MITO


Simon Steen-Andersen

Simon Steen-Andersen, no Concerto

Lisa Streich, Ishjärta

Ludwig van Beethoven, Quinta sinfonia in do minore op.67
I. Allegro con brio
II. Andante con moto
III. Allegro
IV. Allegro

Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, Robert Treviño direttore

Torino, Auditorium RAI Arturo Toscanini, 9 settembre 2024

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Dopo tre serate “al fresco” nel bagno di folla della piazza di San Carlo a Torino, la musica di MITO-Settembre Musica, XVIII edizione, rientra nel confort e nella acustica dell’Auditorium RAI Arturo Toscanini con un programma che inizia e finisce all’insegna di Beethoven, anche se il brano con cui parte la serata è un Beethoven filtrato e rielaborato elettronicamente da Simon Steen-Andersen, compositore e regista danese classe 1976.

L’aspetto visivo è un elemento fondamentale del suo pezzo, commissionato dalla WDR (Westdeutscher Rundfunk Köln) e MITO in live electronics realizzato da SWR Experimentalstudio con Daniel Miska direttore del suono. I trenta minuti di no Concerto per pianoforte, voce recitante, speaker, orchestra, live electronics, luci e video pongono un sensibile interrogativo: che ne sarà della nostra civiltà musicale tra migliaia di anni? «In un lontano futuro in cui la musica i concerti non sono più conosciuti», scrive l’autore, «gli archeologi dissotterrano un registratore a nastro insieme a diverse bobine, una delle quali contiene una registrazione dal vivo del Quarto Concerto per pianoforte di Beethoven. Per comprendere meglio la natura dei suoni conservati su questi nastri perlopiù deteriorati, collegano la registrazione a una “camera di eco-localizzazione inversa”, una tecnologia che consente loro di visualizzare ed esplorare lo spazio in cui questi misteriosi segnale acustici sono stati originariamente registrati». Ecco quindi un video che mostra le mani di un nostro lontano discendente maneggiare un nastro magnetico e montarlo su un registratore per trarre quei lontani “rumori”. La futura tecnologia permette di ricreare da quei suoni le immagini a loro collegate ed ecco quindi un esploratore in tuta protettiva aggirarsi nel buio tra i leggii dell’Orchstra Sinfonica Nazionale RAI che suona il concerto beethoveniano i cui suoni vengono elaborati elettronicamente in tempo reale e restituiti a noi come provenienti da un lontanissimo passato. Incuriosito dagli strani “dispositivi portatili” che generano quei suoni, soprattutto da quel «grande dispositivo nero di tre metri per 1.50 con corde tese e serie di tasti su cui agisce l’operatrice» e dalla strana figura «dell’uomo in nero che al centro muove le braccia», l’esploratore viene ammaliato da quei rumori misteriosi e mentre il suono dell’orchestra si fa più nitido, si toglie il casco protettivo e muore tra le braccia della pianista. Ben costruita, la performance tocca le corde più sensibili di noi ascoltatori e non si può non provare una forte emozione. Assieme però all’ammirazione per l’abilità dei musicisti che mantengono l’aplomb esecutivo nonostante alle loro orecchie arrivino i suoni da loro prodotti ma distorti elettronicamente. Rei Nakamura è l’impassibile pianista, Vinicio Marchioni l’attore della voce recitante mentre Susanna Franchi si presta al ruolo dello speaker che introduce il programma alla radio – cosa che fa regolarmente per i concerti RAI.

Il secondo pezzo in programma è della ancor più giovane compositrice Rita Streich che con il suo Ishjärta per orchestra sembra riecheggiare il contrasto tra pianoforte e orchestra nel secondo movimento del concerto beethoveniano per ricrearlo qui tra archi e fiati prima e percussioni poi, le quali rispondono con violenza ritmica e sonora al trasparentissimo tappeto sonoro steso da violini e viole. Il titolo significa cuore di ghiaccio ed è anche quello di un thriller dello scrittore svedese Lars Wilderhäng. L’enigmatico pezzo dovrebbe ricevere qualche lume dalle parole dell’autrice: «L’attenzione si concentra principalmente su due distinti caratteri degli accordi: quelli più caldi e quelli più freddi. Da un lato c’è la dimensione interiore del cuore, che pulsa in modo udibile. Qui gli accordi sono molto caldi, compatti e forti. Intorno a questo c’è uno strato gelido composto da accordi che proteggono e sono più neutri dal punto di vista emotivo, dalla superficie quasi tangibile». Il pezzo ha comunque un grande fascino e dimostra l’abile scrittura della compositrice svedese.

Note più famigliari sono quelle della Quinta Sinfonia con cui si conclude il concerto. Qui il direttore ospite principale Robert Treviño fornisce una lettura travolgente della popolare pagina mostrando come il suo autore sia teso verso il futuro nelle scelte musicali in un lavoro che si sviluppa genialmente su una semplicissima formula ritmica – il celeberrimo ta-ta-ta-taa – nel primo tempo, per poi far presagire le atmosfere pastorali della Sesta nel Trio del terzo tempo, il quale si collega direttamente con l’Allegro finale tramite un irresistibile crescendo. Il morbido fraseggio scelto da Treviño mette in risalto la cantabilità più che l’eroicità della Quinta evidenziando gli ineffabili interventi dei legni – oboe, flauto, fagotto, ottavino – e poi dei contrabbassi che anticipano il “recitativo” dell’ultimo movimenti della Nona.

Il pubblico particolarmente numeroso – finalmente la sala ha recuperato le file di poltrone perse durante la pandemia – ha dimostrato di apprezzare sia le nuove proposte sia l’interpretazione della celeberrima sinfonia salutando le esecuzioni con calorosi applausi.