The Tender Land

Grant Wood, American Gothic, 1930

Aaron Copland, The Tender Land

Torino, Piccolo Regio Giacomo Puccini, 4 maggio 2024

La fanciulla del Midwest

Contemporaneamente al Farwest pucciniano, il Teatro Regio di Torino mette in scena il Midwest americano con The Tender Land di Aaron Copland (1900-1990), opera commissionata dalla Lega dei Compositori della NBC nel 1953. Sarà praticamente l’unico esemplare lirico del compositore americano noto per le musiche dei balletti Rodeo, Billy the Kid e Appalachian Spring, le danze sinfoniche El salón Mexico, colonne sonore di film, ma anche autore di tre sinfonie, musica da camera e vocale.

Il soggetto viene tratto da Let Us Now Praise Famous Men di James Agee, un libro-reportage del 1941 con fotografie di Walter Evans che ritraevano la povertà rurale di famiglie di mezzadri dell’Alabama durante la grande crisi. I proprietari terrieri avevano avvertito i contadini che avrebbero ospitato i due forestieri Agee ed Evans: «presi l’idea di base del libretto da quel libro: due uomini che vengono dal mondo esterno e invadono la vita di una famiglia di provincia. I due uomini diventarono così braccianti migranti. Esaminai attentamente le fotografie del libro fra le quali mi colpirono le facce di una madre che sembrava passiva e pietrificata e di una figlia non ancora indurita da una vita di stenti. Quale effetto avrebbe avuto l’impatto dei due forestieri e delle loro vite? La risposta a questa domanda divenne il mio soggetto», dirà Copland in una intervista. La stesura del libretto viene affidata a Horace Everett, pseudonimo di Erik Johns, che sposta l’azione dal profondo sud al Midwest, come il Kansas della fattoria di Dorothy del Mago di Oz.

foto © Daniele Ratti – Teatro Regio Torino

L’opera è ambientata nel Midwest degli Stati Uniti negli anni Trenta in primavera, all’epoca del raccolto, presso una famiglia di contadini formata da Ma Moss, madre di Laurie, la figlia maggiore, e di Beth, la figlia minore, più il nonno Grandpa Moss.

Atto I. Laurie sta per laurearsi. Mr. Splinters, il postino, arriva per consegnare il pacco con l’abito per la laurea. Racconta anche che la figlia del vicino è stata spaventata da due sconosciuti che si aggirano in zona. Due vagabondi, Top e Martin, arrivano in cerca di lavoro. Grandpa Moss accetta di assumerli per il raccolto. Tra Laurie e Martin nasce subito una simpatia reciproca. 
Atto II. La festa di laurea è in corso. Ma Moss sospetta che Top e Martin siano i due sconosciuti che stanno causando problemi in zona e chiede a Mr. Splinters di chiamare lo sceriffo. Laurie e Martin si baciano. Nel frattempo arriva lo sceriffo con la notizia che i due sconosciuti sono stati catturati. Nonostante questo, Grandpa Moss dice ai ragazzi che devono andarsene la mattina successiva. 
Atto III. Durante la notte, Laurie e Martin sognano di fuggire insieme. Ma Martin capisce che questa vita girovaga non fa per la ragazza e si allontana furtivamente con Top. Quando Laurie scopre di essere stata abbandonata, decide comunque di andare via di casa. Ma Moss e Beth cercano di farle cambiare idea senza riuscirci. Laurie se ne va, e Beth resta sola davanti alla casa a giocare come faceva all’inizio.

The Tender Land non fu accettata dalla NBC proprio mentre Copland era sotto inchiesta dalla Commissione McCarthy per “attività antiamericane” perché appartenente all’American Committee for Democracy and Intellectual Freedom e per aver parlato al Cultural and Scientific Conference for World Peace. L’opera non andò quindi in televisione ma fu messa in scena alla New York City Opera il 1° aprile 1954 diretta da Thomas Schippers. L’atmosfera opprimente del maccartismo di quel periodo si riflette nella figura di Grandpa Moss che continua a ripetere che i due giovani sono «Dirty strangers. Dogs! No good dirty bums!» (Sozzi stranieri. Cani. Sporchi barboni buoni a nulla) e anche quando vengono scagionati dall’accusa di aver molestato delle ragazze, per lui «They’re guilty all the same. | I won’t have ‘em on my place» (Sono colpevoli lo stesso. Non li voglio qui). Non stupisce quindi la voglia di emancipazione di Laurie e la sua fuga da casa.

L’opera fu accolta freddamente dalla critica per le ingenuità del libretto e la mancanza di melodie nella musica. «Le successive riprese, nonostante considerevoli, ripetute revisioni, non ebbero un esito molto migliore. Oltre alla debolezza del libretto, per di più imperniato su una tradizione familiare rurale molto datata (praticamente scomparsa dopo la seconda guerra mondiale), si imputa alla partitura una certa rigida ripetizione di temi popolari che già figurano nei balletti del compositore. In effetti Tender Land si può considerare un tentativo non del tutto convinto e quindi solo in parte riuscito: la staticità della struttura sociale rappresentata sembra condizionare anche il tessuto musicale, provocando una certa monotonia. Solo col progredire dell’azione, nel corso della quale prendono il sopravvento le figure e i modi più sciolti e liberi dei due vagabondi, e in particolare di Martin, anche la musica, come la psicologia dei personaggi, si apre, facendosi più ariosa e appassionata» scrive Francesco Cavallone. La scrittura di Copland è quella di un canto di conversazione abbastanza monotono che diventa più lirico nel quintetto con cui termina il primo atto «The promise of living», la pagina più pregevole. Gradevole è anche il duetto d’amore del secondo atto da cui deriva il titolo dell’opera: «The plains so green, | the tender land, | where we begin, | to understand». L’impegno ad americanizzare il modello operistico tradizionale lo porta a non utilizzare i numeri chiusi e a inserire temi popolari filtrati però da una cultura molto europea – Copland era stato infatti allievo di Nadia Boulanger. Meno evidente qui è l’influenza del jazz, che troviamo invece in altri suoi lavori. Insomma, la commissione soffre di un certo accademismo che non riesce a far decollare e rendere più popolare questa “piccola storia americana”.

La ricca orchestrazione richiesta dalla commissione della NBC è un po’ esagerata per la semplice e intima vicenda e per questa prima nazionale al Piccolo Regio Giacomo Puccini di Torino è stata utilizzata una revisione per orchestra ridotta a tredici soli elementi, dieci archi e tre fiati, la stessa della versione originale di Appalachian Spring, che Alessandro Palumbo concerta con dedizione ma senza troppe variazioni di colori. Sul palcoscenico molti degli ormai più che affermati allievi del Regio Ensemble: Irina Bogdanova (Laurie); Tyler Zimmermann (Grandpa Moss); Ksenia Khubunova (Ma Moss) e Andres Cascante (Top) a cui si uniscono Michael Butler (Martin), Valentino Buzza (Mr Splinter) e altri validi comprimari.

L’allestimento di Paolo Vettori esalta l’intimità – per non dire claustrofobia – della storia, ambientandola in una scatola chiusa, disegnata da Claudia Boasso, sulla cui parete di fondo si aprono finestrelle per i ritratti dei vecchi antenati o dei singoli coristi nella scena della festa per il diploma di Laurie. Unico richiamo alla natura è un grande albero rosso proiettato sul fondo, forse l’albero genealogico dei Moss su cui la ribelle Laurie innesterà un nuovo ramo?

Con i costumi di Laura Viglione e le luci di Gianni Bertoli viene realizzato uno spettacolo visivamente piacevole e applaudito dal pubblico.