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Claudio Monteverdi, “Vi ricorda, o bosch’ombrosi” dall’opera L’Orfeo
Claudio Monteverdi, “Son rubini amorosi” dall’opera L’incoronazione di Poppea
Francesco Cavalli, “La bellezza è un don fugace” dall’opera Xerse
Bernardo Pasquini, Sinfonia dall’oratorio Il martirio dei santi Vito, Modesto e Crescenzia
Alessandro Melani, “O quanto è soave” dall’opera Il carceriere di sé medesimo
Agostino Steffani, “Ogni core può sperar” dall’opera Servio Tullio
Domenico Sarro, “Miei guerrieri” dall’opera Il Vespasiano
Alessandro Scarlatti, Sinfonia dalla serenata Clori, Dorino e Amore
Antonio Vivaldi, “Deh ti piega” dall’opera La Fida Ninfa
Domenico Sarro, Introduzione in Re maggiore (Sinfonia) dall’opera Partenope
Giovanni Alberto Ristori, “Ah, fermate il pianto” dall’opera Temistocle
Georg Friedrich Händel, “Fatto inferno… Pastorello d’un povero armento” dall’opera Rodelinda, Regina de’ Longobardi
Laurence Kilsby tenore, Alessandro Quarta direttore, Concerto Romano
Cremona, Aula Magna dell’Università del Sacro Cuore, 25 giugno 2025
Non solo controtenori
Una vera lezione di canto barocco quella fornita dal concerto del Monteverdi Festival che ha messo in campo uno dei maggiori interpreti vocali di questo repertorio. Per una volta non si tratta di un controtenore, bensì di un tenore, quel Laurence Kilsby che tre anni fa aveva vinto il primo premio del Concorso Cesti, uno dei tanti premi mietuti in una carriera folgorante che l’ha visto passare da voce bianca della Tewkesbury Abbey Schola Cantorum ai BBC Proms ai più importanti ruoli sulle scene internazionali quando la voce si è trasformata in quella di un adulto.
Sul piccolo palco dell’Aula Magna dell’Università del Sacro Cuore salgono gli strumentisti del Concerto Romano diretti dal suo fondatore Alessandro Quarta, un ensemble specializzato nel repertorio italiano, e più in particolare di quello romano, dei secoli XVI, XVII e XVIII. Gli undici archi, completati da tiorba/chitarra e clavicembalo, eseguono anche pagine strumentali quali la Sinfonia dall’oratorio Il martirio dei santi Vito, Modesto e Crescenzia di Bernardo Pasquini, la Sinfonia dalla serenata Clori, Dorino e Amore di Alessandro Scarlatti e l’Introduzione in Re maggiore (Sinfonia) all’opera Partenope di Domenico Sarro, quest’ultima in prima esecuzione assoluta. La pagina del Pasquini è del 1687 e dimostra l’abilità del suo autore a gestire il passaggio da musica sacra a musica per la scena a fine Seicento, mentre le altre due, rispettivamente del 1702 e 1722, sono intrise della evidente teatralità dell’opera napoletana e romana. Con un gesto espressivo e coinvolgente Alessandro Quarta, direttore artistico del Festival Internazionale Urbino Musica Antica e presidente della Fondazione Italiana per la Musica Antica, dirige una compagine che risponde con un suono pieno, preciso e brillante nei ritmi di queste pagine introduttive. Ineccepibile è poi l’accompagnamento del solista in una sequenza di pezzi musicali che da Claudio Monteverdi a Giovanni Alberto Ristori, vogliono declinare l’enorme varietà dell’aria barocca.
Non si può non iniziare dal primo capolavoro operistico, L’Orfeo, di cui Kilsby rende con vivacità ed eleganza la scena “Vi ricorda, o bosch’ombrosi” del II atto, in cui Orfeo rende merito a Euridice del suo amore poco prima che la Messaggera entri in scena ad annunciarne la morte. Qui si ammirano la dizione da manuale e la perfetta gestione da parte del cantante delle insidiose armonie disseminate in questa “facile” pagina del 1607. Ancora l’amore, ma inteso in maniera molto più sensuale, è il soggetto della successiva aria monteverdiana, “Son rubini amorosi” da L’incoronazione di Poppea (1643), un’altra delle “care gemme” a cui è dedicata la serata.
