One Morning Turns into an Eternity

foto © Ruth Walz

Schönberg – Webern – Mahler

One Morning Turns into an Eternity

Salisburgo, Felsenreitschule, 10 agosto 2025

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Non concerto, non opera, ma un’ora di intensa emozione

Alla Felsenreitschule di Salisburgo Peter Sellars unisce Schönberg, Webern e Mahler in un percorso sull’angoscia e la fragilità umana. Erwartung di Schönberg, interpretato magistralmente da Aušrinė Stundytė, diventa preludio a Der Abschied di Mahler con Fleur Barron. Esa-Pekka Salonen guida i Wiener Philharmoniker in una serata di rara intensità emotiva e potenza visiva.

Un sacco nero con un cadavere viene gettato per terra sullo sterminato palcoscenico della Felsenreitschule di Salisburgo mentre le armonie vaganti di Erwartung di Arnold Schönberg introducono una donna arrivata “al limitare di un bosco” per incontrare l’amante di notte. La trentina di battute musicali di questa prima scena sottolineano il senso di tensione e di preoccupazione della donna. Un intermezzo molto breve porta alla seconda scena “al chiaro di Luna” in cui la donna avanza cautamente nella «via ampia» e nell’«oscurità profonda, tra folti alberi alti». Nella terza scena, “sentieri e campi”, «alte erbe, felci e grandi funghi gialli”» rendono allucinante il quadro sotto i lividi riflessi della Luna. Un interludio di poche battute basate su figure ostinate sfocia nella quarta scena, “il bosco profondo e scuro”, in cui la donna ha l’abito strappato, i capelli scomposti, macchie di sangue sul volto e sulle mani. La donna inciampa su un cadavere che scambia per un tronco. È quello dell’amante presso la casa della rivale. Esplosioni di gelosia si mescolano a ricordi e speranze in un clima di sogno disincantato e incompiuto. Solo alla fine la sua ansia si acqueta.

L’op. 17 fu composta in un periodo di profonda crisi per Schönberg: nell’estate del 1908 la moglie Mathilde Zemlinsky era fuggita col suo migliore amico, il pittore Richard Gerstl, che si uccise poi quando a novembre la donna ritornò dal marito. Erwartung verrà presentata al pubblico solo nel 1924. Qui costituisce la prima parte di uno spettacolo, messo in scena da Peter Sellars, che unisce tre rappresentanti della scuola viennese di inizio ‘900: oltre a Schönberg, Anton Webern, di cui si ascoltano i Cinque pezzi per orchestra op. 10 come interludio, e infine Gustav Mahler con “Der Abschied” (L’addio), l’ultimo pezzo di Das Lied von der Erde, un lavoro composto anch’esso nel 1908, un periodo tragico anche per Mahler, che dovette affrontare la perdita della figlia Putzi, la scoperta della sua malformazione cardiaca e l’addio all’Opera di Vienna.

Il regista americano cuce assieme queste musiche in una drammaturgia in cui l’uomo in entrambi i casi è vittima di un sistema autoritario. Nella scenografia di George Tsypin una recinzione di filo spinato delimita a sinistra uno spazio cosparso di massi mentre a destra si estende un “bosco” formato da nove cilindri metallici con sagome nere sulla superficie che ruotano nei momenti più drammatici.

Protagoniste di entrambi i lavori vocali sono due donne. Il soprano Aušrinė Stundytė è l’intensa interprete del monodramma di Schönberg. Con la sua straordinaria presenza scenica e la sopraffina tecnica espressiva esprime il testo, frammentato come uno stato di coscienza, di Marie Pappenheim, un testo che non racconta nulla ma che dice tutto sull’angoscia di una donna. Dopo il breve interludio con le musiche di Webern, nel lavoro di Mahler ascoltiamo il mezzosoprano Fleur Barron che rimpiazza il previsto contralto Wiebke Lehmkuhl che ha dovuto abbandonare la produzione per ragioni famigliari. Con il suo timbro caldo e un vibrato talora eccessivo, intona la lunga riflessione sulla natura, l’ebbrezza, la nostalgia, la fragilità della vita, il dolore della separazione e della morte. Qui si sente la sofferenza del pianeta e dei suoi esseri viventi: destino individuale quello di Erwartung, destino collettivo quello di Der Abschied dove tutto è minacciato e pronto a scomparire nel nulla, nell’indifferenza dell’eternità, con quell’«Ewig, ewig…» che si spegne nel silenzio.

Se le immagini che vediamo, illuminate dal coinvolgente gioco luci di James F. Ingalls, hanno una profonda suggestione, è la musica l’elemento più perturbante di questa strana operazione, non concerto, non opera. La direzione di Esa-Pekka Salonen alla testa dei Wiener Philharmoniker esalta le qualità delle tre diverse pagine: i suoni rabbrividenti del dramma di Schönberg, la bellezza dei pezzi di Webern mai ascoltati con tanta trasparenza, lo struggimento quasi insostenibile dell’Addio di Mahler. Un’esperienza sconvolgente che ha contaminato il pubblico che a fatica si è ripreso dall’emozione provata e solo dopo lunghi secondi è esploso in applausi entusiasti. Un’esperienza da portare dentro il cuore per molto tempo.