Włodzimierz Wolski

La contessa

Stanisław Moniuszko, Hrabina (La contessa)

Poznán, Teatr Wielki, 10 ottobre 2025

★★★☆☆

(video streaming)

Quando il sogno di una Polonia indipendente diventa quello dell’indipendenza femminile

Hrabina (La contessa) è un’opera comica in tre atti di Stanisław Moniuszko, su libretto di Włodzimierz Wolski, rappresentata per la prima volta a Varsavia nel 1860. Dopo Halka, è considerata uno dei vertici del teatro musicale del compositore polacco e un raffinato ritratto della società nobiliare del suo tempo, sospeso tra ironia e patriottismo. Ambientata a Varsavia all’inizio dell’Ottocento, l’opera racconta la storia d’amore tra Kazimierz, giovane ufficiale polacco, e la contessa del titolo, donna vanitosa e affascinata dal lusso e dalle mode francesi.

Atto I. Varsavia. Tra un paio di giorni si terrà un grande ballo nella casa della giovane contessa, rimasta vedova da poco. Tutti sono impegnati nei preparativi e parlano della magnificenza dell’evento imminente. Si sta cucendo per la Contessa un mozzafiato costume di Diana. Dzidzi fa del suo meglio per conquistarne il favore. Nella casa si trova anche Bronia, una lontana parente della Contessa, corteggiata dall’anziano Podczaszyc. Bronia è appena arrivata in città dalla campagna e si sente infelice in questo nuovo ambiente: si lamenta con il nonno di non sentirsi a suo agio nel mondo artificiale del salotto, un mondo falso, pieno di usanze straniere innaturali e di risate vuote. Bronia è innamorata, senza essere ricambiata, di un vicino di campagna, il giovane nobile Kazimierz, anch’egli presente in casa. Ma Kazimierz a sua volta ama la Contessa. Chorąży gli dice di smetterla di tormentarsi e di andare a caccia, ma Kazimierz sente che la sua felicità dipende dal fatto che la Contessa ricambi o meno il suo amore.
Atto II. Prima del ballo, la Contessa indossa il suo nuovo abito e si ammira allo specchio. Gli invitati riuniti nella sala da ballo si dividono chiaramente in due gruppi: Kazimierz, Bronia e Chorąży formano il “partito nazionale” – vestiti in modo semplice, con abiti tradizionali polacchi. Gli altri ospiti rappresentano il “partito straniero” – sontuosamente abbigliati, ma del tutto estranei alla tradizione polacca. Segue la prova dello spettacolo che dovrà arricchire il ballo: prima una scena di balletto, poi un’aria virtuosistica cantata da Ewa, amica della Contessa; infine il Podczaszyc, travestito da Nettuno, arriva su un carro a forma di conchiglia, accolto dagli altri ospiti. Il numero finale avrebbe dovuto essere eseguito da un’altra amica della Contessa, che però si è ammalata. Bronia la sostituisce e canta una triste canzone su una ragazza di campagna che attende il ritorno del suo amato soldato partito per la guerra, promettendo di essergli fedele fino alla tomba. Gli ospiti “stranieri” restano indifferenti, trovando la canzone troppo semplice e banale. Kazimierz, Chorąży e perfino il Podczaszyc, invece, ne sono profondamente colpiti per la sua bellezza semplice e sincera. Arriva infine Madame de Vauban, la più illustre degli invitati. Nel trambusto che segue, Kazimierz calpesta per errore l’abito della Contessa, strappandolo malamente. La sua cortesia scompare all’istante: è chiaro che Kazimierz ha perso ogni suo favore.
Atto III. La dimora di campagna di Chorąży. Una malinconica melodia di polacca, suonata da quattro violoncelli, evoca l’atmosfera serena e patriottica della casa. Il Podczaszyc, ospite della tenuta, è a caccia. Bronia sente la mancanza di Kazimierz, che dopo il disgraziato incidente al ballo è partito per la guerra. Inaspettatamente arriva la Contessa: ha compreso il valore dei sentimenti sinceri di Kazimierz e, sapendo del suo imminente ritorno e prevedendo che passerà dalla casa di Chorąży, è impaziente di incontrarlo e riconquistare il suo amore. Ma quando Kazimierz arriva e vede la dimora di Chorąży, gli tornano alla mente il volto dolce e la genuinità di Bronia. Saluta la Contessa con freddezza. Né Bronia né Chorąży sono al corrente del mutamento del suo cuore, e sono in ansia per la presenza contemporanea di lui e della Contessa. Il Podczaszyc, invece, ha capito tutto, compresa l’inadeguatezza della differenza d’età che lo separa da Bronia. Un po’ alticcio, pronuncia un lungo discorso e, a nome di Kazimierz, chiede la mano di Bronia. Kazimierz si inginocchia davanti a Chorąży, confermando che il Podczaszyc ha espresso correttamente il suo desiderio. La Contessa, naturalmente, è profondamente delusa. Vana e orgogliosa, non vuole mostrare i suoi veri sentimenti davanti a tutti e decide di partire subito. Dzidzi ritrova nuove speranze. Gli altri ospiti brindano alla nuova coppia.

