∙
Richard Wagner, Lohengrin
Parigi, Opéra Bastille, 24 ottobre 2023
(live streaming)
Il prequel di Parsifal
Da quanto tempo e con quanta intensità viene denunciato l’obbrobrio delle guerre, eppure sembra che l’essere umano non riesca a estirparla dalla sua esistenza, come ci viene dimostrato quotidianamente. E ogni volta con sempre maggiore efferatezza. Coloro che si lamentano che gli allestimenti lirici troppo spesso presentino un’ambientazione di guerra, che cosa guardano nei loro schermi televisivi a casa? L’opera, il teatro non sono mera evasione, sono uno specchio della nostra contemporaneità nella sua tragica e sconfortante realtà. La consapevolezza che la guerra è mortale non è una novità, ma raramente è così devastantemente chiara come in questa produzione di Lohengrin – un’opera che si svolge in tempo di guerra – messa in scena per il suo debutto parigino da un perseguitato politico fuggito dal suo paese, quella Russia impegnata in una guerra di invasione di un paese confinante. Kirill Serebrennikov aveva già prodotto Parsifal, l’ultima opera di Wagner, e ora si occupa della sua prima, come molti considerano il Lohengrin.
Il regista e cineasta russo dà il tono della sua lettura già nel preludio con un video in cui vediamo un giovane sorridente che si aggira per una foresta e che viene ripetutamente accarezzato da una mano. Quando si toglie l’uniforme militare e si tuffa nudo in un lago, diventano visibili i tatuaggi ad ali di cigno sulla schiena. Il bel fratello giovane amato dalla sorella è un soldato in licenza a casa. Elsa è devastata dalla sua morte; malata nel corpo e nell’anima, la sua personalità è sdoppiata e il mondo diventa per lei un incubo. Quando viene convocata a corte lei, o uno dei suoi due sdoppiamenti di personalità, si presenta nuda davanti al re e al suo popolo. Nelle stanze adiacenti le pareti si restringono quando le cose sembrano farsi strette per la difesa di Elsa, per poi allargarsi nuovamente quando appare il fantomatico personaggio di Lohengrin accompagnato da due metà cigno sotto forma di danzatori con un’ala di cigno ciascuno. L’uniforme di Lohengrin assomiglia a quella dell’amato fratello: il ricordo di lui si confonde con la figura immaginaria del suo salvatore, una illusione fantasticata dalla giovane donna per proteggerla dalle sue fantasie. Come in playback, Elsa muove le labbra come se le sue parole di Lohengrin venissero da lei. Noi percepiamo l’intera vicenda dalla prospettiva di Elsa ma il suo trauma non è solo quello di una perdita individuale: nel secondo atto diventa il trauma di una società che sprofonda senza speranza nella guerra.
Nella prima parte del secondo atto, Telramund, menomato e con una protesi alla gamba, canta seduto in direzione di Ortrud, che è in piedi di fronte a lui, ma in realtà sta cantando a Elsa, che è a letto sedata da delle infermiere, ricordandoci che lui stesso un tempo aveva corteggiato Elsa. I coniugi Telramund cercano di manipolare Elsa come dottori in camice bianco della clinica in cui lei è ricoverata. Visivamente, la produzione offre immagini suggestive ed elaborate, grazie alle ambiziose scenografie di Olga Pavluk che divide il palcoscenico in diverse scene parallele che riflettono il mondo mentale frammentato di Elsa sublimato dalla sofisticata illuminazione di Franck Evin. A sinistra, soldati ricevono la visita delle loro giovani mogli. Al centro c’è un ospedale militare con feriti e mutilati e il re che distribuisce medaglie. I morti vengono portati accanto alla camera mortuaria a destra, i cui scomparti refrigerati sono da tempo stracolmi, i sacchi neri sono lasciati per terra. Le vedove, piegate dal dolore, hanno con loro solo le foto dei mariti, figli o fratelli. Quando Elsa esita se porre a Lohengrin la domanda proibita sulla sua identità, nella camera mortuaria accade qualcosa di inquietante: giovani uomini nudi escono dai sacchi dei cadaveri e lasciano la stanza camminando verso la luce, spettri che lasciano questo mondo.
Il terzo atto si apre con una serie di matrimoni di guerra rapidamente inscenati: durante la festosa marcia nuziale vediamo giovani soldati armati in azione nel video in alto mentre in basso coppie di soldati mutilati si fanno fotografare con la loro sposa sullo sfondo di un disegno con cigni sul lago. La gioia del momento maschera a malapena la paura di ciò che potrà accadere agli uomini. La scenografia, dapprima rigorosamente divisa in spazi distinti, dissolve gradualmente le partizioni per aprirsi sulla devastazione del mondo, dove si scontrano i vivi, i feriti e i morti. È qui che Lohengrin si congeda da Elsa, dopo averle consegnato la sua piastrina militare, per unirsi ai Cavalieri del Graal, l’unità d’élite a cui appartiene. Dopo il racconto di Monsalvat Lohengrin presenta il “Protettore” del Brabante: apre un sacco per cadaveri e ne esce un giovane uomo con la pelle segnata dalle ferite.
L’inizialmente previsto Gustavo Dudamel è sostituito molto degnamente dall’inglese Alexander Soddy che rende a meraviglia il romanticismo e la grandiosità di questa giovanile partitura wagneriana riuscendo a conferire all’Orchestre de l’Opéra National de Paris un respiro solenne, facendo brillare gli ottoni e svettare gli archi nella grande impalcatura orchestrale che porta a febbrili e densissimi climax. Anche il coro dà ottima prova e viene giustamente festeggiato con calore dal pubblico. Un cast composito si è alternato nelle diverse repliche: in quella del 24 ottobre trasmessa in streaming re Enrico è un pregevole Kwangchul Youn maestoso nel fraseggio e solenne nel timbro di un ruolo che ha spesso frequentato; Lohengrin ha il piglio spavaldo e la voce sicura di Piotr Beczała; Elsa è Johanni van Oostrun intensa ma dal timbro non omogeneo; Telramund un eccezionalmente espressivo Wolfgang Koch; Ekaterina Gubanova una memorabile Ortrud.
⸪
