Matrimonio al convento

Sergei Prokof’ev, Matrimonio al convento

Musiktheater an der Wien, Vienna, 26 marzo 2025

★★★★☆

Pesci puzzolenti, travestimenti e frati gaudenti

Alla fine sono ben tre i matrimoni in questa vicenda di pesci, frati gaudenti e travestimenti. Composta nel 1940 ma presentata al pubblico solo sei anni dopo e presto ritirata perché non gradita al regime di Stalin, venne ripresa nel 1959, ma al di fuori dell’URSS. Una bella produzione di Matrimonio al convento è quella del 1998 al Mariinskij approdata poi al Regio di Torino nel marzo 2004. In quella occasione Daniele Martino scriveva di «filtro perfetto di tradizione buffa italiana e opera russa» riguardo alla direzione di Gianandrea Noseda. Lo stesso si può ripetere per la lettura scoppiettante di Dmitrij Matvienko alla guida dell’ORF Radio-Symphonieorchester Wien in questa edizione del Musiktheater an der Wien. Sotto la sua bacchetta si esalta la «beffarda pernacchia circense» con cui viene stravolto il minuetto settecentesco approntato da Don Gerolamo con cornetta e grancassa, per non parlare della confraternita di frati avvinazzati da Carmina Burana dai nomi inequivocabili (fratello Elixir, fratello Chartreuse, fratello Bénédictine…) che brinda con cori da Boris Godunov ribaltati al sarcasmo, e qui l’Arnold Schoenberg Chor istruito da Erwin Ortner si conferma uno dei cori più duttili nei teatri europei.

Tra gli interpreti si riconosce Evgenij Akimov, allora a Torino il giovane Don Antonio, qui un anziano Don Gerolamo dai mezzi vocali un po’ stanchi. Così come quelli di Valerij Gilmanov, che affida soprattutto alla vivacità scenica la sua definizione di Mendoza, il puzzolente boss del mercato del pesce di Siviglia. Molto meglio le voci dei giovani: Stacey Alleaume è una Luisa vibrante e dalla bella voce lirica;  Anna Goriačëva è Clara, fanatica degli schemi morali, cantante eccellente in voce e presenza scenica. Scalzata dal titolo originale del lavoro da cui è tratto il libretto – il settecentesco The Duenna or The Double Elopment di Richard Brindsley Sheridan – la dueña si riprende la scena con la verve e il temperamento di  Elena Maximova, mentre Pëtr Sokolov (Don Ferdinando) e Zoltán Nagy (Don Carlos) si distinguono tra gli interpreti secondari più efficaci.

Con la drammaturgia di Kai Weßler, che ambienta la favola negli anni ’60, Damiano Michieletto allestisce uno spettacolo ironico e fluido che Paolo Fantin, da par suo, rende memorabile per le geniali scenografie: il palcoscenico a tre gradini, tramite la discesa dall’alto di pareti costellate di porte, si trasforma in ambienti di diversa dimensione. I bordi marcati dal neon – neanche stavolta “Fantineon” rinuncia alla sua cifra… – danno al tutto un tocco moderno e surreale, sottolineato dalla calata dall’alto di un enorme pesce lucido e guizzante che nel finale si ridurrà a una lisca spolpata. I costumi azzeccatissimi di Klaus Bruns e gli interventi coreografici di Erika Rombaldoni completano la parte visuale di questa produzione di cui è ancora da menzionare il sempre puntualissimo light design di Alessandro Carletti che gioca molto abilmente con colori e ombre. L’entusiasmo del pubblico e le acclamazioni finali suggellano giustamente la riuscitissima serata.