Wozzeck

Alban Berg, Wozzeck

Mosca, Bol’šoj Teatr, 24 novembre 2010

★★★★☆

(registrazione video)

Due russi per un Wozzeck revisited

Dopo il 1927 a Pietroburgo, il Wozzeck di Alban Berg non è mai stato presentato in Russia. Arriva al Bol’šoj nel 2010 per la prima volta grazie a una produzione di Dmitrij Černjakov. Una trasposizione audace, con cui il regista russo ha voluto «mettere in luce i dolori nascosti di un uomo di fine Novecento che vive in una megalopoli». Infatti, Wozzeck non è un soldato, non è un emarginato, non è un rappresentante della classe oppressa: è uno dei tanti abitanti di una grande città.

Come gli altri milioni di abitanti ha una vita di routine e i suoi sentimenti sono “ibernati” o meglio trasferiti in una realtà virtuale, un gioco di ruoli. Nei video game si rifugia invece il figlio, anche dopo la morte della madre. Ed è con il cadavere della moglie che Wozzeck finalmente riesce a parlare, dopo essere sempre stato incapace di comunicare con lei. Cosa che avviene anche per gli altri nuclei famigliari – una coppia e un/a bambino/a – che vediamo rappresentati contemporaneamente in una scacchiera di dodici stanze molto simili le une alle altre nella scenografia dello stesso Černjakov. Mondi paralleli, mondi di solitudini. Solo un ambiente prende tutta la scena nella sua larghezza: il bar in cui si svolge la vita “sociale”,  il luogo dove si incontrano le solitudini. Dove va anche Marie per sfuggire alla sua.

Tutti sono simili, anche Il dottore e Il capitano, che qui diventano “Il dottore” e “Il capitano”, i personaggi che si sono scelti in un gioco di ruoli per sfogare le loro pulsioni inespresse, il loro lato folle. Ma anche la loro solitudine. La prima scena è ambientata nella stanza del “Capitano”: i due si vestono in uniforme militare (Wozzeck ha persino una palla al piede), ma è chiaramente una recita. Sono alla ricerca di sensazioni per ravvivare la monotonia. Simile è la scena con il “Dottore”.

Anche la scena dell’assassinio di Marie è un role-play dove lui è il giudice e lei l’accusata, bendata e in piedi su una sedia. Lui le evidenzia col rossetto le labbra – «Was dafür süße Lippen hast, Marie!» (Che labbra dolci hai Marie!), le dice prima di ammazzarla, «Den Himmel gäb’ ich drum und die Seligkeit, wenn ich dich noch oft so küssen dürft! Aber ich kann nicht!» (Darei il cielo e ogni beatitudine se potessi baciarti ancora spesso così! Ma non posso!) – costringendola a indossare il vistoso abito che lei aveva al bar per adescare il Tamburmaggiore. Alla fine Wozzeck non si uccide, tanto è già morto dentro. Vivere così è una punizione peggiore della morte.

Prima di questo Wozzeck Černjakov e Currentzis avevano già lavorato insieme nel Macbeth di Verdi che Mortier aveva voluto fortemente a Parigi. La direzione di Teodor Currentzis mette in luce con chiarezza la struttura musicale voluta da Berg per le quindici scene in cui è divisa la vicenda: cinque pezzi caratteristici per il primo atto (suite [preludio, pavana, giga, gavotta e aria], rapsodia, marcia militare e ninna nanna, passacaglia [ventuno variazioni su un’unica serie] e rondò); una sinfonia in cinque movimenti per il secondo atto (allegro in forma sonata, fantasia e fuga su tre temi [i tre personaggi di Wozzeck, Marie e il bambino], largo in forma di canzone, scherzo, rondò marziale); cinque invenzioni musicali per il terzo (su un tema con sette variazioni e una fuga, sulla nota si, su un ritmo, su un accordo di sei note nella tonalità di re minore, su un movimento regolare di crome). Anche così però, o forse proprio grazie a questa lucida lettura, il dramma diventa più teso, l’emotività più scoperta, stranianti i momenti di musica volgare, da pelle d’oca il crescendo con cui si apre la scena terza dell’ultimo atto. Nello stesso tempo però Currentzis esalta il carattere sinfonico degli interludi orchestrali dove spesso si ascoltano alcuni momenti chiaramente mahleriani. I musicisti dell’orchestra del teatro che non hanno mai suonato quest’opera di Berg si rivelano comunque estremamente duttili nei diversi ensemble previsti dal compositore: la grande orchestra, la banda militare, l’orchestrina da taverna sulla scena, l’orchestra da camera.

Il baritono austriaco Georg Nigl porta sulla scena un Wozzeck fortemente disturbato e molto espressivo, sottolineando la sua incapacità di esprimersi stringendo le mani sul viso e spalancando la bocca come ne Il grido di Munch. I suoi movimenti quasi da automa diventano parossistici quando è ubriaco, altrimenti le sue azioni sono sempre molto contenute. Magnifica la Marie del soprano americano Mardi Byers, bellissima voce lirica e un’interpretazione di grande intensità ma insieme anche liricità. Efficacemente tratteggiati sono gli altri personaggi affidati a interpreti per lo più russi: il Capitano di Maxim Paster, il Dottore di Pëtr Migunov, il Tamburmaggiore di Roman Muravitskij, l’Andres di Roman Šulakov e la Margret di Xenia Vyaznikova.