foto © Brescia Amisano
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Richard Wagner, Die Walküre (La Valchiria)
Milano, Teatro alla Scala, 12 febbraio 2025 (diretta streaming)
Milano, Teatro alla Scala, 23 febbraio 2025
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McVicar riacquista il suo magico tocco nella prima giornata del Ring
Nei due decenni trascorsi dall’ingresso degli dèi nel Walhalla, Wotan non se n’è stato certo tranquillo fra le quattro mura della «selige Burg» (rocca sublime): con Erda ha generato nove vergini guerriere, le valchirie, mentre sulla Terra, come cacciatore ricoperto di pelli di lupo, da cui il nome Wolfe o Wälse, ha generato con una donna mortale la schiatta dei velsunghi, tra cui la coppia di gemelli Siegmund e Sieglinde, tramite i quali dovrebbe realizzarsi l’idea concepita da Wotan alla fine del Rheingold prima di salire sul ponte di arcobaleno: «wie von einen großen Gedenken» (come preso da un grande pensiero) dice la didascalia e in orchestra si sente per la prima volta il tema della spada, associato all’eroe che, ignaro dei patti violati, potrà riconquistare l’anello che dà il potere del mondo. E quell’eroe nascerà dalla relazione incestuosa dei due fratelli. In Die Walküre Wotan comprende come la sua grande idea possa fallire: egli stesso, minacciato da Fricka, spezza la spada di Siegmund che soccombe alla furia brutale di Hunding mentre Siegliende, che in grembo ha il frutto della relazione col fratello, deve fuggire sola tra i pericoli della foresta.
Con l’irruzione dell’umano dopo il Mito del Prologo, Die Walküre è la più rappresentata della Tetralogia. Anche qui alla Scala: dal 1893 ad oggi la prima giornata del Ring ha avuto oltre venti produzioni diverse con direttori del calibro di Toscanini, de Sabata, Kraus, Furtwängler, Karajan, Cluytens, Prêtre, Sawallisch, Muti, Barenboim… L’attuale produzione milanese fa parte di una Tetralogia programmata per questa e la prossima stagione, affidata per la messa in scena a Sir David McVicar mentre, dopo la defezione di Christian Thielemann, due diversi direttori si alternano alla guida dell’orchestra: Simone Young per le prime tre recite e Alexander Soddy per le ultime tre. Spoiler alert, anche questa volta è il secondo che porta a casa la palma di miglior esecutore, ma entrambi si sono dimostrati di livello eccelso. Come è stato per Das Rheingold queste note si riferiscono a una doppia visione: dello streaming messo in rete da LaScalaTv (con la direzione della Young), e poi da quella dal vivo in teatro (con la direzione di Soddy).
La tempesta con cui inizia l’opera è il simbolo del dramma che accompagna i mortali: Siegmund nella sua fuga nella notte, Sieglinde nel suo infelice matrimonio forzato. Ma prefigura anche il drammatico conflitto di Wotan con la figlia prediletta. All’inizio del primo atto le figurazioni inquiete dell’orchestra sono il banco di prova con cui ogni direttore della Walchiria si presenta, e qui con l’orchestra del teatro, sotto la guida trascinante di Alexander Soddy, queste figurazioni hanno un tono angosciosamente ansimante. Si tramuteranno poi nell’intimità del gioco di sguardi dei due giovani e infine nella loro travolgente passione. Da qui in poi è un susseguirsi di momenti di grande tensione ed altri di grande liricità, emozioni e colori ricreati da un’orchestra in grande spolvero dove un solo momento di non perfetta intonazione degli ottoni non inficia la superba esecuzione. Soddy sa guidare l’orchestra con autorevolezza e grande senso drammatico, raccogliendo alla fine, come successo personale, l’applauso entusiasta del foltissimo pubblico presente in sala.
Di eccellenza è anche il cast vocale affollato di voci femminili tra cui svetta quella della protagonista, una Camilla Nylund perfettamente a suo agio nella parte che ha portato spesso sulla scena. Il timbro luminoso e gli acuti squillanti delineano una valchiria esuberante e poi figlia che orgogliosamente rivendica le sue scelte. Il suo duetto finale col padre è un momento di grandissima tensione emotiva grazie anche al coinvolgente Wotan di Michael Volle che qui si dimostra in condizioni vocali migliori rispetto a quelle evidenziate nel Rheingold. L’autorevolezza del personaggio deve fare i conti con la frustrazione e la performance del baritono tedesco è memorabile per l’intensità dell’espressione, dove ogni frase ha uno scavo particolare e ogni parola sembra scolpita nella roccia. Mirabile il passaggio dalla furia terrificante al ripiegamento nell’amore filiale espresso con grande sensibilità.
