La notte – Il risveglio

Pippo Delbono, La notte

Torino, Fondazione Merz, 5 novembre 2024

Pippo Delbono, Il risveglio

Torino, Teatro Astra, 6 novembre 2024

«La vita… è ricordarsi di un risveglio» (Sandro Penna)

Dopo la notte, il risveglio o meglio: dopo La notte, Il risveglio, i titoli delle due performance con cui Pippo Delbono chiude il Festival delle Colline e contemporaneamente inaugura la nuova stagione del Teatro Astra intitolata “Fantasmi”.

La notte è un monologo sul testo di Bernard-Marie Koltès La notte poco prima della foresta letto la prima volta ad Avignone nel 1977 e che nella interpretazione di Delbono diventa quasi un viaggio autobiografico con le voci di due migranti. La lettura rabbiosa e intensa è contrappuntata dalla chitarra di Piero Corso che con le sue modulazioni mitiga l’asprezza quasi insostenibile delle parole, offrendo un grato sollievo sonoro.

La notte è quella durata sette anni, un lungo periodo di crisi personale da cui Delbono si risveglia dopo la pandemia, con le guerre alle porte di casa, il ritorno di ideologie che si credevano definitivamente sepolte, un mondo impazzito. E si scopre irrimediabilmente invecchiato. Come siamo invecchiati anche tutti noi.

Alla fine di Amore – il suo precedente spettacolo – Delbono andava a sdraiarsi sotto un albero scheletrico che d’improvviso si copriva di fiori. E restava lì, assopito in un sonno da cui ora si risveglia, trovandosi di fronte a una realtà molto peggiore di quella che aveva lasciato. Il risveglio è dedicato appunto a chi, dopo essersi addormentato, ha avuto il coraggio di risvegliarsi, di riprendere a vivere. Ma è dedicato anche a chi non si è risvegliato, come Bobò, il fedele compagno di scena con cui ha condiviso per più di vent’anni la sua vita sul palcoscenico e fuori dal teatro e che è scomparso cinque anni fa.

Il teatro di Delbono nasce dalla musica, segue la partitura di un suo personale ritmo interiore. Lo spettacolo si apre sulle note della canzone Domani è un altro giorno cantata da Ornella Vanoni e si chiude su quelle de La vie en rose nella versione di Grace Jones. Nel mezzo musiche che suonano lamenti d’amore e tristezza come quelle del violoncellista Giovanni Ricciardi, con lo struggente addio della Didone di Purcell, o di tenerezza e malinconia, ritmi che trascinano gli attori della Compagnia in una danza sulla memoria degli anni passati. Una compagnia tra cui c’è un anziano napoletano senza dimora e con problemi di psicofarmaci che con Delbono ha trovato una nuova vita, come era successo col sordomuto Bobò.

È questo il messaggio di speranza che ci lascia il lavoro talmente sincero e personale di Pippo Delbono da essere quasi imbarazzante.