros del potere. La lotta contro il potere è intrisa del desiderio del potere. L’identificazione nel potente è fondamentale, più che il capitale stesso.
Nello spettacolo ora in scena al Teatro Gobetti per la stagione del Teatro Stabile di Torino, Claire e Solange sono Beatrice Vecchioni e Matilde Vigna, ma Madame è Eva Robin’s, all’anagrafe Roberto Coatti, personalità transgender affermatasi nella televisione e nel cinema negli anni ’90. Per il resto è tutta al femminile questa produzione che vede la regia di Veronica Cruciani, le scene di Paola Villani, i costumi di Erika Carretta e la traduzione, molto attualizzata e con ampio uso di interiezioni volgari, di Monica Capuani. Unico maschio John Cascone con i suoi interventi rock per la drammaturgia sonora.
È lo stesso Genet a dare libertà allo scenografo: fermo restando trattarsi della camera da letto della Signora, «se il lavoro è rappresentato in Francia, il letto sarà capitonné […] se è rappresentato in Spagna, Scandinavia o in Russia, il letto deve essere diverso» scrive nella prefazione. La scenografa Paola Villani ambienta la vicenda in uno spazio non realistico ingombro di flightcase, quei contenitori per il trasporto di attrezzature, che aperti diventano armadi con le cose di Madame e accostati ne formano il letto. E poi fiori, tanti fiori. Le fredde luci e gli acidi suoni fanno da sfondo alla recitazione fatta di piani e di forti delle due brave allieve della scuola dello Stabile torinese. Una recitazione un po’ troppo gridata visto che Genet insiste sul termine furtif : «Le jeu théâtral des deux actrices figurant les deux bonnes doit être furtif […] afin qu’une phraséologie trop pesante s’allège et passe la rampe» (Il tono recitativo delle attrici che interpretano le due cameriere deve essere discreto, non appariscente […] in modo da alleggerire e far passare in secondo piano la pesante fraseologia). Meglio il tono mellifluo e non realistico della Madame di Eva Robin’s in un elegante completo maschile che sottolinea la sua transessualità. In ciò perfettamente in linea con le intenzioni dell’autore.
Il merito maggiore dello spettacolo è l’aver evidenziato il sentimento su cui è basato Le serve: l’odio, il protagonista indiscusso della nostra epoca, unitamente all’invidia di non poter essere ciò che si desidera. Da qui la tremenda attualità – il meccanismo degli haters nei social non è diverso da quello ambivalente di odio/amore delle serve – di un testo di quasi ottant’anni fa che il pubblico ha compreso e salutato con calorosi applausi.
⸪