Elza van den Heever e Klaus Florian Vogt formano la coppia dei fratelli. La Sieglinde del soprano sudafricano, debuttante nella parte, ha un timbro particolare che connota felicemente la giovinezza della sposa che presto si trova nel ruolo di madre che deve salvare il prezioso figlio che porta in grembo. La voce ha una bella proiezione, ricca di chiaroscuri e una convincente presenza scenica. Il timbro chiaro di Vogt dà a Siegmund un tono più elegiaco che eroico, ma la luminosità del canto ben si adatta al giovane che scopre per la prima volta l’amore. Reso con sincera emozione è il momento di «Winterstürme» mentre un carattere maschile più deciso si rivela nel colloquio con la valchiria che gli annuncia la prossima morte. Okka von der Damerau ritorna Come Fricka, ma questa volta il personaggio è molto più deciso e il mezzosoprano amburghese oltre alle riconosciute doti vocali ha la possibilità di dimostrare il suo temperamento di interprete.
Lo spettacolo inizia in ritardo perché Günther Groissböck, l’interprete di Hunding, ha avuto un incedente d’auto arrivando in teatro. Fortunatamente incolume, ha potuto indossare senza alcun problema i panni del vilain della situazione, dimostrando la sua grande professionalità e maestria vocale ampiamente ammirata in tutti i ruoli che ha affrontato nel passato. Il suo Hunding ha la giusta dose di brutalità senza eccedere nell’espressività e una magnetica presenza scenica. Precise nel loro intreccio di richiami durante la celeberrima cavalcata si sono espresse con timbri e personalità diverse le otto valchirie: Caroline Wenborne, Kathleen O’Mara, Olga Bezsmertna, Eglè Wyss, Eva Vogel, Virginie Verrez, Stephanie Houtzeel e Freya Apffelstaedt.
Sulla messa in scena di McVicar grande era l’attesa dopo la delusione della sua lettura fantasy del Prologo, ma questa volta, pur non rinunciando al taglio stilistico prescelto, il regista scozzese appronta una spettacolo senza le cadute kitsch o gli eccessi di simbolismo del Rheingold. La dimensione umana della Valchiria ispira al regista un approccio che, pur nella sua teatralità, si rivela del tutto convincente con il gioco di luci radenti di David Finn e i bellissimi costumi di Emma Kingsbury. Autore assieme a Hannah Postlethwaite delle scene, McVicar ambienta la vicenda senza età con pochi elementi. Nel primo atto il mondo barbaro di Hunding è rappresentato da possenti mura con pali conficcati nell’argilla di cui sono fatte mentre una grande inferriata scende all’alto. Il frassino al centro sta cedendo, così che altri due tronchi lo sostengono. Rozze pelli formano gli abiti di Hunding e dei suoi compagni di caccia. Nel secondo atto il paesaggio è delimitato da un cerchio di menhir, mentre nel terzo la scultura colossale di un grande volto adagiato forma la rupe che poi si apre quale ricettacolo per il sonno di Brunilde. Sobrie ma efficaci si dimostrano le proiezioni video di Katy Tucker. Ma è nel gioco interpretativo impresso ai personaggi che si ammira la regia di McVicar. Pochi esempi bastano: la brutalità di Hunding rappresentata efficacemente dai rozzi gesti con cui tratta la moglie nel primo atto; nel secondo l’abbraccio di Fricka respinto dal marito mentre la figlia distoglie lo sguardo per l’imbarazzo; nel terzo la prossemica tra Wotan e la valchiria, dettata dalla lotta dei sentimenti che agitano i due personaggi.
McVicar segue con grande fedeltà la storia e non rinuncia alla sfida posta dal libretto per quanto riguarda ad esempio la presenza di animali: i corvi di Wotan, gli arieti del carro di Fricka, i cavalli delle valchirie. Scartata quella realistica, la soluzione più facile sarebbe quella di sbarazzarsene completamente o di interpretarli simbolicamente. McVicar invece accetta la difficile sfida di mantenerne la presenza utilizzando mezzi puramente teatrali: ecco quindi Huginn e Muninn, i corvi di Odino/Wotan, rappresentati da due mimi con ali nere che prendono il volo al comando del dio; altri due mimi con testa di ariete portano in scena la moglie come schiavi incatenati; e infine i cavalli, qui giovani imbracati in una struttura che in alto termina con una testa equina e in basso ha trampoli elastici simili a quelli utilizzati per la corsa dagli atleti paraplegici, che permettono ai figuranti di saltellare in scena con efficace realismo. L’utilizzo poi di uomini permette di conferire a Grane, il cavallo di Brunilde, un ruolo di personaggio a sé: eccolo quindi spossato dopo la folle corsa, oppure placidamente seduto su una roccia per condividere il sonno della sua padrona. Un’immagine che intensifica l’emozione del finale dell’opera, emozione che si scioglie nei frenetici applausi del pubblico e nelle innumerevoli chiamate per i fautori del memorabile spettacolo.
⸪
