Medea

foto © Luigi de Palma

Euripide, Medea

regia di Leonardo Lidi

Torino, Fonderie Limone, 10 aprile 2024

Medea, una storia d’amore

Dopo tante riscritture, riletture, adattamenti, è salutare tornare al testo originale, o quasi. Le Medee di Seneca (I secolo d.C.), Corneille (1635), Grillparzer, (1821), Anouilh (1946), Alvaro (1949) e poi Charpentier (1693), Rameau (1721), Cherubini (1797), Mayr (1813), Pacini (1843), Reimann (2020) tra quelle messe in musica, Pasolini (1969) e von Trier (1988) quelle cinematografiche, devono tutto a Euripide che la presentò alle Grandi Dionisie del 431 a.C. come parte di una tetralogia andata in parte perduta. Ora il Teatro Stabile di Torino ha in programma alle Fonderie Limone una versione da Euripide, ossia una Medea filtrata attraverso la traduzione di Umberto Albini, la regia di Leonardo Lidi e la drammaturgia di Riccardo Baudino,  che con sensibilità moderna propongono la loro lettura della tragica vicenda.

Quando Giasone giunge nella Colchide insieme agli Argonauti alla ricerca del Vello d’oro, Medea se ne innamora perdutamente e per aiutarlo a raggiungere il suo scopo giunge a uccidere il fratello Apsirto. Quando lo zio di Giasone rifiuta tuttavia di concedere il trono al nipote, come aveva promesso in precedenza, in cambio del tesoro,  Medea sfrutta le proprie abilità magiche e convince le figlie di Pelia a somministrare al padre una pozione che,  dopo averlo fatto a pezzi e bollito, lo avrebbe ringiovanito completamente. Le figlie ingenue si lasciano ingannare e provocano così la morte del padre. Acasto, figlio di Pelia, bandisce Medea e Giasone da Iolco, costringendoli a rifugiarsi a Corinto, dove si sposeranno. (Con una tale storia di sangue alle spalle, non sorprende il ricorrere di Medea all’omicidio prima della fidanzata rivale e poi dei figli, una decisione sofferta sì, ma presa razionalmente e che non suscita particolari sensi di colpa nella donna.)

Tutto questo è raccontato dalla nutrice nella prima scena sia in Euripide sia nello spettacolo di Lidi, ambientato in una stanza chiusa da pareti di vetro che separano dal pubblico gli attori. L’unico personaggio al di fuori di questo “acquario umano” è il re Egeo, che promette a Medea asilo purché lo guarisca dalla infecondità. Nella drammaturgia di Riccardo Baudino il personaggio del re Creonte è sostituito dalla figlia Glauce, presenza muta in Euripide, questo per sottolineare il confronto al femminile tra le due donne. Donna e straniera, Medea è la “diversa” che cerca la solidarietà delle donne di Corinto. Anche la scena finale tra Medea e Giasone è diversa, trasformata in un monologo di quest’ultimo.

Nello spettacolo di Lidi Medea ha perso ogni connotazione magica e regale, è dimessa, non è vestita sontuosamente, non ha un trucco particolare: è una povera donna sconvolta dal dolore di essere abbandonata, per un’altra più giovane, da un uomo a cui ha sacrificato tutto. Orietta Notari connota con grande intensità la sofferta psicologia della donna e nello stesso tempo la lucida spietatezza con cui arriva a ideare un piano così efferato senza cercare di costruire la grandezza del personaggio. Con un accorto uso del corpo e della voce – essendo in una gabbia vetro gli attori usano microfoni per farsi sentire ma il risultato è convincente – dimessamente vestita, scalza, utilizza un’ampia gamma espressiva con cui confrontarsi con gli altri personaggi. Giasone soprattutto, ma anche i due giovani attori che rappresentano la nutrice e il pedagogo, a cui si rivolge maternalmente,  infatti alla fine saranno loro a impersonare i figli fino a quel momento totalmente assenti dalla scena. Valentina Picello e Alfonso de Vreese interpretano con sensibilità questi due unici personaggi simpatetici della vicenda, il secondo anche con una chitarra elettrica da cui scaturiscono sobri ma accarezzevoli suoni. Marta Malvestiti impersona Glauce che qui sostituisce prima Creonte mentre riferisce a Medea l’ordine di abbandonare la città e poi il nunzio che racconta della fine della giovane sposa con particolari d’un orrore raccapricciante. Lorenzo Bartoli è Egeo nel breve unico momento non drammatico della storia e infine Nicola Pannelli è un Giasone che non ha nulla di eroico, è l’uomo pusillanime che giustifica nel modo più ipocrita il suo tradimento. 

Con una recitazione naturalistica e sempre attenta ai significati delle parole, i pochi attori in scena hanno connotato con efficacia uno spettacolo visivamente depurato da elementi distraenti. Però neanche questa volta è mancato il momento pop, quando Glauce ha preso il microfono per cantare una canzone allo sposo e anche Medea si illude di poter vivere un altro momento di felicità ballando col fedifrago.