Thomas Dausgaard e Liv Redpath
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Rued Langgaard, Rabbia, quartetto per archi n° 3, orchestrazione di Thomas Dausgaard
1. Poco allegro rapinoso
2. Presto scherzoso artifizioso
3. Tranquillo
Hans Abrahamsen, Let me tell you, 7 canti per soprano e orchestra
Part I
1. Let me tell you how it was
2. O but memory is not one but many
3. There was a time I remember
Part II
4. Let me tell you how it is
5. Now I do not mind
Part III
6. I know you are here
7. I will go out now
Carl Nielsen, Sinfonia n. 4 op. 29 “L’inestinguibile”
1. Allegro
2. Poco allegretto
3. Poco adagio quasi andante
4. Allegro
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Orchestra Sinfonia Nazionale della RAI, Thomas Dausgaard direttore, Liv Redpath soprano
Torino, Auditorium RAI Arturo Toscanini, 12 settembre 2025
Tre voci dalla Danimarca: la rabbia, la lotta e il canto di Ofelia
Concerto interamente danese quello che MiTo Settembre Musica ha portato all’Auditorium RAI “Arturo Toscanini” di Torino. Una serata che ha avuto il pregio di comporre un mosaico del Novecento musicale scandinavo, intrecciando tre voci distanti nel tempo ma unite da un’identità culturale comune: Rued Langgaard, Carl Nielsen e Hans Abrahamsen. Tre modi diversi di raccontare la condizione umana attraverso il linguaggio orchestrale, in un percorso che dal tormento romantico arriva alla rarefazione poetica contemporanea.
Il pezzo più conosciuto del programma è la Sinfonia n. 4 di Carl Nielsen, accanto a Grieg e Sibelius, uno dei capisaldi della musica nordica tra Otto e Novecento. Composta fra il 1914 e il 1916, negli anni bui della Prima guerra mondiale, è la partitura che consacrò Nielsen alla notorietà internazionale e rimane tutt’oggi la più celebre e rappresentativa del suo catalogo. Non a caso porta un sottotitolo emblematico, ”Det Uudslukkelige” (L’inestinguibile). Nella prefazione il compositore spiega con chiarezza il senso di quella parola: non un programma narrativo né un’allegoria, ma l’affermazione pura e semplice di un principio vitale: «La musica è vita e, come la vita, è inestinguibile». Quella di Nielsen è dunque una dichiarazione di vitalismo in forma sonora, una lotta per la sopravvivenza che si traduce in energia ritmica, in contrasti timbrici, in una tensione continua tra luce e ombra. In quattro movimenti fusi senza soluzione di continuità, la Sinfonia segue a prima vista le coordinate del tardo romanticismo, ma se ne distacca per impeto e originalità. Già nel tema iniziale i timpani si impongono come autentici protagonisti, con un impulso martellante che percorre l’intera partitura fino al travolgente finale. Lì Nielsen immagina un vero duello tra i due timpanisti, collocati ai lati opposti dell’orchestra per sottolineare l’effetto teatrale del confronto. A Torino la disposizione non ha seguito alla lettera le indicazioni del compositore, ma la veemenza dei percussionisti ha reso ugualmente l’idea, scatenando l’entusiasmo del pubblico in una chiusura di pura energia.
Se Nielsen incarna la piena maturità del sinfonismo danese, il concerto si era aperto con una pagina di Rued Langgaard, figura eccentrica e marginale, spesso ignorata dalla critica ufficiale del suo tempo. Nato nel 1893, dunque della generazione successiva a quella di Nielsen, Langgaard rimase per lungo tempo isolato e considerato fuori moda perché troppo visionario. Oggi la riscoperta dei suoi oltre trecento lavori restituisce il profilo di un autore inquieto, capace di anticipare sensibilità moderne. A Torino si è ascoltata la trascrizione orchestrale – realizzata dallo stesso direttore Thomas Dausgaard – del Quartetto per archi n. 3, intitolato “Raseri” (Rabbia), un titolo che non lascia dubbi sull’intonazione del brano: tre movimenti frastagliati, segnati da improvvisi cambi di tempo e dinamica, in cui la musica sembra rispecchiare l’instabilità interiore e l’irrequietezza dell’autore. L’orchestrazione di Dausgaard amplifica la materia originaria fino a trasformarla in una sorta di poema sinfonico, ricco di colori accesi e di contrasti fragorosi. I passaggi più tumultuosi non scivolano però mai nel caos, ma vengono controllati con misura dall’orchestra, che restituisce al pubblico l’immagine di un compositore visionario, capace di convogliare la sua rabbia in una forma musicale potente e suggestiva. La riscoperta di Langgaard, seppur tardiva, trova in esecuzioni come questa la sua piena giustificazione.
A completare il trittico, una pagina radicalmente diversa: Let me tell you di Hans Abrahamsen, commissionata nel 2013 dai Berliner Philharmoniker e dedicata al soprano Barbara Hannigan. Abrahamsen, nato nel 1952 – proprio nell’anno in cui moriva Langgaard – appartiene a una generazione che guarda al passato con distacco e reinventa il linguaggio orchestrale con leggerezza e modernità. Il ciclo di sette liriche prende spunto dal romanzo omonimo di Paul Griffiths, costruito sulle 480 parole che Shakespeare mette in bocca a Ofelia nell’Amleto: un esercizio di stile che diventa poesia, e che nella musica di Abrahamsen si trasforma in una confessione delicata e struggente. L’impervia scrittura vocale, pensata per la Hannigan, è caratterizzata da una dissonanza mai aspra, da momenti lirici di rara intensità e accompagnata da un’orchestrazione scintillante, fatta di sfumature microtonali e trasparenze timbriche. L’interpretazione torinese ha avuto come protagonista il soprano Liv Redpath, chiamata a raccogliere l’eredità di una collega che aveva reso il brano celebre fin dalla sua prima esecuzione. Il compito non era semplice, ma la giovane cantante inglese lo ha assolto con sensibilità e precisione, restituendo un canto ora teso e appassionato, ora quasi sospeso, rarefatto. Una prova di altissimo livello che ha saputo mettere in luce la qualità di un lavoro ormai considerato tra i più significativi del nuovo secolo.
La risposta del pubblico dell’Auditorium Toscanini è stata calorosa: applausi convinti, tributati tanto alla solista, quanto al direttore e all’orchestra. Consapevoli di aver assistito a un momento raro: in un’unica serata, MiTo ha offerto un viaggio nel cuore della musica danese, dalle inquietudini di Langgaard al vitalismo di Nielsen, fino alla modernità poetica di Abrahamsen. Tre prospettive diverse che, accostate, compongono un quadro di sorprendente coerenza: quella di un paese che, pur piccolo, ha saputo lasciare un’impronta profonda nella storia della musica europea.
⸪
