Karl Jenkins
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Karl Jenkins, The Armed Man: A Mass for Peace
1. L’homme armé (Su testo francese del XIII–XIV secolo); 2. Call to prayers (Adhaan); 3. Kyrie eleison; 4. Save me from the bloody men (dai Salmi 56 e 59); 5. Sanctus; 6. Hymn before action (Rudyard Kipling); 7. Charge! (John Dryden, Jonathan Swift); 8. Angry flames (Tōge Sankichi); 9. Torches (dal Mahābhārata); 10. Agnus Dei; 11. Now the guns have stopped (Guy Wilson); 12. Benedictus; 13. Better is peace (Thomas Malory, Alfred Tennyson, Libro delle rivelazioni)
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Orchestra Teatro Regio Torino, Nicolò Umberto Foron direttore, Coro Valdese di Torino, Coro dell’Istituto Musicale “Arcangelo Corelli” di Pinerolo, Walter Gatti maestro del coro, Giulia Bolcato soprano, Annunziata Vespri mezzosoprano, Lorenzo Martelli tenore, Stefano Marchisio basso
Torino, Conservatorio Giuseppe Verdi, 10 settembre 2025
Quando la musica racconta la guerra per invocare la pace
Londra, 25 aprile 2000. Nella solenne cornice della Royal Albert Hall va in scena la prima assoluta di The Armed Man: A Mass for Peace, una composizione destinata a entrare nella storia della musica contemporanea. A firmarla è il gallese Karl Jenkins, classe 1944, uno dei compositori britannici più eclettici e popolari degli ultimi decenni. Jenkins non è soltanto un autore classico: il suo percorso artistico attraversa i confini tra generi, dalla musica sinfonica al rock psichedelico – negli anni Settanta ha fatto parte dei Soft Machine – fino alla world music e alle sonorità pop. Una versatilità che si riflette pienamente in questa “messa per la pace”, una delle sue opere più emblematiche. Commissionato dalle Royal Armouries, il più antico museo d’Inghilterra, The Armed Man nasce come celebrazione del nuovo millennio e come monito contro i disastri della guerra. Il progetto prende le mosse da una tradizione musicale antichissima: la chanson tardo medievale L’homme armé, anonima, la cui melodia ha attraversato i secoli ispirando decine di messe rinascimentali. «L’uomo armato lo si deve temere», recita il testo originario, una frase che Jenkins trasforma in spunto drammatico e poetico per l’intera composizione.
La messa è costruita in tredici movimenti, con una struttura ibrida: accanto ai brani dell’Ordinario cattolico – Kyrie, Sanctus, Agnus Dei, Benedictus – si susseguono testi poetici, liturgici e storici in diverse lingue e culture. Una partitura che fonde elementi sacri e profani, occidentali e orientali, per riflettere sull’universalità della violenza bellica e sull’anelito umano alla pace. L’apertura è affidata proprio al tema de L’homme armé, intonato dal coro in modo solenne e minaccioso, quasi a evocare l’ombra della guerra che incombe sull’umanità. Ma Jenkins, fedele alla sua cifra stilistica, non si limita alla citazione dotta: il suo linguaggio musicale è accessibile, diretto, quasi “pop” nella sua immediatezza. I timpani scandiscono il ritmo della marcia, gli ottoni rinforzano l’atmosfera marziale, mentre flauti e ottavini tagliano l’aria con suoni acuti, carichi di tensione.
La messa si apre al mondo già nel secondo movimento: Call to Prayers, un autentico richiamo alla spiritualità islamica, è affidato alla voce del muezzin Amir Ubrahim Younes. L’invocazione precede il Kyrie, e stabilisce sin da subito l’intenzione ecumenica del lavoro: la guerra è un male universale, la pace una speranza condivisa. Segue un Sanctus percussivo e incalzante, anticipato dalla lettura dei Salmi 56 e 59, che invocano la misericordia di Dio in tempo di guerra. Jenkins alterna continui cambi di registro, portando l’ascoltatore in un percorso emotivo ed estetico attraverso epoche e culture. Uno dei momenti più significativi è l’inserimento di Hymn Before Action, scritto da Rudyard Kipling nel 1896, in un’epoca segnata dalla tensione tra le grandi potenze coloniali. I suoi versi – «La terra è piena di ira, i mari sono oscuri di collera…» – anticipano l’esplosione del patriottismo e la retorica bellica che Jenkins rafforza nel brano Charge!, in cui echeggiano le parole di Dryden, Horace e Swift. Il fragore degli ottoni e il battito incessante delle percussioni rendono quasi tangibile la furia del combattimento.
