Cathy Berberian e Luciano Berio
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Luciano Berio, Folk Songs per voce e orchestra
I. Black is the Colour
II. I Wonder as I Wander
III. Loosin yelav
IV. Rossignolet du bois
V. A la femminisca
VI. La Donna Ideale
VII. Ballo
VIII. Motettu de tristura
IX. Malurous qu’o uno fenno
X. Lo Fïolairé
XI. Azerbaijan Love Song (Qalalıyam)
Dmitrij Šostakovič, Sinfonia n. 4 in do minore, op. 43
I. Allegretto poco moderato – Presto
II. Moderato con moto
III. Largo – Allegro
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Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, Robert Treviño direttore, Justina Gringytė mezzosoprano
Torino, Auditorium RAI Arturo Toscanini, 13 marzo 2025
Berio a un secolo dalla nascita
Il 24 ottobre 1925 a Imperia nasceva Luciano Berio, pioniere dell’avanguardia del XX secolo, riconosciuto per la sua esplorazione innovativa delle tessiture sonore, dell’elettronica e delle tecniche strumentali. Co-fondatore dello Studio di Fonologia a Milano dove ha creato Thema (Omaggio a Joyce) trasformando passaggi dell’Ulisse in paesaggi sonori e sostenitore dell’interdisciplinarità, ha esplorato il teatro, la poesia e il folklore. Come nei suoi Folk Songs, ciclo di canzoni ora riproposto per la stagione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI a cento anni dalla nascita del compositore.
Commissionato dal californiano Mills College, fu lì eseguito la prima volta nel 1964 con la cantante Cathy Berberian, allora sua moglie, da un’orchestra da camera composta da flauto, clarinetto, arpa, viola, violoncello e percussioni. Si tratta di undici diversi arrangiamenti di canzoni che formano un unicum sonoro molto particolare. Nelle parole dell’autore: «si tratta, in sostanza, di un’antologia di undici canti popolari (o assunti come tali) di varia origine (Stati Uniti, Armenia, Provenza, Sicilia, Sardegna, ecc.), trovati su vecchi dischi, su antologie stampate o raccolti dalla viva voce di amici. Li ho naturalmente interpretati ritmicamente e armonicamente: in un certo senso, quindi, li ho ricomposti. Il discorso strumentale ha una funzione precisa: suggerire e commentare quelle che mi sono parse le radici espressive, cioè culturali, di ogni canzone. Queste radici non hanno a che fare solo con le origini delle canzoni, ma anche con la storia degli usi che ne sono stati fatti, quando non si è voluto distruggerne o manipolarne il senso».
Le prime due, “Black Is the Colour (Of My True Love’s Hair)” e “I Wonder as I Wander”, non sono propriamente temi popolari in quanto sono state scritte dal cantante folk John Jacob Niles. La prima è una canzone d’amore accompagnata dalla viola che suona «like a wistful country dance fiddler» (come un malinconico violinista da ballo country); la seconda un brano di intimo tono religioso dove viola, violoncello e arpa ricreano il suono di una ghironda. Una libera cadenza del flauto prima e poi del clarinetto ci porta in Armenia, il paese d’origine di Cathy Berberian, dove una struggente melodia, accompagnata dall’arpa e poi da clarinetto e ottavino descrive il sorgere della luna nella terza canzone “Loosin yelav” mentre con la quarta, “Rossignolet du bois”, ci spostiamo in Provenza dove un usignolo, prima accompagnato dal clarinetto e poi dall’arpa e dai crotali, consiglia ad un amante di cantare le sue serenate «Deux heures après minuit». Subito attacca con tutti gli strumenti “A la femminisca”, un vecchio canto siciliano delle donne che aspettano i mariti pescatori. Il sesto e il settimo pezzo furono scritti da Berio nel 1947, quando era al Conservatorio di Milano, per voce e pianoforte, come parte delle sue Tre canzoni popolari. “La donna ideale “ è in dialetto genovese e “Ballo” un antico testo italiano che afferma «Più folle è quello che più s’innamora», entrambi con un accompagnamento strumentale molto complesso. “Motettu de tristura”, l’ottavo pezzo, è invece sardo e anche lui interroga l’usignolo (u passirilanti) su questioni d’amore. Qui le volatine dell’ottavino si distendono sul fondo scuro di viola e violoncello nel registro grave. La lingua occitana è quella dei due successivi. “Malurous qu’o uno fenno” dove la voce, accompagnata dal flauto, canta dell’eterno paradosso coniugale: colui che non ha consorte la cerca, mentre chi ce l’ha vorrebbe non averla; mentre ne “Lo Fïolairé” una ragazza al filatoio canta il suo scambio di baci con un pastore, il tutto commentato da viola e violoncello. Fu la Berberian a scoprire l’ultimo pezzo, una canzone dell’Azerbaijan, “Qalalıyam”, ascoltata su un vecchio disco. La Berberian cantò a memoria i suoni che riuscì a trascrivere da quei solchi rovinati non conoscendo nemmeno una parola della lingua azera. Il tono è ironico e l’accompagnamento saltellante.
Nel 1973 il ciclo fu riarrangiato da Berio stesso per grande orchestra, la versione che si ascolta questa sera. Diciamo subito che è preferibile la versione originale per complesso da camera: il peso orchestrale è talora eccessivo e dà ai songs un tono sinfonico che non è loro proprio. Ma qui conta molto l’interprete, il mezzosoprano lituano Justina Gringytė, dal bel timbro drammatico e dal forte accento slavo che con voce troppo impostata e dizione tutt’altro che cristallina non riesce a ottenere quel magico equilibrio tra musica folk e musica colta che la Berberian, l’interprete dalle «mille voci», o anche altre cantanti sono riuscite invece a raggiungere. Né riesce a far distinguere l’una dall’altra la babele di lingue in cui sono scritti questi mirabili pezzi, più preoccupata a esprimere con i gesti che con la voce le differenti atmosfere.
Eseguita due stagioni fa da James Conlon – erroneamente il programma di sala indica nel 2013 l’ultima esecuzione RAI – la Sinfonia n° 4 di Dmitrij Šostakovič è ora letta dal direttore principale con piglio gagliardo e grande partecipazione. La frammentarietà del lavoro è messa in evidenza dalla sua esecuzione, che esalta il contrasto tra i momenti “mahleriani” e rarefatti e gl’immani cluster che raggiungono livelli sonori al limite della sopportazione acustica: forse, invece dei decibel un suono più secco e livido, meno rotondo e aperto, avrebbe portato a risultati più convincenti in termini di drammaticità. Il lavoro si dimostra comunque come sempre un eccellente banco di prova per la professionalità dei maestri dell’orchestra che ottengono meritati applausi.
⸪