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Richard Wagner, Das Rheingold
Bruxelles, Théâtre Royal de la Monnaie, 31 ottobre 2023
(video streaming)
Anelli e buchi neri: un altro Wagner per Castellucci
Il frastuono di un grande anello di metallo che ruota su sé stesso sul palcoscenico è il primo evento sonoro che scoprono gli spettatori nel buio della sala. Poi, come provenendo da chissà quali profondità ctonie, emerge il mi♭ dei contrabbassi mentre le tre Figlie del Reno, doppiate da tre danzatrici, si stagliano nell’oscurità tutte dipinte d’oro. Alberich è incatenato a una putrella e la liquidità del fiume è suggerita dall’illuminazione. Così ha inizio Das Rheingold, la prima parte del ciclo completo del Ring des Nibelungen che in due stagioni ritornerà a Bruxelles 32 anni dopo la precedente produzione di Herbert Wernicke e Sylvain Cambreling.
Direttore musicale della Monnaie e grande wagneriano – a Bruxelles ha diretto Lohengrin, Tristan und Isolde e Parsifal – il maestro Alain Altinoglu offre un’esecuzione in cui l’intensità del messaggio va di pari passo con una padronanza assoluta dell’architettura musicale e un senso implacabile della narrazione. Il discorso musicale di Wagner può diventare facilmente prolisso, ma Altinoglu evita questa trappola e scolpisce questo lungo corpo sonoro con fluidità, chiarezza dei motivi, attacchi lancinanti, transizioni vigorose e colori superbi così da creare un universo sonoro appassionante. Non è la prima volta che dirige un lavoro messo in scena da Romeo Castellucci e la convergenza di intenti tra il direttore franco-armeno e l’artista italiano conduce qui a risultati memorabili.
Dopo la prima scena, quella con gli dèi è ambientata in una vasta sala dalle pareti immacolate e decorata con fregi e sculture ellenistiche, del Medioevo o del Rinascimento, vestigia di un lontano passato in questo presente senza tempo: Castellucci universalizza la narrazione, come a dire che questa è una storia che si è ripetuta nella storia e che continuerà a ripetersi. Sul pavimento, si contorcono decine di corpi nudi, una superficie brulicante su cui Wotan e Fricka, vestiti con abiti neri e corone, hanno difficoltà a camminare. Sarà il corso mutevole del fiume? saranno insidiose sabbie mobili? un’umanità letteralmente calpestata, schiavizzata da un’élite corrotta dal potere? Chissà, Castellucci si diverte a porre i suoi enigmi. Come quando Loge lancia uova piene di inchiostro nero sulle foto di illustri interpreti wagneriani del passato e su quella del Wotan di Gábor Bretz che lo sta fronteggiando in scena. O infila uova nell’unico calzino sinistro (una scorta per un futuro lancio che però non avverrà?) o, ancora, quando dall’alto scendono due giganteschi alligatori neri nella scena del rilascio di Freia, e quando Fafner uccide Fasolt uno dei due sauri crolla a terra. Forse è il “drago” in cui si tramuterà il gigante nella seconda giornata?
Il regista/scenografo/costumista dopo aver dimostrato un certo suo sadismo nei confronti del pubblico, lo dimostra anche verso i cantanti ai quali chiede molto dal punto di vista fisico ed è un loro merito se la vocalità rimane intatta e sicura in tali condizioni: ad esempio, l’Alberich di Scott Hendricks canta sospeso in aria per i polsi durante il confronto con Wotan e Loge, completamente nudo e imbrattato di vernice nera. Una scena che sarebbe stata inconcepibile pochi decenni fa quando nessun cantante avrebbe accettato simili condizioni. Oggi invece Castellucci è in grado di portare il suo cast a spingersi al di sopra e al di là di ogni limite per offrire performance così fisicamente disinibite.
Nella drammaturgia di Christian Longchamp la forgia di Mime avviene realmente con dei macchinari che trasformano barre di acciaio in grandi anelli che ritroveremo nel finale quando uno di questi diventa un foro nel pavimento in cui si lasciano cadere gli dèi. Nessun ponte con i colori dell’arcobaleno: invece di ascendere al Walhalla, uno alla volta vengono inghiottiti da un buco nero sotto lo sguardo sardonico di Loge che se ne guarda bene di buttarsi anche lui lì dentro grazie al suo ruolo di semidio. In t-shirt e calzoncini corti, Loge è un ironico bellimbusto a cui Nicky Spence fornisce una voce squillante ed espressiva. Dell’Alberich si è già detto e la voce di Scott Hendricks lo rende memorabile. Ancora più scuro qui è il timbro di Gábor Bretz, un Wotan introverso ma implacabile. A tutto tondo la Fricka di Marie-Nicole Lemieux, intensa la Freia di Anett Frisch, efficace il Donner di Andrew Foster-Williams, un po’ meno il Froh di Julian Hubbard, sotto tono invece l’apparizione della Erda di Nora Gubisch. Possenti i due giganti Fasolt e Fafner , dove dispiace che il primo (Ante Jerkunica) debba uscire di scena per mano del secondo (Wilhelm Schinghammer) Ben individuate le personalità delle tre Rheinmädchen: Eleonore Marguerre (Woglinde), Jelena Kordić (Wellgunde) e Christel Loetzsch (Flosshilde).
Il video è disponibile sul sito del teatro e su youtube. Con molto interesse si aspetta Die Walküre a gennaio.
⸪
