Le maschere

Piero Mascagni, Le maschere

Wexford, O’Reilly Theatre, 18 ottobre 2024

★★★

(diretta streaming)

L’altro Mascagni

“Commedia lirica e giocosa in una parabasi e tre atti”, Le maschere fu iniziata nel 1897 quando Mascagni stava scrivendo Iris il cui librettista, Luigi Illica, gli aveva suggerito l’argomento: «A far risorgere la Commedia dell’Arte mi pareva, e mi pare, compito degno di un artista di coscienza», affermò il compositore citando poi il nome di Rossini quale destinatario del suo omaggio.

Prologo. Il gioco metateatrale di quest’opera, il cui titolo fa riferimento alle maschere della commedia dell’arte, si rivela subito dall’incipit, in cui l’esecuzione di un’ouverture in stile rossiniano viene interrotta da Giocadio, che presenta la commedia che sta per essere rappresentata e ogni personaggio si presenta con la propria caratterizzazione musicale.
Atto I. Protagonista della prima scena è Brighella che decanta i poteri terapeutici dei suoi unguenti, mentre gli altri personaggi lo circondano, intenti ad affrontare il caos della vita quotidiana. Nel frattempo Rosaura legge una lettera dell’amato Florindo. Colombina (che, dal canto suo, vorrebbe sposare Brighella), informa Rosaura delle intenzioni di Pantalone, il padre di Rosaura che ha promesso la sua mano a un altro uomo, l’orribile Capitan Spaventa (“Captain Fright” in inglese), che, manco a dirlo, Rosaura odia (lo chiama “ammazzapopolo”). Rosaura, Colombina, Florindo e Brighella mandano Tartaglia in avanscoperta. Una marcia solenne e ironica introduce Capitan Spaventa, che ha deciso di far firmare la sera stessa il contratto di matrimonio tra lui e Rosaura. Dopo la comica reazione di indignazione di Rosaura, Colombina, Florindo e Brighella, quest’ultimo suggerisce di usare una polvere da sciogliere nelle bevande dei presenti al momento della firma. Pantalone si lamenta che la figlia non è ancora pronta e ordina a Tartaglia, l’uomo meno adatto a causa della sua balbuzie, di intrattenere il Capitano descrivendo la città. Subito dopo, Pantalone invita il capitano Spaventa a entrare in casa sua: entrambi ignorano l’imminente beffa.
Atto II. Florindo e Rosaura rinnovano le loro promesse d’amore. Dopo che i due si sono separati in seguito all’avvertimento di Colombina che aveva notato l’arrivo di altre persone, Arlecchino appare sulla scena e offre a Colombina due proposte di matrimonio, una delle quali è destinata alla donna che, da parte sua, sta descrivendo il suo uomo ideale. Arlecchino crede di poter leggere il suo ritratto nelle parole della donna. Ma Brighella lo interrompe e, dopo averlo preso a calci, loda ancora una volta le qualità della sua polvere. La polvere di Brighella viene aggiunta alla botte di vino con l’effetto immediato di creare un caos tale da rovinare il fidanzamento; alla fine rimangono soli Arlecchino e il Capitano, al quale il dottor Graziano aveva inavvertitamente sottratto la valigia.
Atto III. Pantalone, Brighella e Florindo appaiono ancora frastornati dal caos che si è verificato in precedenza. Rosaura, nella sua stanza, si sveglia e scopre la presenza di un uomo sconosciuto. Florindo vorrebbe sfidare a duello il Capitano; Colombina, fingendo di ricambiare le attenzioni di Arlecchino, il servo del Capitano, si fa promettere che convincerà il Capitano a desistere dal suo progetto di matrimonio. Quest’ultimo non vuole annullare il suo progetto di sposare Rosaura, ma è un po’ spaventato da Florindo, che si dichiara disposto a sfidare a duello il soldato. A risolvere l’intricata vicenda arriva come deus ex machina il medico, che ha letto i documenti contenuti nella borsa del capitano e smaschera l’uomo. Pantalone acconsente al matrimonio di Rosaura e Florindo a condizione che tra nove mesi nasca un bel Pantaloncino!

