Biennale Arte di Venezia 2024

Wael Shawky, Drama 1882, 2024

Biennale Arte di Venezia (parte I, Giardini)

Venezia, Giardini, 25 giugno 2024

Colonialismi in scena: il cuore segreto della Biennale

Il titolo scelto da Adriano Pedrosa, il direttore della 60esima edizione della Biennale Arte di Venezia di quest’anno è Foreigners Everywhere (Stranieri ovunque), ma non si riferisce a quelli che dilagano rumorosamente nelle calli e nei campielli della città, ma alle minoranze ferite dal corso della storia: i neri, i diversi.

Sul tema del colonialismo fanno i conti con il loro passato nazioni come la Spagna, l’Olanda, il Regno Unito, ognuno a modo suo, ma è la Spagna che recupera un mezzo espressivo che è quasi minoritario in questa rassegna dove dominano video, installazioni concettuali (Germania), sonore (Italia) o olfattive (Corea), ossia le tele dipinte. Come quelle appunto dell’artista Sandra Gamarra Heshiki con la sua Pinacotea Migrantes dove il concetto egemonico di pinacoteca occidentale si capovolge per esporre una serie di narrazioni che storicamente furono messe in silenzio. L’artista, una migrante lei stessa, peruviana ora vivente a Madrid, nelle sue indagini sul passato coloniale spagnolo e sulle sue ripercussioni attuali guarda ai dipinti europei del Seicento riappropriandosi degli stilemi pittorici tradizionali – il paesaggio, il ritratto, la bottega, l’illustrazione scientifica e botanica – per proporre opere in stato di non finitezza o restauro come metafora della ferita coloniale.

Sandra Gamarra Heshiki, Racismo Ilustrado III, 2023

Sfrutta il metodo pittorico tradizionale anche Louis Fratino, artista classe 1994, americano ma con stretti legami con l’Italia, che con riferimenti alla pittura della scuola romana tra le due guerre e Picasso trasforma la monumentalità di un Sironi in tenera freschezza giovanile. Dichiarandosi apertamente artista queer, il sesso nella sua totalità diventa un soggetto ricorrente nelle sue opere fatte di disarmanti corpi nudi che si avvinghiano, di sguardi intensi, di emozioni forti.

Louis Fratino, Eye Contact, 2019

Buona parte parte dei mezzi espressivi adottati dagli artisti scelti da Pedrosa esulano dalla tradizionale pittura e c’è un artista che riesce a stupire per la sua scelta. Si incontra nel padiglione egiziano ed è Wael Shawky il cui video Drama 1882 fa rivivere un momento cruciale della storia del suo paese, ovvero la repressione della rivoluzione nazionalista degli Urabi nel 1882. L’opera scandisce l’escalation di violenze di questo conflitto, innescato dall’uccisione di un guardiano di asini egiziano per mano di un maltese in uscita dal consolato inglese di Alessandria e dalla successiva insurrezione popolare in cui persero la vita circa trecento persone. Nonostante la maggior parte delle vittime del tumulto fossero egiziane, il caso venne preso a pretesto dall’impero britannico per attaccare l’Egitto, con l’alibi di difendere i suoi cittadini in loco. A un mese di distanza da questa sommossa di strada, l’esercito inglese bombardò Alessandria uccidendo più di duemila persone, per poi sconfiggere definitivamente l’esercito arabo nella storica battaglia di Tel El Kebir, che decretò l’occupazione della nazione, destinata a durare fino al 1956.

Shawky affronta il concetto di storia revisionista e di eredità coloniale in modo coinvolgente, tramite un musical, girato in un teatro storico di Alessandria, che rivive i momenti rivoluzionari della storia con un accattivante accompagnamento musicale e in uno scenario tra il fiabesco e il surreale di 45 minuti suddiviso in otto scene. Cantata in arabo classico da interpreti professionisti, l’opera segna una svolta per Shawky: «Di solito insistevo per eliminare il dramma dai miei film precedenti, quindi ho optato per burattini, marionette e bambini. Questa volta il dramma ha diversi significati: c’è il senso della finzione, legato all’idea di avere uno spettacolo, come il teatro. Lo sfondo si muove al rallentatore, come se fosse a strati. Alla fine l’opera è come un dipinto in movimento, con gli interpreti e la colonna sonora come elementi di questa composizione».

Senza dubbio la sua è una delle proposte più inventive e insolite della Biennale di quest’anno.