foto © Luigi de Palma
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da Henrik Ibsen, Il costruttore Solness
Regia di Kriszta Székely
Torino, Teatro Carignano, 27 maggio 2025
Ascesa e rovina di un costruttore d’anime
Bygmester Solness (Il maestro costruttore Solness, 1892) è uno dei lavori più significativi di Henrik Ibsen, con evidenti elementi autobiografici: la relazione tra il maturo Halvard Solness e la giovane Hilda Wangel riprendeva quella tra il drammaturgo norvegese e la diciottenne Emilie Bardach conosciuta durante una vacanza. Nel personaggio di Solness, poi, Ibsen fa un parallelo con la sua situazione di “maestro drammaturgo” e le conseguenze sulla sua vita. Il finale tragico della vicenda è invece tratto dalla storia dell’architetto della chiesa di San Michele, a Monaco, che si era gettato dalla torre appena terminata. Ibsen prese questa storia come prova che un uomo non possa raggiungere il successo senza pagarne un prezzo.
Halvard Solness, costruttore di mezza età, è diventato un architetto affermato. Ha uno studio dove lavorano l’ex architetto Knut Brovik, suo figlio Ragnar, di cui Solness ostacola le ambizioni, e Kaia, la sua assistente. Solness ha un matrimonio difficile con Aline, segnato dalla perdita dei figli. Un giorno riceve la visita di Hilda Wangel, una giovane che sostiene di averlo conosciuto dieci anni prima, quando lui le fece promesse romantiche. Solness la accoglie in casa. Hilda lo sprona a superare la sua paura delle altezze: durante l’inaugurazione di una torre, Solness cade e muore. Hilda lo acclama come suo “Maestro Costruttore”.
La regista ungherese Kriszta Székely ritorna ancora una volta a Ibsen di cui aveva messo in scena Casa di bambola e Hedda Gabler. L’adattamento di Ármin Szabó-Székely fa del Solness una vicenda immersa nella contemporaneità, dove si dibattono temi quali lo scontro generazionale, il maschilismo e la misoginia, la nostalgia per il passato, il venir meno della forza fisica nell’inesorabile scorrere degli anni e il desiderio di una nuova occasione di felicità. Il tutto inserito nella riflessione sul rapporto fra creazione artistica e vita reale.
Con le scene di Botond Devich entriamo in un ambiente minimale: una piattaforma isola gli attori che entrano dai lati dopo aver cambiato costume a vista. Un tavolo con sedie per lo studio dell’archistar a sinistra, un grande modello illuminato di una villa in stile moderno a destra. Le luci di Pasquale Mari e i costumi di Ildi Tihanyi connotano l’essenzialità della ricostruzione contemporanea. Tutto è affidato alla recitazione, strabordante ma efficacissima quella di Valerio Binasco che delinea un arrogante e antipatico Halvard Solness di cui scopriamo poco per volta le debolezze, le paure, i risentimenti; Mariangela Granelli è la dolente moglie torturata dai rimorsi e prigioniera di un passato segnato dal dolore; Alice Fazzi è la giovane Hilde Wange che spunta dal nulla dopo dieci anni a riscuotere quanto promessole quando aveva quattordici anni; Marcello Spinetta è il giovane Ragnar Brovik incapace di emanciparsi cercando una sua strada per affermarsi nella professione; Lisa Lendaro la devota Kaja Fosli innamorata del suo datore di lavoro; Simone Luglio è il dottor Herdal, psicanalista – Sigmund Freud stava sviluppando le sue teorie dell’inconscio ai tempi della scrittura del testo.
Invenzione della regista è l’aver fatto diventare una donna Knut Brovik, il vecchio architetto alla cui ombra si è formato Solness e ora alle sue dipendenze, un’occasione per ammirare l’esperienza recitativa di Laura Curino. In questa rete di relazioni centrate sul protagonista e messe a nudo dalla regista che sottolinea la loro natura irrisolta con un linguaggio teso e intensi silenzi, sono tutti eccellenti, ma è nella relazione tra Solness e Hilda che gli interpreti fanno scintille e bisogna ammettere che la giovane attrice riesce a tenere magnificamente testa alla performance mattatoriale del maturo Binasco.
La restituzione alla nostra contemporaneità del testo di Ibsen ha il risultato di catturare il pubblico che risponde con copiosi applausi. Lo spettacolo, che chiude la stagione del Teatro Stabile di Torino, rimane in scena fino all’8 giugno.
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