Filarmonica TRT

Richard Wagner, Preludio e morte di Isotta

György Ligeti, Atmosphères

Richard Strauss, Also sprach Zarathustra op. 30
1. Einleitung (Introduzione); 2. Von den Hinterweltlern (Degli uomini che vivono in un mondo dietro il mondo); 3. Von der großen Sehnsucht (Del grande struggimento); 4. Von den Freuden und Leidenschaften (Delle gioie e delle passioni); 5. Das Grablied (Canto funebre); 6. Von der Wissenschaft (Della scienza); 7. Der Genesende (Il convalescente); 8. Das Tanzlied (Il canto della danza); 9. Das Nachtwandlerlied (Canto del sonnambulo)

Orchestra Filarmonica del Teatro Regio di Torino, Jukka-Pekka Saraste

 direttore

Torino, Teatro Regio, 9 giugno 2025

Atmosfere

Seguendo Rai e Lingotto, anche la terza stagione sinfonica torinese, quella del Regio, è giunta alla pausa estiva. Dopo Eleganza, Meditazioni, Armonia, Mondi… è la volta di Atmosfere per la Filarmonica del Teatro Regio, questa volta affidata alla sicure mani di Jukka-Pekka Saraste. In programma tre brani molto evocativi che da Wagner arrivano a Ligeti passando per Richard Strauss. Ma anche tre momenti cinematografici, perché tutti e tre i lavori sono diventati famosi presso il grande pubblico quali colonne sonore di grandi film.

È il caso ovviamente di Also sprach Zarathustra che Stanley Kubrik scelse per le prime immagini del suo 2001: A Space Odissey. Una fanfara epica ormai considerata come pezzo musicale a sé, ma che è invece la solenne introduzione al poema sinfonico con cui nel 1896 Richard Strauss rispondeva musicalmente all’omonimo testo di Friedrich Nietzsche, a sua volta in risposta alla crisi del pensiero occidentale causata dall’avanzare della scienza e al crollo della religione. Con il sottotitolo “Un libro per tutti e per nessuno”, nel 1885 il filosofo tedesco prendeva a modello la figura dello storico mistico iraniano Zarathustra che sceso dalla montagna portava il suo insegnamento all’umanità. In opposizione a Schopenhauer e al mondo di Richard Wagner, Nietzsche qui trattava i temi dell’eterno ritorno, la parabola della morte di Dio e la profezia dell’avvento dell’Übermensch (oltreuomo), concetti già introdotti nel suo precedente Die fröhliche Wissenscahft (La gaia scienza).

Ma che cosa c’è di tutto questo nel poema sinfonico di Strauss? Dopo l’introduzione, in cui si ascolta il solenne saluto al Sole nascente, il brano di sviluppa in otto sezioni in cui il compositore affronta l’arduo compito non di descrivere o narrare una storia, come aveva fatto nei suoi precedenti poemi sinfonici, ma di narrare in suoni un pensiero filosofico traducendo in forme musicali i concetti fondamentali del testo. Ecco allora che il tema dell’eterno ritorno qui diventa un rondeau dove un tema musicale ricorre più volte. Così gli altri due temi: “del grande anelito”, la terza sezione, e “delle gioie e delle passioni”, la quarta, mentre “della scienza” è una dotta fuga. Il direttore finlandese gestisce con maestria le masse sonore di questo poema sinfonico passando dalla grandiosa fanfare iniziale ai complessi momenti successivi, indugiando ne “il canto dei sepolcri” su quei malinconici ricordi e al loro girare girare a vuoto, o come ne “il canto della danza” quegli spunti di valzer serpeggianti nell’orchestra che anticipano quelli del Rosenkavalier. Nel lustro strumentale una parte a sé si ricavano il primo violino Lorenzo Gentili-Tedeschi e Nicola Patrussi, primo oboe della OSN. Nella lettura di Saraste diventa evidente lo struggente tono mahleriano dell’ultima sezione, “il canto del viandante notturno”, dalla timbrica rarefatta con cui si conclude un po’ ambiguamente la pagina.

Nello stesso 2001: A Space Odissey Kubrik aveva utilizzato Atmosphères, di György Ligeti, pezzo «per grande orchestra senza percussioni», come si legge in partitura, eseguito con lo schermo nero prima ancora della sigla del film. Questo per porre subito lo spettatore in una prospettiva senza confini. È il primo di una straordinaria sequenza di musiche – Richard Strauss, ancora Ligeti, Johann Strauss… – magistralmente utilizzate dal regista nel film del 1968 diventato poi di culto presso gli estimatori del genere fantascientifico, ma non solo. Nel 1961 a Donaueschingen il pezzo ebbe da subito un grande successo per la sua originalità: un brano stratificato, una ragnatela finemente tessuta in cui i tradizionali intervalli musicali si dissolvono in un unico intreccio complesso fatto di numerose voci dove non si sentono più singole armonie e singoli ritmi, ma un’unica massa filamentosa e brulicante. Una materia sonora ramificata e in perpetua trasformazione, un insieme di micropolifonie che fluisce senza inizio né fine, tendente all’infinito. Ed è straordinario vederlo suonato in orchestra: si stenta a credere che quei suoni arcani siano realizzati con strumenti tradizionalissimi, soprattutto gli archi, utilizzati però in maniera innovativa e geniale. Molto particolare l’utilizzo del pianoforte, così prescritto dal compositore: «La parte pianistica è costituita interamente da suoni emessi sfiorando le corde. Gli strumenti necessari sono: un paio di spazzole a filo (quelle usate dai batteristi jazz), panni spessi, morbidi e ovattati, e due paia di spazzole per ogni suonatore. Per le corde basse e medie è meglio usare grandi spazzole di pelo di cavallo, molto compatte e non morbide; per le corde più alte spazzole più piccole, per esempio spazzole per unghie piuttosto dure, la cui dimensione dipende dallo spazio disponibile nel pianoforte. I movimenti di spazzolamento devono essere eseguiti in modo da creare un suono morbido, completamente continuo ed equilibrato, senza alcun carattere di glissando e senza alcuna traccia di periodicità. Il modo migliore per ottenere questo risultato è il seguente: le corde vengono spazzate molto lentamente da entrambi gli esecutori contemporaneamente, in diagonale e con movimento contrario». Nello stesso film Kubrick inserì anche altri brani di Ligeti: il “Kyrie” dal Requiem (1963-65), Lux Aeterna (1966) e Aventures (1962), ma si ricordò di lui anche per The Shining (Lontano, 1967) e Eyes Wide Shut (Musica ricercata, 1950-53).

Il concerto si era aperto con le note del Preludio e morte di Isotta di Richard Wagner, anch’esse utilizzate in una pellicola di Lars von Trier, Melancholia, film in cui all’inizio la protagonista sogna un pianeta venuto dalle profondità dello spazio a intercettare la traiettoria della Terra e distruggerla. La collisione avviene al culmine del crescendo del preludio. Nessuna catastrofe si verifica nella sala del Regio, la direzione di Saraste è precisa ma un po’ fredda, non molto coinvolgente in questa prima parte e neppure la morte di Isotta tocca vette di grande emotività, ma il pubblico folto ed entusiasta, con molti giovani presenti, è soddisfatto e risponde con calorosi applausi.

Se la stagione dei concerti al Regio si conclude nel segno del cinema, anche quella della RAI a settembre inizierà con un omaggio alla decima musa: un ciclo di tre concerti dedicati alle musiche per famosi film muti.