Monteverdi Festival

Cecilia Bartoli e Andrea Cigni

MONTEVERDI FESTIVAL

Les Musiciens du Prince, Gianluca Capuano direzione, Cecilia Bartoli mezzosoprano

Cremona, Teatro Ponchielli, 23 giugno 2024

Gala Concert

In dieci giorni trenta eventi – tre al giorno ma oggi erano quattro e non ne ho perso neanche uno – con violini, viole, viole da gamba, viole d’amore, violoncelli, contrabbassi, liuti, arciliuti, tiorbe, chitarre – come quelli che si possono visitare nel bellissimo Musei del Violino – ma anche tanti altri strumenti in concerti quasi tutti sold out. Pubblico cosmopolita, molti i cremonesi, tutti entusiasti per le proposte d’ascolto.

Il Monteverdi Festival Cremona, dedicato al suo più illustre concittadino e ideato nella sua 41esima edizione da Andrea Cigni, direttore artistico e sovrintendente del Teatro Ponchielli, si conclude trionfalmente con un concerto de Les Musiciens du Prince diretti da Gianluca Capuano. L’orchestra è storicamente informata – con strumenti d’epoca quindi o adatti alla prassi esecutiva del tempo – e fu fondata nella primavera del 2016 all’Opéra de Monte Carlo su iniziativa di Cecilia Bartoli e Jean-Louis Grinda, allora direttore del teatro monegasco. Dopo trentasette anni di carriera, 12 milioni di dischi venduti e infiniti premi, svariate lauree ad honorem e la nomina a Presidente di Europa Nostra – la voce europea della società civile impegnata per il patrimonio culturale – la direttrice artistica dei teatri di Salisburgo e di Montecarlo ha ancora la benevolenza di apparire nella sala di un teatro di provincia, ma strapieno e in delirio. La presenza della cantante, uno delle poche apparizioni in Italia, viene celebrata dal pubblico come un’apoteosi.

foto © Studio B12

Il programma alterna brani strumentali e numeri vocali introdotti dal preludiare alla tiorba di Miguel Rincón Rodriguez. Ma non sarà l’unico caso in cui dalla compagine dei Musiciens du Prince si staccano dei solisti. Avverrà ad esempio con il traversiere (il barocco flauto traverso) di Jean-Marie Goujon nell’aria vivaldiana «Sol da te, mio dolce amore» dall’Orlando furioso, il sublime momento in cui Ruggiero cede agli incanti di Alcina, pagina resa con note tenute, legati e mezze voci da antologia da parte della Bartoli. Ma è Händel il compositore da cui proviene la maggior parte dei brani: senza soluzione di continuità, dopo il Concerto grosso in Re maggiore  op. 6 n.4 di Arcangelo Corelli, sui cinguettii del flauto piccolo entra in punta di piedi il canto aereo e trasparente di «Augelletti che cantate» dal Rinaldo seguito da una struggente versione di «Lascia la spina, cogli la rosa» da Il trionfo del Tempo e del Disinganno. Dopo il Concerto grosso in la minore op. 6 n.4 e la suite di danze dall’Ariodante la cantante affronta con impavido furore «Desterò dell’empia Dite», un’aria dall’Amadigi di Gaula dove Melissa lancia malefici tremendi e tre strumenti – la voce, la tromba e l’oboe – si incitano l’un l’altro come in una carica di battaglia. Ma prima c’era stato il momento dell’autocommiserazione amorosa con il trepidante «Sì dolce è il tormento», “Quarto scherzo delle ariose vaghezze” di Monteverdi, il compositore di casa al quale Capuano dedica anche una sequenza orchestrale di temi tratti da L’Orfeo.

