L’opera seria

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Florian Leopold Gassmann, L’opera seria

Bruxelles, Cirque Royal, 16 febbraio 2016

★★★★☆

(video streaming)

«Maledetta l’impresa de’ Musici Teatri!»

Il teatro alla moda di Benedetto Marcello, il pamphlet satirico che metteva criticamente alla berlina l’ambiente del teatro musicale veneziano, è del 1720, ma cinquant’anni dopo le cose non sono poi così mutate se ancora nel 1769 nella prefazione al libretto de L’opera seria l’autore si scaglia con dovizia di virgole e maiuscole contro «que’ Maestri di Cappella che senza punto badare alla Poesia, certe loro particolari inezie armoniche, da per tutto, allo sproposito, e contro senso profondano; e che al dire di Plutarco, avendo abbandonata la semplice, maestosa, e divina Musica, quella snervata, stiracchiata, e pettegola hanno introdotta: a quegl’insulsi Rimatori che spacciandosi per Poeti Drammatici, o copiando con impudenza, o imitando senza discernimento inondano di tante mostruose produzioni i nostri Teatri: a que’ Virtuosi di Canto, e di Ballo che intriganti, capricciosi, invidiosi, e qualche volta insolenti, cagionano tante inquietudini agl’Impresari; È principalmente diretta questa Commedia. Suppone l’Autore che pochissimi saranno quelli che vi si dovranno riconoscere, e per questi ne prenderanno motivo di correggersi, o almeno di astenersi».

E l’autore è quel Ranieri de’ Calzabigi che in quegli stessi anni con Gluck stava scrivendo il manifesto di quella riforma che promuoveva la “nobile semplicità” che di certo non troviamo nella divertente presa in giro di questa meta-opera. I personaggi de L’opera seria di Florian Leopold Gassmann si chiamano Fallito, Delirio, Sospiro, Ritornello, Stonatrilla, Smorfiosa, Porporina, Passagallo, Bragherona, Befana, Caverna. Bastano i nomi per farci capire le intenzioni dell’autore che mette in scena una compagnia alle prove di un’opera seria, L’Oranzebe. Dopo i due atti in casa dell’impresario, nel terzo ci si sposta infatti ad «Agra Capitale dell’Indostan» alla corte Moghul, o per lo meno alla sua ricostruzione in scena.