«Oltre al Costanzi di Roma, sei teatri di sei città italiane (Scala di Milano, Carlo Felice di Genova, Regio di Torino, Fenice di Venezia, Filarmonico di Verona) presentarono in contemporanea la prima dell’opera [il 17 gennaio 1901] (a Napoli si andò in scena con due giorni di ritardo, per un’indisposizione del tenore). Ma solo a Roma, dove dirigeva l’autore, si ebbe un successo: nelle altre città furono vivissime le contestazioni. Se Mascagni aveva preso il Rossini comico a modello, come mai nell’opera si rideva poco? E come giustificare le inserzioni di pagine eccessivamente sentimentali? Vennero inoltre contestate alcune scene del primo atto: alcuni temi ricordavano Iris e La bohème di Puccini. Il pubblico non era preparato a questo Mascagni, così diverso rispetto a quello delle sue precedenti prove; non comprese, o non volle comprendere, la deliberata commistione di stili creata da Mascagni (dal comico al patetico), il suo tono da gioco ironico, il gusto per la citazione. Il suo omaggio al mondo ormai lontano delle maschere avviene rispettando i canoni dell’opera buffa (il concertato della polverina che rende tutti folli) o per mezzo di arie e danze antiche, come la pavana o la furlana. Il compositore punta su un genere “neoclassico”, gioca battendo sul tasto della leggerezza: ogni maschera, alla sua presentazione, ha una precisa caratterizzazione musicale; inoltre la strumentazione è accurata, l’organico orchestrale volutamente ridotto. D’altra parte, forse l’intreccio è troppo denso e comporta qualche eccessiva lungaggine, tanto che il compositore, dopo la prima, apportò delle modifiche tese a uno snellimento. Ma il gioco del teatro nel teatro, la grazia settecentesca di certe pagine, l’originalità della formula ne fanno un’opera moderna, già prossima a quel clima neoclassico che sarà una delle espressioni fondamentali di tanto Novecento musicale successivo». (Susanna Franchi)

Mascagni mise mano più volte all’opera fino alla versione definitiva del 1931 che fu accolta con successo. I tempi erano cambiati: Mascagni nel 1929 fu insignito del titolo di Accademico d’Italia e nel 1932 prenderà la tessera del Partito Nazionale Fascista. 

Il Italia in tempi recenti si ricorda l’edizione 2001 nel centenario de Le maschere al Gran Guardia di Livorno con i costumi di Lindsay Kemp ripresi nella produzione del 2023 al teatro Goldoni sempre a Livorno. È la prima volta invece per Le maschere che inaugurano la 73esima edizione del Wexford Festival Opera, la più grande, con 80 eventi distribuiti in 16 giorni sotto la direzione di Rosetta Cucchi. Quest’anno all’insegna del “teatro nel teatro” sulle tavole dell’O’Reilly Theatre sono in programma altre due opere buffe: The Critic di di Charles Villiers Standford e Le convenienze e inconvenienze teatrali di Gaetano Donizetti.

Francesco Cilluffo, direttore principale ospite del WFO, da tempo ripesca con cura i lavori semi-dimenticati dei compositori della Giovane Scuola Italiana con l’intenzione di dar loro nuova vita per riportarli in repertorio. Non sempre l’impresa riesce, difficile possa succedere per questo titolo di Mascagni che più che un omaggio a Rossini sembra voler emulare la vena melodica di Puccini nelle pagine liriche di cui abbonda questa “opera buffa” dove l’idillio tra i due amanti osteggiati prende il sopravvento sulla vicenda e più che a Rossini si pensa al Falstaff di Verdi per i concertati. La sua direzione dell’orchestra del festival è energica e piena di vita ma non sempre l’intonazione degli strumenti risulta ineccepibile e non sempre coeso e musicalmente convincente il coro. Di ottimo livello invece la compagnia di canto formata da voci giovani ma esperte quali quelle di Lavinia Bini (espressiva Rosaura), Andrew Morstein (tenore lirico di bel timbro), Gillen Munguia (simpatico Brighella), Ioana Constantin Pipelea(vivace Colombina), Matteo Mancini (Capitan Spaventa), Benoit Joseph Meier (Arlecchino), Rory Musgrave (Dottor Graziano), Mariano Orozco (Pantalone) e Giorgio Caoduro (Tartaglia). L’attore Peter McCamley nel Prologo introduce la vicenda che il regista Stefano Ricci, autore anche di scene e costumi, ambienta in una spa di lusso: le maschere arrivate dalla platea nei loro caratteristici costumi si svestono infatti e per la maggior parte del tempo saranno in accappatoio per ricevere massaggi, manicure e gli altri trattamenti. La scenografia riproduce gli interni minimalisti di un centro benessere. I colori dei costumi delle figure della Commedia dell’Arte si perdono nel bianco uniforme degli accappatoi così come il tono dello spettacolo che non sembra fornire al titolo motivi per rivederlo nei cartelloni di altri teatri.