I concerti dell’Unione Musicale

Samuel Barber, Sonata in do minore op. 6
Allegro ma non troppo
Adagio – Presto
Allegro appassionato

Nadia Boulanger, Trois Pièces
Modéré
Sans vitesse et à l’aise
Vite et nerveusement rythmé

Claude Debussy, Sonata n° 1 in re minore per violoncello e pianoforte
Prologue. Lent, sostenuto e molto risoluto
Sérénade. Modérément animé
Finale. Animé, léger et nerveux

Gabriel Fauré, Sonata in sol minore op. 117
Allegro
Andante
Allegro vivo

Benjamin Britten, Sonata in Do maggiore op. 65
Dialogo. Allegro
Pizzicato. Allegretto
Elegia. Lento
Marcia. Energico
Moto perpetuo. Presto

Nicolas Altstaedt violoncello, Alexander Lonquich pianoforte

Torino, Conservatorio Giuseppe Verdi, 21 maggio 2025

Un Novecento cameristico chiude la stagione dell’Unione Musicale

Dopo Lingotto Musica anche l’Unione Musicale termina la sua stagione. In programma cinque compositori nati nella seconda metà del XIX secolo o agli inizi del XX, ma con pezzi composti tutti nel Novecento. Per questo tradizionale ensemble da camera Beethoven e Brahms hanno lasciato esempi mirabili ed è a quest’ultimo infatti che si pensa per l’attacco del primo tempo della Sonata che Barber scrisse nel 1932, con quel tema trascinante esposto dal violoncello. La stessa aria appassionata si respira nell’Allegro finale, mentre l’Adagio dà modo allo strumento ad arco di abbandonarsi a un canto malinconico. Intrisa di un intenso tardoromanticismo, quest’opera giovanile Barber è presto entrata per i suoi meriti nel repertorio violoncellistico ma qui è eseguita per la prima volta per l’Unione Musicale.

Più equilibrato verso il pianoforte è il lavoro di Nadia Boulanger, Trois pièces, del 1913. I primi due brani sono di tono crepuscolare, nel primo il violoncello è sostenuto dal dolce accompagnamento del pianoforte, nel secondo i due strumenti procedono su cammini che si sfiorano senza mai che uno prevalga sull’altro. Tutt’altra atmosfera quella del terzo, vivacissimo nel suo tono spagnoleggiante.

Il Debussy della Sonata del 1915 è quasi irriconoscibile: la Sonata in re minore doveva far parte di un insieme di sei composizioni cameristiche come risulta dalle dediche apposte sulle Sonate effettivamente composte e pubblicate («Les Six Sonates pour divers instruments sont offerts en hommage a Emma-Claude Debussy (p. m.) – Son mari – Claude Debussy»), ma il musicista ne completò solo tre – le altre due sono per flauto, viola e arpa (1915) e violino e pianoforte (1917) – a causa della malattia che lo minava, che lo avrebbe portato alla tomba nel 1918, e all’angoscia per la guerra. Inizialmente Debussy avrebbe voluto sottotitolarla “Pierrot faché avec la Lune” richiamandosi alla pittura di Watteau (Il Pierrot lunaire di Schönberg è comunque di tre anni prima), ma poi ci rinunciò lasciando alla sola musica il potere evocativo. Il Prologo è caratterizzato da brevi frasi melodiche trapassanti dall’uno all’altro registro, l’equivalente sonoro di un narcotico incanto lunare, mentre i pizzicati, che richiamano il timbro di chitarre e mandolini, suggeriscono il tono da Serenata del secondo movimento. Ma è il finale con la gara di velocità tra violoncello e pianoforte a stupire per il suo passo travolgente.

