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Romeo Castellucci, Il Terzo Reich
Torino, Teatro Astra, 25 ottobre 2023
Le parole bombe di Castellucci
Tempi duri per gli amanti del teatro. Nel giro di poche ore il pubblico torinese è messo a dura prova prima sopportando i lamenti autoreferenziali e le provocazioni degli attori dello spettacolo della compagnia Peeping Tom; poi, passano 22 ore, ed è vittima della sadica tortura inflittagli da Romeo Castellucci con la sua installazione Il Terzo Reich.
All’ingresso della sala del Teatro Astra, dove si svolge il consueto Festival delle Colline Torinesi, vengono distribuiti dei tappi per le orecchie. Era successo anche per Bros, l’altro spettacolo di Castellucci l’anno scorso, ma allora non si erano resi necessari. Qui saranno provvidenziali. La serata inizia senza sorprese, con buio totale e rumori di scalpiccii in scena, ma non succede nulla. Viene accesa una candela, ma poi viene spenta. Per tanti lunghissimi minuti la scena continua a essere immersa nel buio, unica luce quella delle uscite di emergenza. Poi all’improvviso, quando è stata portata al limite la pazienza degli spettatori, accompagnata da un fortissimo rumore, appare una parola sullo sfondo. Svanisce. Ne appare un’altra, con lo stesso rumore. Poi un’altra, un’altra ancora, a ritmo sempre più incalzante, così come sempre più incalzanti saranno i suoni che i tappi nelle orecchie difendono dai timpani, ma non dalle viscere tartassate dalle frequenze sparate a pieni decibel. Il ritmo delle parole proiettate e dei suoni diventa sempre più parossistico. Sono frazioni di secondo, al limite della capacità retinica a percepire le parole che si susseguono a caso senza alcuna logica. Si tratta della sequenza dei 15000 sostantivi del vocabolario italiano che rappresentano tutti gli oggetti della realtà dotati di un nome. Sostantivi senza sostanza, che non tessono alcuna rete di significato tra loro: a tratti le parole si raggruppano per lunghezza o per avere lo stesso prefisso o una lettera in comune, e anche i suoni cambiano, ma sempre allo stesso insopportabile livello sonoro. Ogni parola una bomba. Si va avanti così per 50 minuti, quando il ritmo rallenta e alla fine tutto tace. Fine della corsa, ritornano le luci e nel silenzio il pubblico esce frastornato e con l’udito leso.
Questa è la nuda cronaca.
Che un artista come Castellucci non sia diventato all’improvviso un sadico torturatore è ovvio, ma che il risultato sia quello a cui abbiamo assistito è anche vero. Il titolo fa riferimento a La lingua del Terzo Reich del filologo Victor Klemperer che ha dimostrato quanto la lingua di un regime totalitario riesca a condizionare nel profondo il pensiero di un intero Paese. «Il Terzo Reich di Castellucci è l’immagine di una comunicazione inculcata e obbligatoria, la cui violenza è pari alla pretesa di uguaglianza. Qui il linguaggio-macchina esaurisce interi ambiti di realtà, là dove i nomi appaiono uguali nella loro serialità meccanica, come fossero i blocchi edilizi di una conoscenza che non lascia scampo. Ogni pausa è abolita, occupata. La pausa, cioè l’assenza delle parole, diventa il campo di battaglia per l’aggressione militare delle parole, e i nomi del vocabolario così proiettati sono le bandiere piantate in una terra di conquista». Non c’è spazio per la scelta e il discernimento e il linguaggio diventa rumore bianco, caos. La performance, coprodotta con la Fondazione Merz, è stata presentata l’anno scorso alla Zisa di Palermo e prevedeva una coreografia iniziale che qui è mancata.
L’installazione è specchio degli strani tempi in cui viviamo e forse questa è l’unica risposta possibile alla realtà che ci circonda; dal teatro non possiamo onestamente più chiedere che ci faccia divertire. Ieri un festival di danza si è concluso con uno spettacolo in cui c’era tutto meno che la danza. Questa sera un festival teatrale ha ospitato un avvenimento senza attori, senza scene, senza drammaturgia, senza testo, senza la parola “parlata”. Un po’ di smarrimento da parte del pubblico pagante è comprensibile.
Immagine della lunga striscia di carta nera, con un estratto del flusso di parole proiettate su schermo nell’omonima opera dal vivo, contenuta nella Collector’s Edition del disco di Romeo Castellucci e Scott Gibbons, autore della colonna sonora
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