Stagione Sinfonica RAI

Leone Sinigaglia, Le baruffe chiozzotte op. 32, Ouverture per orchestra

Pëtr Il’ič Čajkovskij, Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra op. 33
Variazione I. Tempo del tema
Variazione II. Tempo del tema
Variazione III. Andante
Variazione IV. Allegro vivo
Variazione V. Andante grazioso
Variazione VI. Allegro moderato
Variazione VII. Andante sostenuto
Variazione VIII e Coda. Allegro moderato con anima

Camille Saint-Saëns, Sinfonia n° 3 in do minore op. 78
I. Adagio – Allegro moderato – Poco adagio
II. Allegro moderato – Presto – Maestoso – Più allegro – Molto allegro

Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, Andrea Battistoni direttore, Anastasia Kobekina violoncello

Torino, Auditorium RAI Arturo Toscanini, 9 gennaio 2025

Tre pezzi non facili

Non è particolarmente evidente il filo che unisce i tre pezzi che Andrea Battistoni, il nuovo Direttore Musicale del Teatro Regio di Torino, ha presentato per l’ottavo concerto della Stagione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai: un impaginato unito quasi solo dalla brillantezza strumentale di tre compositori molto diversi.

Leone Sinigaglia, torinese nato nel 1868, è ricordato ora per le sue trascrizioni di canti popolari, ma in vita fu apprezzato come esponente della scuola sinfonica e cameristica italiana, quasi in competizione con quella del melodramma allora predominante. Appartenente a una famiglia dell’alta borghesia ebraica, sofferse le persecuzioni razziali divenendo vittima del fascismo e la sua esistenza si concluse in maniera tragica quando nel 1944, al momento dell’arresto da parte della polizia nazista che occupava Torino, una sincope ne causò la morte. La brillantissima ouverture de Le baruffe chiozzotte, opera diretta da Toscanini alla Scala nel 1907, è una pagina molto vivace dove si intrecciano temi tra cui uno tratto da una canzone popolare che si sente per la prima volta nell’oboe, viene ripreso dai primi violini e ritorna poi nel vivacissimo finale.

Altrettanto brillante il secondo pezzo in programma, le Variazioni su un tema rococò di Čajkovskij, un lavoro del 1876 che dimostra l’infatuazione del musicista russo per la musica del XVIII secolo, cosa che si ritroverà 22 anni dopo nel pastiche del secondo atto de La dama di picche. L’orchestra risponde con il suo rutilante colore strumentale sotto la direzione di Battistoni, ma un pizzico di leggerezza e ironia in più non sarebbe guastato. Ironia che non manca invece nella interpretazione della giovane e prodigiosa violoncellista Anastasia Kobekina, che affronta con slancio la sfida virtuosistica offerta dalla scrittura della parte solistica, dovuta in grande misura allo stesso destinatario del pezzo, Wilhelm Fitzenhagen. La sua trascinante performance rivela una tecnica impeccabile sublimata nella gioia fisica di fare musica, una dimostrazione di gaudio musicale particolarmente apprezzata dal pubblico che alla simpatica artista strappa due fuori programma, il secondo del quale (Bach) più adatto alle “corde” dello strumento utilizzato: uno Stradivari del 1698.

Un intervento strumentale solistico è previsto anche per l’ultimo pezzo in programma, la Sinfonia n° 3 di Camille Saint-Saëns del 1886 e dedicata a Franz Liszt, ma qui l’organo ha solo una parte di riempimento armonico e brevi interventi tematici nel secondo movimento. In pratica è una delle tastiere utilizzate in questa composizione, essendo l’altra quella di un pianoforte a quattro mani. L’organista è Luca Benedicti, uno dei maestri della OSN. Il lavoro di Saint-Saëns soffre di una certa ampollosità che la direzione del giovane direttore non riesce a mitigare, ma il pubblico è comunque conquistato e tributa calorosi applausi agli artefici dell’esecuzione.

