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Richard Strauss, Der Rosenkavalier, suite dall’opera
Igor’ Stravinskij, L’oiseau de feu, suite dal balletto
Maurice Ravel, Boléro
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Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, Andrés Orozco Estrada direttore
Torino, Auditorium RAI Arturo Toscanini, 25 settembre 2024
Concerto per i 30 anni dell’OSN RAI
Prima di iniziare la sua stagione ufficiale il 17 ottobre, l’Orchestra Sinfonia Nazionale RAI celebra il trentesimo anniversario di vita con due concerti diretti da Andrés Orozco Estrada.
Nel settembre 1994 si ascoltavano infatti le prime note della nuova orchestra nata dalla fusione delle quattro orchestre RAI dell’epoca: l’Orchestra Sinfonica di Torino, l’Orchestra Sinfonica di Milano, l’Orchestra Sinfonica di Roma e l’Orchestra da camera “Alessandro Scarlatti” di Napoli. La celebrazione si tinge quindi di amarezza perché ricorda lo scioglimento di ben tre orchestre e relativi cori. A tutt’oggi nessuno ha proposto di ricrearne almeno un’altra. (Per fare solo due esempi, Radio France ha quattro orchestre e la BBC cinque). Pochi mesi prima era nata Mediaset e la RAI abdicava definitivamente al suo ruolo culturale per combattere con gli stessi mezzi della concorrenza le nuove televisioni private. La televisione pubblica si allineava con l’offerta al ribasso delle reti private perdendo il ruolo di quello che era stato un elemento essenziale nell’unificazione linguistica dell’Italia – se nel 1861, anno dell’unificazione politica della penisola, solo il 10% della popolazione si esprimeva in italiano, ancora nel secondo dopoguerra erano gl’innumerevoli dialetti a dominare nella comunicazione orale – e una delle maggiori possibilità di acculturamento delle masse, facendo entrare nelle case il teatro, il cinema di qualità, la letteratura e la musica.
Il 22 settembre 1994 all’Auditorium del Lingotto per “Settembre Musica” la nuova orchestra eseguiva in forma di concerto il Pelléas et Mélisande di Claude Debussy diretto da Claire Gibault. Due giorni dopo Georges Prêtre dirigeva l’orchestra a conclusione del Prix Italia e il 29 settembre Giuseppe Sinopoli firmava il primo concerto della stagione sinfonica 1994-95. Il programma di quei due concerti è ora riproposto da Andrés Orozco Estrada in due serate, il 25 e 30 settembre.
Con – eccessiva – sobrietà sabauda, non un fiore ingentilisce la sala del concerto ripreso dalla televisione, non un cenno viene fatto dell’avvenimento, non una parola compare sul programma di sala. Per fortuna il pubblico che gremisce l’Auditorium Toscanini è prodigo di applausi per un programma di grande popolarità.
Il primo brano è la Suite per orchestra del Rosenkavalier, non scritta da Richard Strauss ma da lui approvata. I cinque movimenti riassumono la vicenda: il primo tempo “Con moto agitato” riproduce il preludio al primo atto col risveglio di Octavian e della Marschallin dopo una notte d’amore; il secondo “Allegro molto” l’arrivo a casa Faninal di Octavian per la presentazione della rosa d’argento; il terzo “Tempo di valse, assai comodo da primo” il valzer di Ochs; il quarto “Moderato molto sostenuto” il finale «Ist ein traum»; il quinto “Schneller Walzer. Molto con moto” è una ripresa dei valzer del II atto dell’opera. Così condensate, le musiche perdono il fascino melanconico dell’originale per trasformarsi in una specie di poema sinfonico per la ricchezza orchestrale, la suddivisione in scene e la lunghezza. O per lo meno questo è quello che si evince dalla lettura di Andrés Orozco Estrada che spinge sul pedale della magniloquenza delle trascinanti melodie e della ricchezza strumentale.
Il secondo brano in programma è anch’esso una suite, la seconda (del 1919) tratta dal balletto L’oiseau de feu che Igor’ Stravinskij aveva composto nel 1910 per Sergej Djagilev all’opera di Parigi. Il soggetto, quanto mai fantastico e orientaleggiante, corrispondeva all’immagine che la Russia proponeva di sé in Europa in quegli anni mentre nell’orchestrazione il ventottenne Stravinskij si ricordava del suo maestro Nikolaij Rimskij-Korsakov in una partitura prodigiosa che coniugava modernità e tradizione musicale russa, rutilanti colori strumentali e vivacità ritmica, efficacia narrativa e invenzione melodica. I sei pezzi seguono fedelmente la vicenda del magico uccello catturato dal principe Ivan nel giardino del perfido Kašej: Introduzione; L’Uccello di fuoco e la sua danza; Variazioni dell’Uccello di fuoco; Ronda delle Principesse; Danza infernale del re Kašej; Berceuse e Finale. Il pezzo sembra fatto apposta per mettere in risalto le qualità dell’orchestra RAI – precisione di attacchi, bellezza di colori, inesauribile gamma sonora – messa amorevolmente in evidenza dalla bacchetta di Andrés Orozco Estrada.
Ancora dieci anni e si arriva al terzo di questo formidabile trittico di pagine novecentesche: nel 1928 Maurice Ravel scriveva le musiche per un balletto che esaltasse la sua Spagna amata – Ravel era nato vicino a Biarritz e a pochi chilometri dal confine con i Paesi Baschi. Nasceva dunque Bolero, un pezzo che sfidava ogni forma, «una tessitura orchestrale senza musica», un semplice tema riproposto senza variazioni, senza modulazioni per 340 battute in un crescendo sonoro implacabile in cui a poco a poco entrano tutti gli strumenti dell’enorme orchestra (due ottavini, due flauti, due oboi, oboe d’amore, corno inglese, quattro clarinetti, tre sassofoni, due fagotti e un controfagotto, quattro corni, quattro trombe, quattro tromboni e basso tuba, varie percussioni, arpa, celesta e archi). Su un pizzicato appena percettibile delle viole e dei violoncelli Carmelo Giuliano Gullotto al tamburo rullante enuncia pianissimo il suo breve inciso ritmico (due battute) con terzine di semicrome e lo terrà inesorabilmente fino alla fine. Alla quinta battuta entra il primo flauto con il famosissimo tema. Alla battuta 21 entra il secondo flauto, seguito subito dopo dal clarinetto, dal fagotto e così via fino a che tutti gli strumenti si uniscono in un esplosivo finale. Un pezzo che ha una grandissima presa sul pubblico, e anche questa volta lo ha dimostrato grazie alla coinvolgente ma sempre lucida lettura del direttore principale dell’orchestra.
⸪
