Regine di cuori

Benedetto Marcello, Sinfonia dall’opera Arianna Abbandonata 

Claudio Monteverdi, Lamento d’Arianna

Henry Purcell, Sinfonia dall’opera Dido and Aeneas

Giovanni Battista Martini, Dido Infelice, Cantata per solo Alto con violini, 

Nicola Porpora, Sinfonia dall’opera Agrippina

Antonio Caldara, Medea in Corinto, Cantata per Alto, due violini e continuo

Margherita Maria Sala contralto, Thomas Chigioni direttore, Ensemble Locatelli

Cremona, Cortile di Palazzo Fodri, 16 giugno 2025

Regine di cuori

Il Monteverdi Festival di quest’anno si intitola Heroes, ma c’è anche una eroina: la Penelope de Il ritorno d’Ulisse in patria, il contralto Margherita Maria Sala, durante la prova generale si è infortunata a un un braccio ma ha continuato la prova imperterrita e non solo si è presentata come se nulla fosse alla prima e alla successiva recita, ma non ha neppure disertato il previsto concerto pomeridiano a Palazzo Fodri dove, incurante del  caldo, dei lontani rombi di tuono, delle porte che sbattevano per il vento, delle campane e del garrire delle rondini, ha intonato con voce sontuosa – e sempre con il braccio al collo – i lamenti di tre donne abbandonate: Arianna, Didone, Medea.

Messe duramente alla prova dall’umidità del pomeriggio estivo nella splendida corte, le corde in budello dei violini di Jérémie Chigioni e Ulrike Slowik, la viola di Nicola Sangaletti, il violoncello di Thomas Chigioni e la tiorba di Francesco Olivero dell’Ensemble Locatelli, hanno comunque retto nel compito di intonare le meravigliose note di lavori del Seicento e Settecento: tre sinfonie strumentali alternate ad altrettanti numeri vocali, tutti incentrati su donne dell’antichità classica e dall’infelice destino.

Inizia il concerto la sinfonia de l’Arianna abbandonata di Benedetto Marcello che nel 1727, sette anni dopo la pubblicazione del suo corrosivo pamphlet Il teatro alla moda, dedicava alla figura della sventurata donna abbandonata da Teseo questo “intreccio scenico musicale” intriso di un turgido linguaggio tardo barocco che contrasta fortemente con l’Arianna di un secolo prima, quella dell’opera perduta di Monteverdi, di cui la Sala canta con solenne compostezza l’unico reperto rimastoci, quel Lamento che oggi ascoltiamo per intero e non nella versione in salsa Liberty di Parisotti, tanto amata dal Vate da venire inserita nel suo romanzo Il fuoco. Qui non c’è bisogno del testo scritto perché le parole sono scandite con chiarezza e con sottili sfumature espressive dalla cantante vincitrice del Cesti 2020.

Unico compositore non italiano presente nell’impaginato del concerto è Henry Purcell, di cui non poteva mancare un’altra abbandonata, Didone. La versione per archi della sinfonia da Dido and Æneas che ci viene fornita dall’Ensemble Locatelli è essenziale ed elegantemente minimalista pur foriera della tragedia incombente. E ancora la regina di Cartagine è protagonista del brano vocale che segue, Dido infelice, cantata di Giovanni Battisti Martini, ritrovata nella Biblioteca di Bologna, qui in prima esecuzione mondiale. Strutturata in una lunga introduzione strumentale, recitativo, aria con da capo, aria con ricche fioriture rese con proprietà senza particolare sfoggio virtuosistico dal contralto.

In un solo tempo e dal ritmo particolarmente vivace è la Sinfonia dall’Agrippina di Nicola Porpora. Non abbandonata ma dal destino piuttosto tormentato è la madre di Nerone, protagonista della prima opera del maestro del Farinelli, del Porporino e dei maggiori castrati cantori dell’epoca. Pur con pochi mezzi mezzi la ricchezza tematica e timbrica del pezzo è efficacemente messa in risalto dai cinque virtuosi.

Conclude il concerto la figura di Medea con la cantata di Antonio Caldara anch’essa strutturata in introduzione e tre arie che esemplificano il sistema di “affetti” dell’opera barocca: essendo la prima una dolente aria di abbandono, la seconda un’aria di furore e la terza una ancora più agitata aria di vendetta con “vediamo” trasformare sotto i nostri occhi una triste amante in furia e poi in temibile maga. Con una mimica facciale molto contenuta, tutto è lasciato all’espressione della voce della cantante che mostra le sue qualità vocali in questa straordinaria sequenza.

Ma Margherita Maria Sala ci riserva ancora una sorpresa: agli insistenti applausi del pubblico regala un fuori programma che da solo valeva il concerto. Infatti dopo le minacce terrificanti della maga abbiamo la tenera ninna-nanna «Dormi, o fulmine di guerra” dall’Oratorio Giuditta di Alessandro Scarlatti, con cui si invita al sonno Oloferne. Qui tutto è sospeso: è il tempo dell’attesa dell’innamorato che verrà ingannato, ma anche il cullante regredire verso il ventre materno, il tempo di sospensione dalla violenza del mondo. Mai come in questa pagina è resa evidente la nozione del canto come seduzione. Le lunghissime arcate delle note tenute in fiati interminabili e i semplici ma allo stesso tempo raffinati passaggi armonici sono resi con olimpica maestà dalla calda voce del giovane contralto. Il pubblico alla fine, quasi in trance, non si decide ad andarsene.