A proposito della vicenda dell’organo della RAI, ecco quanto scrive Orlando Perera: «L’altra sera all’Auditorium RAI si è fortemente risollevato in me (e non solo in me, a quanto leggo), il rammarico per un’irrisolta magagna, datata vent’anni fa. Parlo dello smantellamento del grande organo a quattro tastiere e centodieci registri costruito dalla ditta Tamburini di Crema nel 1952, quando venne inaugurata la nuova sala progettata da Aldo Morbelli e Carlo Mollino sul sedime dell’ottocentesco teatro Vittorio Emanuele di via Rossini. Nel 2005 la RAI – che per quasi quarant’anni è stata come si sa la “mia” azienda e la mia amata “casa”, non lo dimentico – la RAI decise dunque di ristrutturare la vecchia sala, che dopo quasi mezzo secolo cominciava a palesare più di un problema. Con la sala si pensò di revisionare anche l’organo, affidando l’incarico all’organaro Ruffatti, di Albignasego in provincia di Padova, che ovviamente smontò lo strumento, e lo tolse dal suo vano sul fondo dell’Auditorium per lavorarci sopra. Il bello venne quando, terminati i lavori edilizi e anche quello di Ruffatti, si trattò di rimettere l’organo al suo posto. Lo spazio non c’era più, l’incavo originario era in buona parte occupato da un grosso condotto di condizionamento e anche le dimensioni erano cambiate. Nessuno dei progettisti aveva pensato all’organo. In merito, consiglio di leggere su internet la memoria dello stesso Fernando Ruffatti intitolata “La morte dell’organo Tamburini della RAI di Torino”. Dibattiti e discussioni a non finire, per giungere poi alla decisione tanto salomonica, quanto per noi infelice, di lasciare l’organo smontato nel magazzino dove si trovava, e di salvare la faccia, o meglio la facciata, rimontando solo le canne esterne e la scritta Auditorium RAI Torino, necessaria non certo per gli spettatori che sanno benissimo dove si trovano, ma per le riprese televisive. Vero è che un grande organo non è indispensabile in un auditorium sinfonico, ma ricordo ad esempio di averne visto uno grandioso nella sala della prestigiosa Gewandhaus di Lipsia. Il repertorio di questo genere raramente prevede in organico tale strumento monumentale, anche se i casi di sinfonie e suite per organo non mancano. Vedi autori minori come Ferdinando Provesi (1770-1833) insegnante di Verdi e Giuseppe Arrigo (1838-1913), ma anche Ottorino Respighi e Amilcare Ponchielli. Per non parlare della scuola francese, César Franck e Jean Guillou. Ugualmente vero che si tratta in genere di partiture per organo solo. […] Ciò detto, e per tornare a bomba, ecco dove l’altra sera è cascato l’asino (absit iniuria). L’appena nominato nuovo direttore musicale del teatro Regio, il 38enne veronese Andrea Battistoni, già enfant-prodige della bacchetta, ha scelto proprio la Terza Sinfonia di Saint-Saëns per il suo ritorno sul podio della Sinfonica RAI, dopo oltre otto anni. Anni in cui è sicuramente maturato e ha approfondito la sua capacità di analisi musicale. Lo si è sentito nei primi due pezzi in programma. […] Dato a questi due titoli ciò che gli spetta, chiaro che, per primo chi scrive, l’attesa era appunto per Saint Saëns, e per vedere come sarebbe stato risolto il problema dell’organo, affidato a un eccellente tastierista come Luca Benedicti (ricordo una sua notevole esecuzione delle Variazioni Goldberg al clavicembalo, anni fa all’Accademia di Agricoltura). Battistoni in un’intervista pre-concerto aveva assicurato che l’organo elettrico avrebbe garantito un’ottima performance, ma purtroppo non siamo d’accordo con lui, né chi scrive, né altri autorevoli colleghi, né gli appassionati sui social. Il risultato è stato a dir poco deludente. La voce dell’organo flebile e incolore, l’inadeguatezza dell’impianto di amplificazione hanno purtroppo messo in evidenza i limiti retorici e a rischio di kitsch di una partitura scritta con mano maestra, ci mancherebbe, ma strana e ambigua. Chi come me si era andato a sentire la registrazione di riferimento per questo brano, con Von Karajan alla guida dei Berliner e Pierre Cochereau all’organo di Notre Dame, ha trovato il confronto penosamente impari. Purtroppo il nostro Battistoni, al quale auguriamo la miglior fortuna per la direzione musicale del Regio, non ha forse fatto quello che si doveva fare, mettere cioè una persona di fiducia in sala per un opportuno sound-check. Forse è mancato il tempo, ma forse neanche questo sarebbe servito, perché di fatto appunto all’Auditorium RAI manca l’organo, e questa sinfonia è meglio non programmarla più. Salvo naturalmente rimettere al suo posto il Tamburini. Chissà se esistono ancora i colti mecenati che si prendono queste brighe?»