Francesco Geminiani è presente con il Concerto grosso “La Folia” op.5 n.12, in cui le variazioni originarie di Corelli trovano nuova veste da parte del compositore lucchese di 34 anni più giovane. Come negli altri brani si ammira la tersa concertazione di Capuano che imprime ai brani un tempo nobilmente dilatato e una leggerezza di tocco adatto ad accompagnare la voce della Bartoli, che non ha mai avuto un considerevole volume di voce e col tempo la situazione non è cambiata. Certo si vorrebbe che i nostri idoli fossero eterni, che non ci ricordassero con la loro la nostra caducità. Adesso il timbro ha perso un poco dello smalto di un tempo, le agilità non sono più così sferzanti come una volta, ma quanta musicalità, che tecnica, che temperamento! Dopo la fine ufficiale del concerto la standing ovation del pubblico richiede ancora dei bis ed è accontentato con la Cleopatra del Giulio Cesare di Händel in «Piangerò la sorte mia», quella cantata legata, in ginocchio e incappucciata nella produzione di Salisburgo di dodici anni fa – quale altra artista lo avrebbe fatto? – e anche qui si ripete l’emozione di allora.

Ma non è finita, con «A facile vittoria» da Il Tassilone di Agostino Steffani, la Bartoli ingaggia un esilarante duello con la tromba di Thibaud Robinne e di improvvisazione in improvvisazione si approda inopinatamente a Summertime di Gershwin tra il giubilo incontenibile del pubblico, mentre qualcuno dalla galleria grida «Viva la Santa!», termine a cui è indissolubilmente legato il suo nome da quando Alberto Mattioli, qui referente per la comunicazione e per le relazioni esterne del festival, l’ha creato anni fa.

Il Gala conclude una giornata “tipica” del Monteverdi Festival con ben quattro concerti, come detto. Era iniziata alle 11 a Palazzo Guazzoni Zaccaria con Luigi Accardo al clavicembalo in “Harmoniæ varietaes”, musiche di Giovanni Picchi, Girolamo Frescobaldi, Bernardo Pasquini, Alessandro Scarlatti, Domenico Zipoli e Leonardo Leo introdotte da un «Ballo del granduca” di autore anonimo del XVII secolo. Il nucleo della performance dell’impeccabile clavicembalista sono stati due brani di Bernardo Storace (1637 circa-dopo 1664): un Balletto e una Toccata e canzon tratte da “Selva di varie composizioni d’intavolatura per cimbalo e organo”, strumenti intercambiabili all’epoca.

Alle 18 a Palazzo Fodri, nel bellissimo cortile rinascimentale dalla preziosa cornice in cotto, è il momento di “Dalbasso: dagli albori ai tre violoncelli di Del Cinque” dove Ludovico Minasi (violoncello e direzione), Teodoro Baù (viola da gamba e violoncello), Cristina Vidoni (violoncello) e Simone Vallerotonda (arciliuto) presentano tre Sonate di Ermenegildo del Cinque (1701-1773) recentemente riscoperte e registrate dal Minasi in un disco pluripremiato. Prima erano stati eseguiti brani di altri autori (Domenico Gabrieli, Girolamo Frescobaldi, Andrea Falconieri, Giulio de Ruvo…) con stile impeccabile e una bellezza di suono che neanche l’umidità del piovigginoso pomeriggio all’aperto ha potuto intaccare. Ma tra tutti il pezzo che più ha colpito le corde del pubblico è stato Chiome d’oro bel thesoro dal “Settimo libro di madrigali”, indovina di chi, sì del solito Monteverdi!

Veloce trasferimento nella basilica di San Michele a Vetere alle 19.30 per il grandioso concerto “I Maestri di San Marco” con i solisti, il coro e l’orchestra Cremona Antiqua guidati dal direttore artistico del festival Antonio Greco. Anche qui il Divino Claudio la fa da padrone con una sontuosa sequenza che unisce la Sinfonia dall'”Ottavo libro dei madrigali”, Le litanie della Beata Vergine e la Sinfonia a 5 dall’atto III de L’Orfeo. Ma ancora più impegnativo è il resto del programma con la Missa pro defunctis dell’allievo Cavalli, la Canzon XII a otto di Giovanni Gabrieli e il “Dies Iræ” da Prosa pro mortuis di Giovanni Legrenzi. Un secolo quello XVII in cui la scuola veneziana raggiunge il suo periodo d’oro e con la sua dotta esecuzione Antonio Greco ce l’ha dimostrato.