Ma è nella parte centrale della messa che Jenkins abbandona l’epica per dare voce al dolore. Angry Flames, del giapponese Tōge Sankichi, sopravvissuto a Hiroshima ma morto per le radiazioni pochi anni dopo, è un grido di sofferenza che dilania l’ascoltatore. Il testo, tradotto in musica con una sensibilità quasi cinematografica, descrive le fiamme della bomba atomica che avvolgono corpi e città. Segue Torches, tratto dal Mahābhārata, che racconta l’incendio della foresta di Khandava dal punto di vista degli animali, vittime innocenti e inconsapevoli della distruzione. È un momento di intensa commozione, in cui la musica si fa carezza e denuncia. La messa prosegue con l’Agnus Dei, altro momento di raccoglimento, che apre la strada a Now the Guns Have Stopped, testo firmato da Guy Wilson, all’epoca direttore delle Royal Armouries. Qui è il reduce di guerra a prendere la parola, con una confessione disarmante: «Sono sopravvissuto a tutto, io che sapevo che non ce l’avrei fatta… Tornerò a casa, da solo , e cercherò di vivere come prima». Jenkins veste queste parole con una musica sospesa, trattenuta, quasi incapace di consolare. Il Benedictus, celebre per il suo assolo di violoncello, rappresenta un momento di struggente bellezza e offre uno spiraglio di speranza. Ma è nel finale, Better is Peace, che la composizione si chiude con una visione luminosa: le parole tratte da Thomas Malory, Alfred Tennyson e dal Libro dell’Apocalisse («Dio asciugherà ogni lacrima») si intrecciano in un crescendo corale che invita al superamento del conflitto.
The Armed Man ha riscosso un successo straordinario: più di 3000 esecuzioni in tutto il mondo. È stato scelto per commemorare eventi drammatici come l’anniversario degli attentati dell’11 settembre a New York e il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale a Berlino. In termini di popolarità, è il secondo brano di musica classica più eseguito al mondo, superato solo dal Concerto n. 2 di Rachmaninov ma davanti alla Nona di Beethoven! Un dato che impone una riflessione: la sua presa sul pubblico non può essere liquidata con la sola “facilità” della scrittura. Certo, Jenkins utilizza un linguaggio diretto, a volte persino prevedibile, la sua scrittura strumentale è di grande efficacia, non banale, e attinge a piene mani da influenze diverse: dalla polifonia veneziana all’Orff dei Carmina Burana, fino al musical e alla musica pop. Ma la sua capacità di coinvolgere e di rendere accessibile un tema tanto tragico è parte del suo merito artistico, anche se più che l’emozione qui sembra prevalere la capacità ad adattarsi a una musica di circostanza che sa compiacere l’ascoltatore. E alla fine mostra la distanza tra il risultato musicale e il tema in sé, la follia e la tragicità della guerra. Qui manca l’abisso emotivo di capolavori come A Survivor from Warsaw di Schönberg, il War Requiem di Britten, o la Sesta Sinfonia di Šostakovič. Comunque, The Armed Man rimane un’opera importante, soprattutto per il suo potere comunicativo.
L’esecuzione al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino nell’ambito del festival MiTo Settembre Musica, ha dimostrato comunque ancora una volta la forza di questo lavoro. Nonostante le limitazioni logistiche – il grande organico orchestrale del Teatro Regio e quello corale sono stipati come “sardine” sul piccolo palcoscenico dove i contralti hanno il fiato sul collo del timpanista e la tromba solista per il suo intervento fuori scena deve pestare i piedi agli strumentisti per uscire – l’esecuzione ha raggiunto momenti di grande intensità. Merito anche del giovane direttore Nicolò Umberto Foron, già lanciato a livello internazionale e votato alla musica contemporanea (ha diretto oltre 50 prime mondiali), che ha guidato orchestra e cori con energia e controllo. In scena, due cori – il Coro Valdese di Torino e quello dell’Istituto Musicale “Arcangelo Corelli” di Pinerolo –, preparati da Walter Gatti, hanno offerto una prova intensa, pur con qualche incertezza nella dizione dell’inglese. Tra i solisti – Giulia Bolcato soprano, Annunziata Vespri mezzosoprano, Lorenzo Martelli tenore, Stefano Marchisio basso – spiccano la limpidezza di Giulia Bolcato e l’espressività di Annunziata Vespri, particolarmente toccante nei brani più drammatici.
Il pubblico ha risposto con entusiasmo, chiedendo il bis del finale e lasciando la sala solo dopo l’ultima nota. The Armed Man continua a parlare al cuore delle persone, al di là di ogni accademismo. Le “Rivoluzioni” di MiTo proseguono, ma quella di Jenkins – musicale, culturale, emotiva – resta una delle più sorprendenti.
⸪