Atto I. In casa dell’impresario Fallito, il poeta Delirio e il compositore Sospiro
si profondono in lodi reciproche per la loro opera che dovrà andare in scena quella sera. A smorzare tanto entusiasmo provvede il padrone di casa: bisogna accorciare l’opera tagliando versi, recitativi e arie, perché lo spettacolo è troppo lungo, ma anche per via dei soliti controsensi che sarebbe bene eliminare una volta per sempre. Delirio e Sospiro sono indignati. Come se non bastasse, già al suo arrivo la celebre (e stagionata) primadonna Stonatrilla s’indigna per l’accoglienza riservatale: troppo dimessa per una del suo rango. E poi non ha ancora provato il suo costume, e le sue arie proprio non vanno… L’incontro con Porporina, di grado inferiore, in quanto terza donna, ma giovane e tutt’altro che remissiva, non fa che darle ancor più sui nervi. Dopo averla messa in riga, Stonatrilla se ne va, seccata: la insegue Fallito, che corre a rabbonirla. Intanto Porporina civetta con Sospiro, da cui si è fatta scrivere un’aria su misura. Arriva intanto anche la seconda donna, Smorfiosa: lei, così delicata, ha appena dovuto sopportare il tanfo di tabacco dei sarti venuti a provarle l’abito di scena. Per fortuna giunge Ritornello, primo “musico”, un castrato dai modi soavi di cui è invaghita la fragile Smorfiosa: Porporina li lascia soli a tubare. Intanto, nel vestibolo, Fallito è incalzato da Passagallo, compositore dei balli, che vuole mostrargli due coppie di ballerini, a suo avviso da ingaggiare. Saputo dell’imminente saggio di danza, i cantanti vengono a vedere. Ma la riunione presto degenera: chi si lamenta dello strascico altrui, più importante del proprio; chi del cimiero della rivale, più imponente; chi, ancora, del poco rilievo che il suo nome ha nel libretto. Insomma, ce ne fosse uno soddisfatto! C’è di che impazzire.
Atto II. Nella galleria dell’appartamento dell’impresario tutto è pronto
per la prova. Delirio e Sospiro già pregustano il successo della loro opera, ma ancora una volta Fallito viene a guastare la festa: Ritornello vuole cambiamenti a una sua aria. Si muti la musica, dice Delirio, facendo insorgere Sospiro che pretende nuovi versi. I due quasi arrivano alle mani, gettando nella disperazione l’impresario. Convinto da Fallito, Delirio stende rapidamente nuovi versi, che Ritornello legge a fatica: i suoi svarioni provocano l’ilarità del poeta. Una volta allontanatosi quest’ultimo, Sospiro convince il cantante a ripescare dal suo baule un’aria di successo (anche se con tutt’altre parole e di tutt’altro carattere) e ad applicarvi i nuovi versi di Delirio. Evitata la grana di scrivere un’aria nuova, Sospiro può dedicarsi all’amata Porporina, insegnandole quanto ha scritto apposta per lei. Arriva l’intera compagnia, per provare il terzo ed ultimo atto dell’opera nuova. Si decide di ripassare solo le porzioni più impegnative: i recitativi strumentati e le arie. La prova inizia e procede spedita, pur con qualche errore da correggere o ridicoli fraintendimenti da chiarire. I problemi maggiori li suscitano però i battibecchi tra poeta e compositore, che diventano più accesi quando Delirio si accorge che Sospiro ha adattato alla sua nuova aria per Ritornello musica vecchia e di tutt’altro genere. La situazione poi degenera ancora una volta, pericolosamente, quando alcuni cantanti cominciano a sparlare di una ballerina, la quale replica senza farsi intimidire. Fallito manda a chiamare le guardie, al cui arrivo le cantanti, ipersensibili, svengono. Avuto campo libero, il corpo di ballo può cominciare le sue prove.
Atto III. Va finalmente in scena, in teatro, L’Oranzebe, l’opera di Delirio e Sospiro. È ambientata nel reame indiano dei Mogol di cui Oranzebe è imperatore. L’Atto I si apre col trionfo del generale Nasercano, impersonato da Ritornello: tra le sue prede esibisce la regina indiana Saebe (Smorfiosa). Nell’opera agiscono anche Porporina, che interpreta un alto ufficiale dell’esercito del Mogol, e ovviamente Stonatrilla, nei panni della principessa Rossanara, sorella di Oranzebe. Nasercano pare sensibile al fascino di Saebe, e Rossanara comincia a ingelosirsi. Ma il pubblico pare poco soddisfatto dell’opera, e inizia a rumoreggiare, chiedendo a gran voce di passare al ballo. Nel retropalco, Passagallo, Ritornello e Delirio commentano l’esito infelice dell’opera, lamentandosi del pubblico incontentabile. Intanto le cantanti si tolgono i costumi con l’aiuto delle rispettive madri, che brontolano perché vengono trattate come serve. Ne approfittano anche per conoscere le reazioni degli spettatori, il malcontento dei quali è addebitato al poeta e al compositore. Ma ben presto sono le madri delle “virtuose” a far baruffa tra loro: ciascuna vanta i meriti della propria figlia, e mette in risalto gli infortunî delle altre in questo o in quel teatro. Ritornello, Delirio e Passagallo prima se la ridono, poi cercano di riportare tutte alla calma. Intanto arriva la notizia che Fallito si è fatto uccel di bosco, lasciando tutti senza soldi. Dopo un attimo di smarrimento, gli artisti decidono di andare a riproporsi altrove, sperando in un pubblico più compiacente. Ma prima, infuriati, giurano odio eterno alla categoria degli impresari, riproponendosi di dar loro sempre filo da torcere e di farli costantemente fallire.