Sotto l’apparenza di una commedia di costume, La contessa è in realtà una pungente satira sociale: Moniuszko vi contrappone la nobiltà decadente e cosmopolita, che guarda a Parigi con deferenza servile, al mondo borghese e popolare, custode della lingua, dei costumi e dei valori nazionali. L’opera rispecchia così lo spirito risorgimentale polacco di metà Ottocento, cercando di riaffermare l’identità nazionale attraverso il teatro musicale.

Musicalmente, Moniuszko unisce la tradizione italiana e francese dell’opéra-comique con brillanti pezzi d’assieme, arie eleganti, melodie e ritmi tratti dal folklore polacco, come mazurche e polacche. L’orchestrazione è vivace e colorata, capace di passare dall’ironia alla malinconia con finezza psicologica. In patria La contessa è oggi un titolo di repertorio, apprezzato per la sua ironia leggera e per il suo sottotesto patriottico, e rappresenta uno dei migliori esempi di come Moniuszko abbia saputo fondere l’opera europea con la sensibilità e il colore nazionale polacco.

Al Teatr Wielki di Poznań, La contessa si trasforma da elegante curiosità ottocentesca a vivida riflessione contemporanea. L’allestimento firmato da Karolina Sofulak riesce a restituire linfa teatrale e senso politico a un’opera spesso confinata nel repertorio patriottico, ma che oggi ritrova sorprendente attualità. La regista intreccia tre epoche: la Varsavia di inizio Ottocento, la Polonia tra le due guerre e quella post-1989. La scenografia di Dorota Karolczak, costruita su una grande struttura mobile che ruota e muta come un meccanismo mentale, diventa metafora visiva della nazione in continua trasformazione. Costumi, luci e proiezioni si susseguono come stratificazioni di un sogno storico, a tratti ironico e a tratti doloroso. L’effetto è quello di un palinsesto teatrale in cui il passato non muore, ma continua a interrogare il presente.

La parte visiva è curata con gusto cinematografico: il disegno luci di Giuseppe di Iorio e le proiezioni di Karolina Fender Noińska accompagnano l’evoluzione della scena con precisione poetica. L’insieme è armonioso, di grande eleganza formale, capace di alternare leggerezza ironica e riflessione malinconica senza mai cadere nell’enfasi. Qualche pausa forse rallenta il flusso narrativo, ma l’equilibrio fra tradizione e innovazione resta saldo fino al finale, dove la figura della Contessa, ormai sola, si dissolve come un’eco del passato. Sofulak elimina completamente i dialoghi parlati, lasciando che sia la sola musica a guidare la narrazione. Una scelta decisamente discutibile che manda all’aria l’equilibrio previsto tra musica e recitazione così come la drammaturgia. (1)

La direzione di Katarzyna Tomala-Jedynak mette in risalto la partitura di Moniuszko, che fonde eleganza europea e idiomi popolari con sorprendente modernità, esaltando questi contrasti con tempi flessibili e trasparenze orchestrali: le danze nazionali risuonano con leggerezza, ma mai come puro folklore e le sezioni liriche respirano un lirismo tutto slavo, intimo e misurato.

Nel ruolo della Contessa, Aleksandra Orłowska offre una prova di alto profilo. Con voce piena, timbro chiaro e fraseggio scolpito costruisce un personaggio complesso, diviso tra vanità e fragilità. Non più soltanto l’aristocratica ridicola di una farsa morale, ma una donna sospesa tra le epoche, vittima e simbolo insieme. Accanto a lei, Łukasz Załęski è un Kazimierz di calore e nobiltà d’accento, mentre Wojtek Gierlach (Podczaszyc) brilla per humour e naturale autorità scenica. Il coro del Teatr Wielki, ben preparato e scenicamente vivo, diventa un vero protagonista collettivo, specchio del popolo e della memoria condivisa.

