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Un Oro del Reno fantasmagorico
La stesura del libretto delle quattro opere che insieme rappresentano una delle più ambiziose creazioni mai tentate da un musicista (1), prende un arco di tempo considerevole: dal 1848, anno di fermenti rivoluzionari in Europa quando Wagner è trentacinquenne, al 1874 quando il compositore di anni ne ha più di sessanta, con una pausa di circa dieci anni.
Scena prima. Le tre ninfe Woglinde, Wellgunde e Flosshilde (che sono figlie del Reno ed hanno il compito di proteggerne l’oro) stanno giocando nell’acqua. Il nano Alberich fuoriesce dalle viscere della terra e si ferma a guardarle proclama il suo amore per loro. Ma esse lo deridono e infuriato cerca di afferrarle. Nel frattempo l’oro del Reno si mostra; le tre Ondine rivelano il segreto potere del tesoro che custodiscono: chiunque sarà capace di forgiare con esso un anello, dominerà il mondo; per farlo però dovrà rinnegare l’amore. Alberich maledicendo l’amore si impadronisce dell’oro e scompare.
Scena seconda. Wotan riposa accanto alla moglie Fricka. Ella lo sveglia e discutono, poiché Wotan si è fatto costruire dai giganti Fasolt e Fafner una dimora celeste, il Walhalla, promettendo loro in cambio la sorella di Fricka, Freia. Tuttavia Wotan, completato il lavoro, non vuole accondiscendere al pagamento. I giganti si presentano e, se non accontentati, intendono rapire Freia, in difesa della quale sono pronti a intervenire i fratelli Donner e Froh, fermati in tempo da Wotan prima che si sparga sangue. Il semidio Loge propone una soluzione: rubare l’oro al nano Alberich che, nel frattempo, è riuscito a forgiare l’anello, e pagare con esso il debito. Ma, ora che ne conoscono il potere, tutti sentono il desiderio di impossessarsene. I giganti rapiscono Freia: la terranno fino a che non avranno l’oro.
Scena terza. Nel suo regno sotterraneo Alberich ha costretto in servitù i Nibelunghi e se ne serve per accumulare ricchezze. Perfino suo fratello Mime è picchiato e torturato, sebbene abbia realizzato per Alberich un elmo magico chiamato Tarnhelm, che dona a chi lo indossa il potere di mutarsi in qualunque cosa, o di diventare invisibili. Wotan e Loge con un inganno riescono tuttavia a fare prigioniero Alberich e lo portano con sé in superficie.
Scena quarta. Per essere liberato Alberich dovrà consegnare il suo tesoro, compreso l’anello. Una volta liberato egli maledice l’anello affinché conduca alla rovina chiunque ne sia il possessore. Wotan ignora la maledizione e indossa l’anello, intenzionato a tenerlo per sé. Ma i giganti non si accontentano del tesoro: esigono anche l’anello. Wotan è costretto a cedere, anche se lo fa solo dopo che Erda, dea della terra e custode di conoscenze sul futuro, gli ha predetto un infausto destino, la seconda volta che avrà l’anello in mano. La maledizione comincia subito il suo effetto: Fafner, per avidità, uccide il fratello Fasolt e fugge col tesoro. Gli dèi prendono possesso della loro dimora e l’oro non viene restituito alle figlie del Reno, che invano si lamentano.
La musica del Rheingold risale al 1853, ma l’opera è stata rappresentata per la prima volta nel 1869 a Monaco di Baviera mentre come parte dell’intero ciclo ha dovuto aspettare l’apertura del teatro di Bayreuth nel 1876.
In questo prologo al “festival scenico” (Bühnenfestspiel) wagneriano la Fura dels Baus, pur non rinunciando a un discorso ideologico che troverà maggiormente sviluppo nelle successive giornate (il tesoro di Alberich è formato da corpi umani e anche il Valhalla è una struttura fatta di corpi di acrobati: la ricchezza e il potere sono fondati sullo sfruttamento degli uomini), utilizza i suoi mezzi tecnologicamente all’avanguardia per stupire il pubblico con acrobazie, video proiezioni e computer grafica che si sposano a meraviglia con la struttura avveniristica del Palau de les Arts “Reina Sofía” di Valencia. Siamo nel 2007.
