I due timidi

 

Nino Rota, I due timidi

Alessandria, Cortile di Palazzo Cuttica, 14 giugno 2018

Che dramma la timidezza!

Diversamente da Les deux timides (1860), comédie-vaudeville di Eugène Labiche e Marc Michel diventata un originale film muto in bianco e nero di René Clair (1928), I due timidi che Suso Cecchi D’Amico scrive per Nino Rota ha un tono melanconico che ben si adatta alle melodie nostalgiche di quest’opera radiofonica trasmessa nel novembre 1950 dalla Radio Audizioni Italiane, diventata poi “commedia lirica” e messa in scena nel marzo 1952 dal London Opera Club.

Sono gli stessi anni del Rake’s Progress di Stravinskij, del Billy Budd di Britten o del Boulevard Solitude di Henze (1), ma lo stile musicale di Rota non potrebbe essere più diverso. Se i tre compositori citati cercavano di superare, ognuno a modo proprio, la tradizione postromantica dell’opera di inizio Novevecento, Rota non si fa scrupolo di utilizzare invece temi orecchiabili e slanci melodici d’impronta pucciniana tipici del suo stile. Pur tuttavia, nella partitura di questa operina non mancano moderne dissonanze, bruschi cambi di ritmo o citazioni del genere leggero allorché il musicista vuole sottolineare le svolte e i patemi d’animo di questa tenue storia d’amore.

Siamo nel cortile di un un caseggiato alla periferia di una moderna città, Via Del Pozzo 53. La bottega del calzolaio, la guardiola del portiere, la Pensione Guidotti, l’appartamento di Mariuccia e lo studio del dottor Sinisgalli si affacciano su questo spazio che si anima all’alba con il ciabattino che commenta, in forma di ironico osservatore, la vita del condominio. Lucia, Maria e Lisa cicalecciano gaie. Mariuccia esce sul balcone per annaffiare i fiori proprio mentre il giovane e timido Raimondo si dirige alla Pensione Guidotti con l’intenzione di affittarvi una stanza e poter corteggiare così da vicino Mariuccia, di cui è innamorato. La signora Guidotti, che scambia Raimondo per l’idraulico, lo sollecita con comica isteria al lavoro per poi accorgersi dell’errore e mostra  quindi a Raimondo la stanza che egli desidera, proprio davanti alle finestre di Mariuccia in modo da ascoltare rapito le sue lezioni di pianoforte. La vita del cortile si anima con le ore del giorno e Mariuccia e Raimondo si sorprendono sui rispettivi balconi ad osservarsi timidamente a distanza e senza riuscire a comunicare,  pur trasalendo per i propri moti dell’animo. Sul più bello la serranda della finestra di Raimondo cede e cade in testa all’impacciato corteggiatore che stramazza al suolo per il colpo. Raimondo viene trasportato sul letto e assistito dalla signora Guidotti che, preoccupata, chiama il dottor Sinisgalli. Al suo arrivo Raimondo rinviene delirando, ma ancora sotto shock pensa di essere di fronte a Mariuccia e confida tutto il suo amore alla signora Guidotti, unica donna presente nella stanza, che coglie al volo l’occasione di poter concludere una vita in solitudine, e con decisione e passione si adopera per curare il timido giovane. Nel frattempo Mariuccia, credendo l’innamorato gravemente ferito, sviene. La madre si affretta a chiamare lo stesso dottor Sinisgalli di fronte al quale, e allo stesso modo di Raimondo, Mariuccia in delirio proclama il suo amore. Così come aveva fatto la signora Guidotti, anche il dottor Sinisgalli coglie al volo le parole di Mariuccia per chiederne la mano alla madre. A sera, i due giovani, ripresi dai rispettivi malori, apprendono della dichiarazione d’amore fatta ad altri e restano svegli fino a tarda notte martoriati nell’animo dal loro amore deluso. Colti da un’improvvisa fiamma, escono contemporaneamente sul comune pianerottolo, ma neppure questa volta riescono a parlarsi: oltre alla timidezza, l’improvviso arrivo del dottor Sinisgalli e della signora Guidotti li separa definitivamente. Son passati due anni. Sappiamo dalle cameriere e dal calzolaio che le coppie si sono sposate, Mariuccia ha due figli e Raimondo gestisce la pensione della moglie. Mariuccia si siede al pianoforte e suona: Raimondo protesta per il disturbo.

Riproposto al Malibran di Venezia nel 2011 nel centenario della nascita del musicista, il lavoro di Rota trova ora una collocazione perfetta nel cortile di Palazzo Cuttica a conclusione di “Scatola Sonora”, il Festival Internazionale di opera e teatro musicale di piccole dimensioni giunto quest’anno alla sua XXI edizione. Un altro Rota, Marcello, dirige l’orchestra del Conservatorio Vivaldi di Alessandria. Alla freschezza delle voci dei giovanissimi – ricordiamo almeno il bel timbro tenorile di Dong Bin, l’impacciato Raimondo, la trepida sensibilità di Sumireko Inui, Mariuccia, e la contagiosa vivacità della Lucia di Cristina Mosca – il cast mescola l’esperienza degli appena meno giovani Riccardo Ristori e Michela Guassotti, che caratterizzano sapidamente i personaggi del calzolaio narrante e della signora Guidotti, ma molti altri calcano la ghiaia del cortile di Via del Pozzo 53, pardon Via Gagliaudo 2. Tutti magistralmente coordinati da Luca Valentino, che con amorevole dedizione mette in scena questo gioiellino poco frequentato. Con il felice apporto della Scuola di Scenografia dell’Accademia Albertina torinese, l’atmosfera anni ’50 è rivissuta nei costumi, nelle acconciature e nel trucco dei personaggi, ma sono sapientemente ricreati anche gli atteggiamenti di quel tempo passato. Il suono del pianoforte che esce dalla finestra del primo piano, il bel gioco di luci e la perfetta tecnica di riproduzione delle voci fanno di questo uno spettacolo la cui calorosa accoglienza presso il pubblico premia giustamente l’abnegazione dei tanti che l’hanno creato.

E alla fine, quando con un po’ di amarezza le luci stanno per spegnersi, ecco il tocco da maestro del regista, il coup de théâtre: non ce ne siamo accorti, ma l’insegna della pensione Guidotti è stata sostituita da quella di un B&B, la bottega del “calzolajo” ora è un ristorante cinese e i bambini che sciamano nel cortile dopo la scuola non hanno più  le scarpe di vernice nera e il fiocco candido sul grembiulino, ma sneakers fluorescenti e t-shirt colorate. Siamo ritornati al giorno d’oggi.

Che nostalgia per chi quei tempi, ahimè, un po’ se li ricorda!

(1) Ma anche di The Consul di Gian Carlo Menotti, un altro compositore “inattuale”.