Con la seconda Sonata di Fauré, cinque anni dopo la prima, all’età di 77 anni il compositore francese dà una sorprendente dimostrazione di vitalità dell’idea romantica in musica, ma non come nostalgico rimpianto di una stagione ormai lontana nel tempo: la musica per lui «è una questione di gusto, di sottile equilibrio fra aspettative e sorprese, tale da lasciare all’ascoltatore il piacere dell’abbandono – di un ascolto parzialmente passivo – salvo poi solleticarlo con un tessuto armonico innovativo che attinge alle ricche sorgenti dell’ambiguità tonale e della modalità» (Giulio d’Amore). Nel gennaio 1921 Fauré aveva ricevuto dallo Stato francese l’invito a scrivere un brano per banda militare, destinato alla cerimonia commemorativa dei cento anni dalla morte di Napoleone, che si sarebbe svolta il 5 maggio agli Invalides, un invito insolito per un compositore normalmente incline all’intimismo e alla dimensione cameristica. Fauré in ogni caso accettò e scrisse un Chant funéraire regolarmente eseguito nell’occasione prevista, seppure la musica fosse sin troppo elevata per una cerimonia militare, tanto che il compositore prese la decisione di trascrivere il brano per violoncello e pianoforte facendolo diventare il movimento lento di una sonata. L’Andante mantiene il lento moto processionale del violoncello scandito dagli accordi funebri del pianoforte ed è incorniciato da un primo movimento Allegro di grande slancio con i due strumenti avvinti in un canone a distanza di una battuta e un Allegro vivo finale di grande effervescenza.

Conclude il programma Benjamin Britten con la sua Sonata in Do maggiore dedicata a Mstislav Rostropovič, che il musicista aveva conosciuto nel 1960 a Londra in occasione della prima esecuzione inglese del Concerto per violoncello di Šostakovič. La prima esecuzione ebbe luogo nella Jubilee Hall di Aldeburgh il 7 luglio 1961, ovviamente con il solista al violoncello e il compositore al pianoforte. Si tratta di una composizione in cinque movimenti dai titoli curiosi e lo stesso autore ha fornito una breve traccia per seguirne l’ascolto: «”Dialogo” (Allegro) è costituito da un piccolissimo motivo, un dialogo fra due intervalli di seconda, l’uno ascendente e l’altro discendente. Il motivo viene prolungato per creare un lirico soggetto secondario, che sale fino a una nota sonata in pianissimo, ottenuta con gli armonici, per poi ridiscendere. “Pizzicato” (Allegretto) è uno studio in pizzicato, che a volte ricorda la chitarra per la sua tecnica elaborata della mano destra. “Elegia” (Lento), contro un sottofondo cupo del pianoforte, il violoncello suona una lunga melodia cantabile. Questa viene sviluppata con l’impiego di corde doppie, triple e anche quadruple, giungendo a un grande punto culminante, per poi perdersi con una conclusione dolce e tranquilla; “Marcia” (Energico), il violoncello suona un basso turbolento sotto un motivo sussultante del pianoforte. Nel Trio si odono dei richiami simili a quelli di un corno, suonati al di sopra di un basso ripetuto in terzine. La marcia ritorna molto silenziosa, col basso che, suonando degli armonici, si trova ora nel registro acuto. “Moto perpetuo” (Presto), il tema “saltando” in 6/8 domina l’intero movimento, spesso mutando il suo carattere, a volte alto ed espressivo, a volte basso e brontolante, a volte allegro e spensierato». 

Per questo concerto finale l’Unione Musicale ha invitato per la prima volta il violoncellista Nicolas Alstaedt, che si esibisce a fianco dell’habitué Alexander Lonquich, per la 25esima volta sul palcoscenico del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino. Le loro sono due personalità molto particolari che si compensano perfettamente. Assieme hanno registrato nel 2020 le musiche per violoncello e pianoforte di Beethoven di cui danno un assaggio nel primo bis, il secondo movimento della sua Sonata n°2 in sol minore.

Nicolas Alstaedt è un artista versatile – solista, direttore d’orchestra e direttore artistico – ed eccezionale interprete di musica moderna. Il suo violoncello è un Giulio Cesare Gigli del 1760 dal suono ricco di armonici che sotto le mani formidabili del virtuoso franco-tedesco diventa uno strumento ideale anche per il repertorio contemporaneo. Con la sua eccezionale tecnica e sensibilità Alstaedt riesce a ottenere dal suo violoncello suoni quasi inediti ma sempre nell’ambito di una totale musicalità. Di Alexander Lonquich c’è poco da aggiungere per il pubblico torinese che lo conosce benissimo. Qui c’è solo da notare la sua grandissima intelligenza e disponibilità a colloquiare in termini paritetici con l’altro strumentista pur mantenendo la sua peculiare personalità. Qualità apprezzate dal folto pubblico che con i suoi calorosi applausi ha ottenuto due bis, il brano beethoveniano di cui s’è detto e la ripetizione dell’ultimo movimento della sonata di Britten.