All’inizio dell’opera Sospiro e Delirio, il musicista e il poeta, si scambiano i complimenti: «Oh che bell’Opera! | Che bella Musica! | Che stil Drammatico! | Che stil Cromatico! | I più gran critici | tacer farà. | Venezia, e Napoli | Milano, e Genova, | sorprenderà». Ma l’idillio durerà poco e già nel secondo atto emerge la rivalità: «La Musica è diabolica. | La Poesia è perfida. | Eh, va’ impara | Maestruccio da ciechi. | Eh, torna a scuola | poetastro di piazza». Si intromette Fallito, l’impresario preoccupato per le sorti finanziarie del teatro e incomincia a criticare sia testo sia musica proponendo tagli che ovviamente indispettiscono gli autori: «Ho di fuoco nel petto un Vesuvio… | Ho di rabbia nel core un Diluvio». A mano a mano entrano in scena gli altri personaggi, primedonne e seconde donne, madri delle stesse, il primo uomo, il coreografo, tutti a punzecchiarsi l’un l’altro. La primadonna prova la sua scena tragica, il primo musico sbaglia le parole della sua aria, e tra battibecchi e rivalità si arriva finalmente all’opera seria L’Oranzebe. Cambia lo stile dei versi, qui chiaramente metastasiani e declamati in arie con trombone obbligato e gorgheggi commentati rumorosamente dal pubblico che a un certo punto interrompe l’esecuzione tra i fischi e reclama il balletto che salva infine la serata. Nella scena ultima siamo nei camerini e qui entrano in gioco le mamme delle virtuose che se ne dicono di tutti i colori mentre si viene a sapere che l’impresario è fuggito con gl’incassi. La compagnia ritrova la concordia e tutti giurano di fargliela pagare: «A questi perfidi | tiranni d’impresarj, | che sì fiero governo | fanno sempre di noi, un odio eterno». Nel frattempo cercheranno un pubblico più benevolo.

Gassmann era nato in Austria nel 1729, ma parte della sua carriera si era svolta a Venezia, dove aveva diretto il coro delle ragazze del Conservatorio degli Incurabili e dove aveva messo in musica molti libretti di Carlo Goldoni. Ritornato a Vienna divenne compositore di camera dell’imperatore Giuseppe II e maestro di cappella di corte. Nei successivi frequenti viaggi in Italia conobbe il giovane Salieri, che divenne il suo successore a corte, mentre le sue due figlie furono famose interpreti delle opere di Salieri e di Mozart.

La programmazione dell’Opera di Bruxelles continua extra muros al Cirque Royal in attesa che terminino i lavori di restauro della sala di Place de la Monnaie. Ciononostante, non vengono a mancare spettacoli non convenzionali come questo, un intelligente gioco ironico e intellettuale in cui la satira di un’opera seria diventa un’opera buffa, quasi una scommessa per un pubblico non specializzato. Nella vivace ma fluida regia di Patrick Kinmonth, a cui si devono anche scenografie e costumi, l’azione si svolge su due pedane collegate da una passerella attorniata dagli strumentisti della B’Rock Orchestra rimpolpata da membri dell’orchestra de la Monnaie e diretta da un René Jacobs che conosce bene l’opera avendola presentata già nel 1994 a Schwetzingen. I movimenti coreografici di Fernando Melo sono loro stessi una parodia di quelli della coreografa Anne Teresa de Kerrsmaeker, la Pina Bausch belga.

Ottima presenza scenica e buona vocalità (e se non è perfetta poco importa, tanto si tratta di una parodia) nel nutrito cast tra cui riconosciamo il nostro sempre impeccabile Pietro Spagnoli (il poeta Delirio) e poi Mario Zeffiri (il primo musico Ritornello), Markos Fink (l’impresario Fallito), Thomas Walker (il compositore Sospiro), Alex Penda (la prima donna Stonatrilla), Robin Johannsen (l’ipocondriaca seconda donna Smorfiosa), Sunhae Im (la giovane Porporina, parodia del castrato Porporino), Nikolay Borchev (il maestro di ballo Passagallo), Magnus Staveland, Stephen Wallace e Rupert Enticknap (le mamme barbute Bragherona, Befana e Caverna).

Inizialmente in ricchi costumi settecenteschi, poi ne L’Oranzebe fantasiosi abiti orientaleggianti e infine in abiti moderni: il regista vuol dirci che le cose non sono cambiate molto neanche ai giorni nostri.

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