Lucca Classica Music Festival

foto © Lucca Classica Music Festival

Legacies

King’s Singers

Lucca, Teatro del Giglio, 24 aprile 2024

Eredità

È sempre sorprendente la vita culturale delle piccole città del nostro paese in cui proliferano eventi anche di alto prestigio, come questo Lucca Classica Music Festival, arrivato ai dieci anni dalla sua creazione e a sessanta dalla nascita dell’Associazione Musicale Lucchese. E questo nel centenario della morte di Giacomo Puccini, il più illustre figlio della città, a cui viene dedicata una prima giornata di studi (la seconda sarà a Milano a ottobre) con un Convegno dell’Associazione Nazionale Critici Musicali, “Puccini in scena, oggi”, gentilmente ospitato da Lucca Classica.

Settanta sono gli appuntamenti ripartiti in cinque giorni, con concerti di grande interesse, tra i quali quelli dedicati a Luigi Nono e Arnold Schönberg, di cui si celebrano gli anniversari della nascita – cento e centocinquanta rispettivamente. Non vengono però dimenticati neppure i duecento anni dalla creazione della Nona Sinfonia, con alcune lezioni-concerto sul capolavoro beethoveniano. Nell’elenco degli esecutori spicca il nome di Giovanni Sollima in una serata in cui il grande violoncellista esegue da par suo un montaggio di musiche proprie e di autori come Vivaldi e Tartini per celebrare Venezia quale città di convivenza di comunità e culture diverse.

Sede principale di tutte queste manifestazioni è il bel Teatro del Giglio che ospita la serata inaugurale con un concerto dei King’s Singers, un gruppo vocale a cappella fondato nel 1968 in Inghilterra prendendo il nome dal King’s College di Cambridge. Formato da sei studiosi di canto corale la cui popolarità, dopo l’apice negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta prima in Gran Bretagna, poi negli Stati Uniti e infine nel mondo, continua indiscussa ancora oggi attirando ogni volta fedeli fans. Nel tempo si sono avvicendati nuovi membri a quelli originali e oggi abbiamo: Patrick Dunachie (primo controtenore), Edward Button (secondo controtenore), Julian Gregory (tenore), Christopher Bruerton (primo baritono), Nick Ashby (secondo baritono) e Jonathan Howard (basso).

Come suggerisce il titolo, il loro concerto unisce brani di epoche molto diverse. Di Thomas Weelkes (1576-1623) si ascolta Hark, all ye lovely saints above, gioiosa celebrazione dell’amore e della fine del regno di castità di Diana, un brano pieno di energia e di movimento, con il ritornello ripetuto «Fa la la» che aumenta il senso di allegria. Anche di Weelkes è As Vesta was from Latmos Hill descending, un madrigale tratto da The Triumphs of Oriana, pezzi scritti per celebrare la regina Elisabetta I, uno dei cui titoli onorifici era appunto “Oriana”. Si tratta di un brano trionfale e festoso pieno di madrigalismi e di spiritose battute contrappuntistiche, che si conclude con decine di acclamazioni, alte, basse, veloci, lente, vicine e lontane sul distico «Then sang the shepherds and nymphs of Diana: Long live fair Oriana». La gioia cristallizzata in musica, che i sei cantanti esaltano con ironia.

Tra i più rinomati rappresentanti della musica inglese di quest’epoca è William Byrd (1543-1623). Praise our Lord, all ye gentiles è un mottetto tra i più conosciuti, con testo tratto dalla Bibbia e appartenente all’ultima collezione Psalmes, Songs and Sonnets dell’anziano musicista. Un brano dalla intricata polifonia reso con sapienza e stile. Un cantus planus dall’andamento solenne è invece quello di Qui pace Christi di un certo Antonius Peragulfus. Insolita è la storia del suo ritrovamento: più di quarant’anni fa, nell’archivio di Stato di Lucca, il musicologo Reinhard Strohm notò che le rilegature di alcuni libri erano insolite, costituite cioè dalle pagine di un manoscritto musicale vecchio di secoli. Negli anni successivi, Strohm lavorò con gli archivisti per rimuovere queste pagine e riassemblare il più possibile il manoscritto originale, un importante recupero culturale oggi noto come “Lucca Choir Book”. A questa raccolta di brani appartiene anche l’anonimo Vidi speciosam, mai eseguito. Un mottetto dalla sapiente struttura contrappuntista che permette però ai singoli solisti di emergere con le loro frasi luminose e perfettamente concatenate, frutto di un’intesa mirabile fra i giovani cantanti di questo consort of voices.

Con un salto di alcuni secoli arriviamo al Novecento. I Nonsense Madrigals di György Ligeti (1923-2006) furono commissionati proprio per i King’s Singers. Qui si ammira la straordinaria capacità dei giovani interpreti a rendere i testi umoristici di Lewis Carroll (The Lobster Quadrille e A Long, Sad Tale) e di William Brighty Rands (Cuckoo in the Pear-Tree) con i loro irresistibili giochi di parole, le invenzioni fonetiche e le sorprese musicali degli inni britannico e francese inseriti in The Lobster Quadrille. 

Gli altri brani in programma sono la dolcissima canzone Alive di Francesca Amewudah-Rivers attrice inglese di origine nigeriana nata nel 1998. È la sua prima composizione corale e si colloca a metà strada tra una canzone pop, una ballata folk e un inno corale. Nel testo, che è stato ispirato da una visita a Cipro poco dopo la pandemia quando ha visto il mare per la prima volta dopo anni, chiede all’ascoltatore di essere consapevole e di apprezzare il mondo che lo circonda. Il brano si conclude con l’insistente ritornello «Sai come ci si sente a essere vivi?». Più drammatico e rarefatto il successivo I was there di Joe Hisaishi (nato nel 1950) ispirato a tragedie dei nostri tempi. I tre brani dello svedese Hugo Alfvén (1872-1960), sinfonista svedese tardoromantico, riportano ad atmosfere nordiche che ricreano un clima di serena malinconia (Aftonen, La sera), intimità (Uti vår hage, Sul nostro prato) e spensieratezza (Och jungfrun hon går i ringen, Una fanciulla è nel cerchio) rese con grande sensibilità dai sei interpreti che dopo l’intervallo entusiasmano il pubblico con la loro spigliata reinterpretazione di classici pop quali Seaside Rendezvous dei Queen, Blackbird dei Beatles, temi da film di Disney e da Porgy and Bess di Gershwin. Gli applausi insistenti richiedono altri pezzi fuori programma, che il sestetto inglese è ben lieto di offrire.