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Richard Wagner
Das Rheingold (L’oro del Reno)
Bayreuth, Festspielhaus, 26 luglio 2016
(video streaming)
La benzina del Reno
Nel 2013 si celebra il bicentenario della nascita di Wagner. Come era successo per il Ring del centenario (1976) anche questa produzione è giudicata a dir poco controversa. Verrebbe da dire: «Ben vi sta. Avete fischiato Chéreau? Ora beccatevi Castorf!».
L’acqua c’è ma è quella della piscina del “Golden Motel” che ospita le figlie del Reno, tre bionde platinate che stendono i loro indumenti intimi e tormentano un altro equivoco cliente, Alberich. Dalla stazione di rifornimento dietro il Motel telefoneranno a quelli del piano di sopra per avvisarli del furto dell’oro (un tessuto dorato che galleggiava nella piscina). Così inizia Das Rheingold nell’allestimento del regista tedesco Frank Castorf che avvia la sua Tetralogia con questa prima giornata la cui chiave di lettura sta nella catena di associazioni “oro del Reno = oro nero = benzina”. L’ambientazione di Walküre sarà nei campi petroliferi del mar Caspio nel periodo della sovietizzazione dell’Azerbaijian; nel Siegfried si passerà dal Mount Rushmore con le effigi dei padri del comunismo (Marx, Lenin, Stalin e Mao) invece dei presidenti americani, alla berlinese Alexander Platz prima della caduta del muro; per Götterdämmerung si succederanno la facciata della Borsa di Wall Street, un’industria chimica della Germania dell’Est e un chiosco di kebab.
Lo squallore suburbano in cui è trasposta la mitologia wagneriana mette a nudo la desolante umanità dei personaggi: gli dèi sono gangster, sfruttatori e cowboy, le figlie del Reno tre prostitute, i giganti due rudi meccanici che si massacrano con i lingotti d’oro. Un lurido motel sulla Route 66 prende il posto del Walhalla e il Niebelheim è un lugubre caravan che ritornerà in tutta la Tetralogia. Tutto ha una sua ironica logica – è la sveltina di Wotan con Erda quella che procreerà le Valchirie? il ponte arcobaleno non c’è, ma a un certo punto la bandiera dei confederati è sostituita da una rainbow! Wotan ha sempre gli occhiali da sole, anche di notte mentre Log egioca con la fiamma del suo accendino… – ma lo stile da film crudamente realistico fa a pugni con la solennità della musica e fa di tutto per distrarne l’ascolto. Nulla da eccepire invece sulla qualità della messinscena, dove la struttura scenografica rotante di Aleksandar Denić e i costumi di Adriana Braga Peretzki ricreano con fedeltà gli anni ’60 del secolo trascorso, mentre le riprese video di Andreas Deinert e Jens Crull proiettate su uno schermo amplificano l’aspetto cinematografico dello spettacolo. Non sempre convincente invece il gioco attoriale, con gli interpreti che talora non sanno cosa fare in una scena sempre troppo affollata e zeppa di scene principali, controscene e immagini riprese dal vivo oppure lasciata vuota di azione, come il finale.
Nel 2016 l’allestimento di Castorf ritorna per la quarta stagione, questa volta con la direzione di Marek Janowski, che debutta a Bayreuth dopo una lunga pausa perché il Maestro aveva dichiarato di non amare le produzioni moderne. C’è da chiedersi che cosa pensi di questa… Janowski ha inciso due volte il ciclo completo: in studio negli anni ’80 con la Staatskapelle di Dresda e nel 2012-13 dal vivo con la Rundfunk-Sinfonieorchester di Berlino. Non è quindi una novità la sua lettura, improntata a una dinamica che privilegia i dettagli della partitura piuttosto che la forza sonora della musica.
Cast di eccelennza quello formato da Iain Paterson (Wotan), Markus Eiche (Donner), Tansel Akzeybek (Froh), Roberto Saccà (Loge), Sarah Connolly (Fricka), Caroline Wenborne (Freia), Nadine Weissmann (particolarmente apprezzata Erda), Albert Dohmen (dopo tanti Wotan ora è Alberich), Andreas Conrad (Mime), Günther Groissböck (simpatetico Fasolt), Karl-Heinz Lehner (Fafner) e le tre figlie del Reno.
Tre anni dopo, lo spettacolo che era stato accolto da fischi e contestazioni ora riceve solo applausi.
⸪