Il risultato è un teatro che parla di noi attraverso Moniuszko: una Polonia che si guarda allo specchio, che riconosce la propria storia senza nostalgia, e che attraverso la musica riscopre la propria voce. La contessa diventa così un’allegoria del tempo, un ritratto ironico ma affettuoso di un Paese che non smette di reinventarsi.

(1) Questa la vicenda messa in scena dalla Sofulak:
Atto I. Un salotto del XIX secolo. Una folla allegra attende il ballo della contessa, al quale è prevista la partecipazione della famosa mondana di Varsavia, Madame de Vauban. Bronia attira l’attenzione di Dzidzi e Valentine. Dzidzi incoraggia Valentine a corteggiarla. Valentine fa il timido, ma non è del tutto riluttante. Dzidzi stesso è innamorato non corrisposto della Contessa, che preferisce Kazimierz Arriva Horatio, che deride i sentimenti di Valentine. Non sa che è sua nipote l’oggetto dell’affetto. Nel frattempo, Bronia non è impressionata dallo sfarzo e dal glamour dell’alta società. Desidera la pace e la tranquillità della campagna. Bronia incontra Kazimierz, angosciato dal suo amore per la Contessa. Egli teme che i suoi sentimenti non siano ricambiati. Ascoltando le sue preoccupazioni, la Contessa gli consiglia di credere e di non perdere la speranza. Dzidzi appare, annunciando l’arrivo di un abito da ballo. La Contessa, splendida nel suo abito, suscita l’ammirazione generale. Le prove per lo spettacolo che accompagnerà il ballo possono avere inizio.
Atto II. Il periodo tra le due guerre. Lo spazio è immerso in una luce onirica. Gli ospiti, guidati dalla signorina Eva, si preparano per le prove – tra loro c’è anche la contessa, che sta facendo progetti ambiziosi. Kazimierz, mezzo addormentato, osserva una serie di tableaux vivants che gli scorrono davanti agli occhi: una danza di perle, la corte di Nettuno, una parata militare. Valentine e Dzidzi partecipano attivamente ai festeggiamenti, ma Bronia non riesce a trovare il suo posto. Viene annunciato l’arrivo di Madame de Vauban. Che emozione! Kazimierz offre goffamente la mano alla Contessa, strappandole il vestito. L’evento provoca scalpore tra gli ospiti.
Atto III. Il volgere degli anni Novanta. La Contessa e la signorina Eva guidano la polonaise delle signore. Allo stesso tempo, i signori tornano, guidati da Valentine. Bronia desidera ardentemente Kazimierz Anche la Contessa spera di incontrarlo, pentendosi del suo violento sfogo. Dzidzi deride i suoi desideri. Kazimierz ritorna. Il suo cuore è più incline a Bronia che alla Contessa. Egli rende chiaro il suo cambiamento di cuore. Valentine decide di porre fine all’impasse tra gli amanti. Chiede a Bronia di sposarlo a nome di Kazimierz La Contessa se ne va, con le sue speranze e i suoi sogni calpestati. Gli ospiti brindano alla salute di Bronia e Kazimierz.

Halka

Stanisław Moniuszko, Halka

★★★☆☆

Varsavia, Teatr Wielki, 20 settembre 2019

(video streaming)

Halka. Nasce l’opera polacca

Moniuszko nel 1845 a Varsavia incontrò il giovane poeta e radicale politico Włodzimierz Wolski che aveva appena finito di scrivere un poema messo al bando dai censori. Tuttavia il lavoro fu rielaborato in un libretto che fu alla base di un’opera in due atti che ebbe il suo debutto in una versione da concerto presso la casa dei suoceri di Moniuszko a Vilnius dopo il rifiuto del Teatr Wielki a rappresentarla. La messa in scena fu effettuata solo sei anni dopo, il 16 febbraio 1854, sempre a Vilnius. Il severissimo Hans von Bülow dopo la prima si lasciò andare al seguente complimento: «Mi congratulo con i polacchi per questa splendida opera».

