Stabat Mater

foto © GTG / Monika Rittershaus

Giovanni Battista Pergolesi, Stabat Mater

Ginevra, Cathédrale Saint-Pierre, 16 maggio 2025

★★★★

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Né opera, né concerto: lo Stabat Mater di Castellucci, tra installazione e rito

Nella cattedrale di Saint-Pierre a Ginevra, Romeo Castellucci trasforma lo Stabat Mater di Pergolesi in un rito visivo e spirituale di rara intensità. Tra i suoni spettrali di Scelsi e le voci di Barbara Hannigan e Jakub Józef Orliński, la scena diventa meditazione collettiva sul dolore e la rinascita. Emozione pura, silenzio finale come unica risposta.

Chi mai pensasse che nello Stabat Mater di Pergolesi ci sia una certa leziosità settecentesca dovrebbe mettersi in coda per entrare nella cattedrale protestante di Saint-Pierre a Ginevra e ricredersi totalmente con il penultimo spettacolo della stagione del Grand Théâtre.

Si tratta di uno spettacolo che si svolge fuori sede, un lavoro che non è stato concepito per la scena, ma Romeo Castellucci riesce nell’impresa di dare vita alle inquietanti immagini evocate dalla sequenza del beato Jacopone da Todi (1230?-1306), il probabile autore delle terzine formate da due ottonari e un settenario in cui la prima parte, «Stabat Mater dolorosa | juxta crucem lacrimosa | dum pendebat filius», è una meditazione sulle sofferenza della madre di Gesù durante la passione e crocefissione del figlio, mentre la seconda, che inizia con «Eia, Mater, fons amoris, | me sentire vim doloris | fac, ut tecum lugeam», è un’invocazione dell’orante a partecipare il dolore della madre di Cristo.

La prima impressione, entrando nel severo tempio della riforma calvinista (1), è spiazzante sia per la prospettiva sia per l’orientazione simbolica di una chiesa: i banchi sono allineati lungo la navata centrale e rivolti verso sud su un lunghissimo palco di legno chiaro su cui si svolge la cerimonia. Di questo infatti si tratta: il teatro rituale di Castellucci trova qui la sua forma più significativa, quella di un rito quasi liturgico che non richiede applausi, ma la partecipazione intensa degli spettatori e dove i segni religiosi e pittorici si intrecciano in uno spazio di grande intensità emotiva. Le poche luci sono puntate su un’inquietante processione di militari in divisa mimetica, casco e occhiali scuri, armati di strumenti musicali anche loro dipinti in grigio-verde, che vanno a sistemarsi nel coro. Sono infatti i musicisti dell’Ensemble Contrechamps – diciotto fiati, tre percussionisti e cinque archi gravi – che intonano, a preludio della musica di Pergolesi, i Quattro pezzi per orchestra di Giacinto Scelsi, compositore ligure (1905-1988) primo seguace in Italia della dodecafonia di Arnold Schönberg. Scelsi anticipò anche correnti della musica contemporanea quali la minimal music e la musica spettrale e con i Quattro pezzi su una nota sola, scritti nel 1959 e originariamente per orchestra da camera, vuole rendere percepibili la vibrazione e la profondità del suono, la sua consistenza piuttosto che l’arte combinatoria delle note, che qui è una sola per ogni pezzo, che vivono delle minime variazioni dinamiche, colore e densità esaltati dalla riverberazione dell’ambiente. È un’apertura dello spazio nel primo brano, un richiamo nel secondo, un’attesa e una ricerca nel terzo, e una visione infernale attraverso un cluster assordante nel quarto. Con la direzione di Barbara Hannigan, anche lei irriconoscibile sotto la divisa mimetica, si crea un impasto materico monocromo e spettrale su cui si muovono in un balletto astratto tre lunghissime pertiche bianche montate su base motorizzate e oscillanti nella navata della cattedrale come fasci di luce laser.

Le luci, scarsissime, esaltano il dramma che sta per compiersi. Arrivano donne e uomini vestiti di grigio e formano gruppi compatti che “partoriscono” prima una bambina, poi la figura maschile di San Giovanni, infine quella femminile di Maria. Durante l’esecuzione gli interpreti e i figuranti si dispongono in tableaux vivants che ricordano le figure dei compianti medievali o barocchi mentre la musica di Pergolesi, eseguita dall’ensemble del Pomo d’Oro, quintetto d’archi e organo nascosti alla vista degli spettatori, si innesta con sorprendente continuità su quella di Scelsi. I tempi sono dilatatissimi, tengono conto del riverbero acustico con le voci di Barbara Hannigan e Jakub Józef Orliński come emergenti dolenti da un lutto collettivo. Drammatica, quasi viscerale e dai contrasti estremi l’interpretazione del soprano, più sobria la linea vocale del contraltista ma caratterizzata da una grande proiezione e da un’intensa presenza scenica. Nel loro diverso approccio interpretativo, i due cantanti raggiungono livelli di grande drammaticità e tensione emotiva. Visivamente lo spettacolo culmina con l’arrivo di una quindicina di bambini – e dopo ieri sera non si può non pensare ai bambini del lager di Terezín nei loro abitini grigi… – che accolgono in grembo raffigurazioni del corpo martoriato del Cristo. Una miscela straziante di innocenza e morte.

Sull’Amen finale si innestano le Tre preghiere latine (1970) di Scelsi per coro a cappella, qui i coristi della Maîtrise du Conservatoire Populaire di Ginevra, nell’Ave Maria e nel Pater Noster, invisibili e con un suono lontano ed etereo. Ultima la voce solista di Barbara Hannigan nel virtuosistico Halleluja, che chiude la serata quando, nel buio, le porte centrali della cattedrale lentamente si aprono e il pubblico esce sulla piazza. Qualcuno non può fare a meno di applaudire, forse per scaricare la tensione accumulata, ma i più rimangono in silenzio, come in raccoglimento.

(1) Nel programma una nota specifica che «la scenografia e le immagini presentate sono di esclusiva responsabilità degli artisti e non coinvolgono in alcun modo la Chiesa protestante di Ginevra».