Festival Incanto Egizio

Wolfgang Amadeus Mozart, Thamos, König in Ägypten K 345 
1. Schon weichet dir, Sonne! coro
2. Intermezzo atto I
3. Intermezzo atto II
4. Intermezzo atto III
5. Intermezzo atto IV
6. Gottheit, Gottheit, über Alle mächtig!, coro
7. Intermezzo atto V
8. Ihr Kinder des Staubes, erzittert, aria del Gran sacerdote
9. Wir Kinder des Staubes, erzittert, coro 

Ensemble Obiettivo Orchestra, direttore Lugi Cociglio, Coro dell’Accademia Stefano Tempia, baritono Gabriele Barinotto

Torino, Conservatorio Giuseppe Verdi, 15 dicembre 2024

«un certo Signor Mozzart»

Il numero di opus non tragga in inganno: il K 345 si riferisce a un lavoro iniziato quando Mozart aveva diciassette anni!

Tornato dai viaggi che il padre Leopold aveva organizzato per presentare il Wunderkind alle corti europee dove era ammirato per le sue straordinarie doti esecutive e di improvvisazione, Wolfgang, intenzionato a costruirsi una carriera autonoma ed indipendente come compositore, dovette accettare la modesta carica di organista presso la corte arcivescovile di Salisburgo dove entrò in contatto con una compagnia teatrale itinerante guidata dall’impresario Johann Böhm e dal suo assistente Emanuel Schikaneder. Fu questa l’occasione per rivedere i due cori che aveva scritto sei anni prima, nel 1773, per il Thamos, König in Ägypten, un dramma di ambientazione egiziana del barone Tobias Philipp Freiherr von Gebler da lui ritenuto degno di essere messo in musica.

La prima persona a cui si era rivolto il barone fu Gluck, che declinò l’offerta pur accettando di esaminare composizioni di altri. Si trovò infatti un musicista disposto a musicarlo e il lavoro fu effettivamente esaminato da Gluck, ma alla fine venne rifiutato dal barone che successivamente scrisse ad uno dei suoi corrispondenti di aver trovato invece «un certo Signor Mozzart» [sic] disposto a scrivere la musica per il suo dramma. Nel dicembre 1773 due cori erano pronti per la prima rappresentazione a Pressburg che non venne però salutata con particolare favore dal pubblico, né a Vienna l’anno dopo e nemmeno nella sua Salisburgo, dove non venne citato neppure il nome del compositore.

Mozart ampliò contrappuntisticamente i due pezzi, scrisse intermezzi musicali tra gli atti, più un finale corale con interventi solistici. Nonostante l’intenso rimaneggiamento e arricchimento, le successive rappresentazioni a Salisburgo e a Francoforte ebbero uguale insuccesso, definitivamente sancito dal fiasco a Vienna nel 1783. La compagnia riciclò le musiche per un altro dramma ad ambientazione orientale e Mozart trasformò i cori in “inni spirituali” con versi in latino: Splendente te Deus (KV Anh. 121) e Ne pulvis et cinis (KV Anh. 122).

Intricata la trama del testo del barone von Gebler: un ginepraio di successioni dinastiche e un triangolo amoroso presente solo per giustificare l’argomento politico. L’ambientazione egizia e l’esotismo non sono che occultamenti per un messaggio pedagogico offerto a modello all’erede Giuseppe II: se la figura del nobile sovrano spodestato e vestito di abiti sacerdotali fosse interpretata come guida e riferimento per il giovane re, la sua investitura sarebbe un rito d’iniziazione ai segreti che un giorno egli stesso rappresenterà.

Il re d’Egitto Menes è stato detronizzato dal ribelle Ramesses e creduto morto; in realtà vive a Heliopolis come grande sacerdote del Sole sotto il falso nome di Sethos. Thamos, figlio dell’usurpatore, alla morte del padre diviene l’erede legittimo al trono, ma non è a conoscenza che il vecchio re deposto è vivo e ha assunto il nome di Sethos. Anche la figlia di Menes, Tharsis, rapita durante la rivolta, vive sotto mentite spoglie con il nome di Sais ed è affidata alla sacerdotessa Mirza.Thamos è innamorato di Sais che lo ricambia. Pheron, consigliere di Thamos, ordisce un complotto con l’aiuto di Mirza per detronizzare l’erede legittimo e sposare Sais. Dopo diverse vicende e complesse confessioni, la verità viene svelata. Sethos dichiara di essere il re Menes, ma non accetta più la corona; sancisce il fidanzamento della figlia con Thamos e cede loro il trono. Il traditore Pheron viene punito colpito da un fulmine per volere divino e Mirza finisce per uccidersi.

Le scene corali si collocano all’interno dell’azione teatrale, rappresentando nella prima, ad apertura del dramma, i sacerdoti e le sacerdotesse (divisi anche in due cori distinti) intenti a venerare la divinità del Sole in un solenne sacrificio nel Tempio; nella seconda, la scena rituale dell’incoronazione, con inni cantati in onore al Re d’Egitto in episodi solistici, alternati e d’insieme; l’ultimo coro chiude grandiosamente, preceduto da un Sacerdote solista, con la morale d’obbedienza e sottomissione alla divinità e al Re.

L’occasione per riproporre questa musica è il “Festival Incanto Egizio” per celebrare i 200 anni del Museo Egizio. Per “Thamos, re d’Egitto, un enigma mozartiano svelato”, il salone del Conservatorio torinese vede schierato il coro dell’Accademia Stefano Tempia e gli strumentisti dell’Ensemble Obiettivo Orchestra diretti da Luigi Cociglio. Le voci solistiche sono quelle del baritono Gabriele Barinotto, diplomato in questo stesso conservatorio, e di una non precisata e promettente giovane corista. L’attrice Virgina Risso ha letto dei brani che hanno collegato i vari numeri musicali di un’opera che risveglia inevitabili assonanze con Il Flauto Magico: l’ambientazione egizia, la trama e i personaggi sospettosamente simili (tratti dalla stessa fonte: il Séthos dell’abate Jean Terrasson); il librettista, Schikaneder, che aveva anche lavorato alle produzioni del Thamos; il genere del Singspiel, versione tedesca del melologo, o mélodrame francese; l’impiego intensivo di un lessico musicale di chiara simbologia (il triplice accordo, il ritmo puntato, accordi diminuiti a sottolineare significati negativi o l’uso di particolari intervalli melodici).