Ma le reazioni in generale furono piuttosto sfavorevoli: Halka fu giudicata immorale e non patriottica. Eppure Moniuszko, dopo aver completato due operette, ovvero Cyganie e Bettly, ora si sentiva più sicuro e a San Pietroburgo ne aveva discusso con Alexander Dargomyzhsky che risultò entusiasta del pezzo e probabilmente ne trasse ispirazione per la sua Rusalka. Nel 1856 Moniuszko rivide la partitura aggiungendo il duetto di Jontek e Janusz e le danze. La nuova versione dell’opera, divisa in quattro atti, debuttò il 1° gennaio 1858 e questa volta fu un trionfo acclamato come un evento patriottico. Quel giorno fu considerato l’atto di nascita dell’opera polacca. Eseguita 150 volte durante la vita del compositore, Halka ebbe oltre 500 repliche prima della fine del secolo diventando la più popolare opera polacca.

Nei 161 anni dalla trionfale prima esecuzione Halka non ha mai lasciato il repertorio polacco. È stata messa in scena per celebrare occasioni speciali, come la riapertura postbellica del Teatr Wielki nel 1965, ma non è quasi mai rappresentata al di fuori della Polonia. La musica ha momenti di piacevolezza ma la vicenda della ragazza sedotta e abbandonata e lamentosa fino all’insopportabilità non dà spazio a una drammaturgia che possa avvincere un pubblico smaliziato e poco interessato al valore patriottico del lavoro.

In casa del nobile Stolnik si celebra il fidanzamento della figlia Zofia con il giovane e nobile Janusz. Il giovane ode una voce lontana: è Halka, una contadina che egli ha sedotto e abbandonato. Rimasto solo, giunge Halka e gli chiede quali siano le sue intenzioni; Janusz tergiversa, e promette un incontro nel quale spiegherà tutto. Halka, nel giardino di casa Stolnik, attende Janusz. Arriva intanto Jontek – un montanaro di lei innamorato – che la mette in guardia sulla falsità di Janusz, e la prega di ritornare al villaggio; giunge Janusz, e Halka gli comunica d’essere il padre del bambino. Si raduna la folla, ma Janusz sostiene che Halka è matta e ordina al servo Dziemba di portarla altrove. Nella piazza del villaggio giunge il corteo nuziale di Janusz e Zofia; Jontek tenta ancora di convincere Halka a dimenticare l’amato, ma ella si dichiara ancora innamorata. Mentre la cerimonia è in corso, Halka decide di dar fuoco alla chiesa, ma viene meno al suo proposito: ricorda il suo bambino morto d’inedia e, sconvolta dal dolore, si getta da un precipizio raccomandando la propria anima a Dio.

Il finale è ambiguo, poiché mentre Jontek racconta a Janusz la morte di Halka, il servo Dziemba invita i villici a intonare una preghiera per i propri padroni; non è chiaro se si tratti di volontà dell’autore o del censore.

Nel 1953 il regista polacco Leon Schiller aveva creato una produzione di Halka in linea con le restrizioni del realismo socialista e la sua interpretazione aveva enfatizzato l’elemento della lotta di classe, alterando persino il libretto per raggiungere questo obiettivo. Molto apprezzata da molti e criticata da altri, è diventata comunque un punto di riferimento per le produzioni successive. Quella del 2015 dell’Opera di Poznań ora è nuovamente sulla scena del Wielki. Con questo allestimento di Paweł Passini e con la direzione dell’insigne Gabriel Chmura si celebrano i duecento anni dalla nascita del compositore.

A partire dal solenne e festoso coro iniziale i ricchi cantano mescolati tra il pubblico della platea, mentre sul palco con astratti elementi decorativi stanno i poveri. Noi e gli altri: uno scontro di culture incompatibili. Questa storia di ingiustizia è chiaramente connotata dal diverso costume dei personaggi: inappuntabili i frack degli invitati di Janusz (anche le donne), terragni e con elementi animaleschi quelli dei poveri abitanti dei monti. Improbabile quello di Halka, che sembra fatto di corteccia di betulla e con un lungo strascico, l’ideale per vivere nei boschi. Qui il mazur del finale primo viene spostato alla conclusione dell’opera con tutti che seguono la ragazza nel suo salto nel vuoto. La nostra civiltà è autodistruttiva, ci vuole dire il regista.

Nella lettura della partitura Chmura non nasconde gli evidenti influssi italiani, in particolare verdiani – questi sono gli anni della trilogia popolare – contaminati dai temi folklorici. Validi gli interpreti, poco noti al di fuori della loro patria.