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Josef Mysliveček, Motezuma
Znojmo, 16 luglio 2011
(registrazione video)
Dopo quello di Vivaldi, il Motezuma boemo
Josef Mysliveček (1737-1781) fu uno dei compositori di maggior successo e più pagati dell’epoca. Acclamato in Italia come «Il divino boemo», fu però presto dimenticato e morì in povertà a Roma. Una recente lapide nella chiesa di San Lorenzo in Lucina lo ricorda così: «In questa basilica è stato sepolto il compositore ceco Giuseppe Misliwecek detto il boemo, amico di Mozart». Aveva infatti incontrato il salisburghese a Bologna nel 1770 e da allora era diventato amico e modello artistico per il quattordicenne compositore. Il padre Leopoldo è inizialmente contento: ««È un uomo d’onore e noi siamo legati a lui da una perfetta amicizia». Poi Josef si ammala ed è lo stesso Mozart che in una lettera al padre da Salisburgo racconta come Mysliveček gli avesse scritto: «in viaggio da Firenze a Monaco sono caduto dalla carrozza e all’ospedale dove sono stato ricoverato, dei medici incapaci mi hanno bruciato il naso», probabilmente per nascondere che si trattava di sifilide. Mozart andò poi a trovarlo all’ospedale di Monaco e in una commovente lettera a sua sorella Nannerl ne racconta il loro triste incontro. Leopold ne scrive invece impietosamente, forse deluso da una mancata promessa di Mysliveček di procurare a Wolfgang un contratto per un concerto al Teatro di San Carlo di Napoli: «A chi dare la colpa se non alla propria vita schifosa, una vergogna così grande davanti al mondo. Come farà quel poveraccio a presentarsi sul palcoscenico di un teatro senza il naso…».
Il successo, le avventure, la momentanea ricchezza e la vertiginosa carriera musicale di Mysliveček portano i nomi delle sue opere serie, quasi tutte composte nei suoi ultimi 15 anni di vita. Dalla Medea (1764) all’Antigono (1780) con in mezzo: Ipermestra, Bellerofonte, Farnace, Demetrio, Il gran Tamerlano, Romolo ed Ersilia, Artaserse, Adriano in Siria, Demofoonte, Armida, Medonte, L’Olimpiade, La Circe, La Calliroe, Ezio e La Clemenza di Tito, la maggior parte su libretto di Metastasio. Motezuma è invece su libretto di Vittorio Amedeo Cigna-Santi basato su leggende associate al monarca azteco Moctezuma II (1). Un Motezuma precedente si deve ad Antonio Vivaldi che nel 1733 aveva presentato la sua versione su testo di Girolamo Alvise Giusti al Teatro Sant’Angelo di Venezia. Quello di Mysliveček vide la prima al Teatro della Pergola di Firenze il 23 gennaio 1771 – quello stesso anno Mozart presenterà il suo Ascanio in Alba e Il sogno di Scipione. Un’intonazione sullo stesso libretto si vide al Teatro Regio di Torino nel 1765 su musica di Gian Francesco de Majo in una sontuosa produzione. È improbabile che la produzione fiorentina fosse altrettanto ricca e il cast non si distingueva particolarmente, anche se era interessante per la predominanza di cantanti uomini, come avveniva a Roma, dove alle donne era proibito apparire sul palcoscenico. Motezuma è stata la prima opera del compositore a essere ripresa in tempi moderni per una rappresentazione a Praga nel 1931 mentre questa registrazione video si basa sulla ripresa che nell’estate 2011 ha avuto luogo a Znojmo, città della Moravia a sud di Brno. Allestita nel quadro dello Hudebni festival Znojmo, l’Orchestra del Czech Ensemble Baroque è diretta con slancio garibaldino senza troppe sottigliezze da Roman Válek. La regia di Michael Tarant utilizza tutti gli spazi disponibili e si avvale della scenografia di Jaroslav Milfajt, una ripida piramide a gradoni come quelle di Teotihuacan, e dei fantasiosi costumi di Klára Vágnerová, con sfoggio di copricapi piumati per il personaggio eponimo, e visi abbondantemente truccati. Nel cortile del castello si esibisce un cast di interpreti di accettabile livello: il controtenore Jakub Burzynski (Motezuma), il tenore Jaroslav Březina (Cortes), il tenore Tomáš Kořínek (Teutile), il basso Marián Krejčík (Pilpatoe) e i soprani Marie Fajtová (Quacozinga) e Michaela Šrůmová (Lisinga), le voci migliori in campo.
Musicalmente il compositore distingue i due mondi in contrasto, con arie più meditative e dubbiose per Motezuma e interventi più arroganti per il subdolo conquistador Cortés, così che la sequenza di elaborate arie e recitativi acquista una certa drammaticità sottolineata dalla ingenua ma efficace messa in scena. Molto ben realizzato è ad esempio l’epico arrivo degli spagnoli e più chiaramente di quanto avvenga nel libretto, il regista si schiera senza esitazione dalla parte degli indigeni.
(1) Il sovrano azteco Montezuma deve affrontare un’invasione spagnola. I suoi dubbi su se e come affrontare gli spagnoli, così come i dubbi sull’effettivo aiuto degli antichi dèi, costituiscono la base ideologica della trama. Il conquistador spagnolo Hernán Cortés inganna Montezuma fingendo nobiltà e amicizia per poi approfittare dell’incertezza del sovrano. La moglie di Montezuma, Guacozinga, si schiera con i difensori della tradizione e la sua opinione politica è tragicamente in contrasto con il suo rapporto con Montezuma. Il necessario intrigo amoroso è rappresentato dal generale spagnolo Tentile e dalla bella indiana Lisinga. Nella drammatica conclusione, sebbene Montezuma muoia dopo aver scelto la via del sacrificio di sé invece del conflitto armato, la fine dell’opera risuona comunque dello spirito di riconciliazione e del ritrovamento di una pace e di una speranza rinnovate che gettano le basi del nuovo Messico.
⸪