Coevo di Monteverdi, di Francesco Cavalli, ascoltiamo “La bellezza è un don fugace” dall’opera Xerse (1655), la cinica affermazione dell’eunuco Eumene qui resa con elegante nonchalance da Kilby che nella successiva “O quanto è soave” introduce il musicista Alessandro Melani e la sua opera Il carceriere di sé medesimo, qui siamo nel 1681. Il Melani è un compositore recentemente riscoperto, è suo infatti il sorprendente L’empio punito, un Don Giovanni antecedente di oltre un secolo di quello di Mozart! La tenerezza di “O quanto è soave” è messa a confronto con l’irresistibile tono danzante di “Ogni core può sperar” dall’opera Servio Tullio di Agostino Steffani (1686), compositore veneto formatosi con Cavalli e investito della porpora vescovile. Prolifico autore di opere e oratorii, fu attivo alla corte di Baviera ed è qui che debuttò il suo Servio Tullio per il matrimonio dell’elettore Massimiliano-Emanuele con l’arciduchessa Maria Antonietta d’Austria. Tutt’altra atmosfera è quella di “Miei guerrieri” dall’opera Il Vespasiano di Domenico Sarro. Siamo nel 1707 e le agilità sono un mezzo per esprimere i diversi sentimenti, gli “affetti” nel lessico musicale settecentesco, una retorica che in questo secolo costituirà il fondamento dell’opera seria. Qui la voce del tenore assume un’altra dimensione espressiva, ma è ancora una volta con Vivaldi che avviene il miracolo: era stato il pezzo con cui si era classificato primo al Concorso Cesti di Innsbruck del 2022 ed allora aveva incantato il pubblico e la giuria per la sapienza e intensità con cui aveva intonato “Deh ti piega”, l’aria del pastore Narete rapito assieme alle due figlie da un pirata nell’opera La Fida Ninfa (1732). Il pezzo è uno dei capolavori del Prete Rosso, il modello perfetto dell’aria barocca suddivisa nelle sue tre, o meglio, cinque parti: esposizione del tema sulla prima strofa A («Deh ti piega, deh consenti, | mira il pianto, odi i lamenti, | e ti muova oro, o pietà»); ripetizione variata A’; seconda strofa B («In sciagure sì infelici, | in disastri sì funesti | anche tu cader potresti. | Anche noi fummo felici, | ma sua sorte uomo non sa»); da capo A” e A”’. Non si pensava che potesse fare meglio di tre anni fa e invece Kilsby riesce ad andare oltre la perfezione: ogni ripresa è una cosa a sé, ogni parola viene ripetuta con intenzioni diverse in un itinerario espressivo di intensità sorprendente e una gara di musicalità tra voce e strumenti.
Ma il concerto non è finito qui. Un’altra prima esecuzione è quella di “Ah, fermate il pianto” dall’opera Temistocle di Giovanni Alberto Ristori, compositore bolognese attivo a Dresda nel cui bombardamento del 1945 andarono persi molti suoi lavori. Il Temistocle appartiene ai suoi ultimi anni e debuttò a Napoli nel 1738. Il lamento dell’ateniese qui assume una solenne nobiltà che la musica del Ristori e l’interpretazione di Kilsby esaltano al massimo. Fino a questo momento il programma vocale ha seguito un ordine strettamente cronologico e la esclusiva presenza di compositori italiani, ma non poteva mancare Georg Friedrich Händel con cui si fa un passo indietro nel tempo essendo del 1725 l’opera Rodelinda, Regina de’ Longobardi di cui viene eseguita la grandiosa scena sesta dell’atto III strutturata nel recitativo accompagnato «Fatto inferno è il mio petto» e nell’aria «Pastorello d’un povero armento» con cui il perfido Grimoaldo in preda a contrastanti affetti – gelosia, sdegno, amore, rimorso – invidia la serenità del pastorello che nonostante la povertà «pur dorme contento, | sotto l’ombra d’un faggio o d’alloro» Mentre lui «d’un regno monarca fastoso, | non trovo riposo, | sotto l’ombra di porpora e d’oro». Con questo omaggio alla patria del cantante e al genio teatrale del Sassone naturalizzato inglese, si conclude la parte ufficiale del concerto, ma gli applausi e l’entusiasmo del pubblico strappano due bis agli esecutori e si riascoltano così le gioiose arie di Steffani e Cavalli.
⸪