In tutte le edizioni del Ring la prima scena del Rheingold è quella che dà il senso di tutta la produzione. Dalle figlie del Reno portate a spasso su carrelli sullo sfondo dipinto e la cartapesta della prima edizione fino alla diga di Chéreau, ci si chiede ogni volta che cosa si sarà inventato di nuovo il regista. Qui Carlus Padrissa e la compagnia catalana stravolgono molto meno di tanti altri il libretto.
Il pedale in mi♭ dell’inizio si alza nel buio totale mentre sullo sfondo della scena proiezioni di elementi liquidi si fanno via via più distinte con il crescendo della musica. Le figlie del Reno sono immerse nell’acqua di contenitori trasparenti e sono loro stesse a “partorire” l’oro che Alberich ruba mentre le ragazze vengono portate via con delle reti come cetacei spiaggiati. È la prima volta che l’agitato e doloroso motivo nell’orchestra trova un adeguato corrispettivo drammatico in scena.
Ma il meglio deve ancora venire. L’immagine del nostro pianeta che si allontana nello spazio ci trasporta nel regno di Wotan. Con il tema del Valhalla si scopre una scena da fantascienza, con gli dèi vestiti come in Guerre stellari e issati su altissime piattaforme mobili. Loge guizza qua e là su un segway e i giganti sono veramente tali grazie a una struttura meccanica che ne amplifica le proporzioni.
Anche la discesa nelle viscere della Terra è una prodezza vista solo al cinema dove il regno di Alberich è a metà strada tra la Isengard disegnata da Alan Lee per il Signore degli anelli, una fantascientifica fabbrica di embrioni e una spaventosa macelleria. Il genio visionario di questi catalani non ha proprio limiti!
Questo per la parte visiva. Sul podio Zubin Mehta, con il mestiere che gli si riconosce, ricava dall’orchestra della comunità valenciana tutti i colori e le tensioni drammatiche richieste dalla partitura.
I cantanti sono tutti di ottimo livello. Un particolare cenno si può fare per l’autorevole Wotan di Juha Uusitalo, che ha sostituito con un occhio di vetro quello sacrificato (particolare sofisticato, ma difficilmente notato dal pubblico del teatro). Il minaccioso Fasolt di Matti Salminen e l’avido Fafner di Stephen Milling esprimono adeguatamente la loro potenza vocale. Affaticata ma intensa l’interpretazione come Alberich di Franz-Josef Kapellmann. Nel reparto femminile è soprattutto la Erda di Christa Mayer a farsi ricordare nella sua breve ma determinante apparizione, mentre le tre figlie del Reno dimostrano di avere fiato non solo nel canto, ma anche in apnea sott’acqua.
La regia video di Tiziano Mancini fa del suo meglio per riprendere tutto quello che avviene in scena, ma questo è uno spettacolo che si gusta dal vivo e l’ultima occasione è stata al Maggio Musicale Fiorentino nel 2008.
Questa produzione di Valencia è il paradigma della moderna rappresentazione dell’opera lirica, che se sopravviverà sarà forse grazie a spettacoli come questo.
(1) Nel XX secolo un altro compositore, Karlheinz Stockhausen, ha realizzato un ciclo ancora più ambizioso: il suo Licht si sviluppa su sette opere, ognuna per ogni giorno della settimana, per una durata complessiva di quasi trenta ore!
⸫
- Das Rheingold, Levine/Lepage, New York, 9 ottobre 2010
- Das Rheingold, Janowski/Castorf, Bayreuth, 26 luglio 2016
- RhineGold, Chauhan/Willacy, Birmingham, 2 agosto 2021
- Das Rheingold, Thielemann/Černjakov, Berlino, 29 ottobre 2022
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