Mese: settembre 2025

Zaide oder der Weg des Lichts

foto © Marco Borrelli

Zaide oder der Weg des Lichts (Zaide o la via della luce)

Salisburgo, Felsenreitschule, 17 agosto 2025

★★★★★

(video streaming)

Un altro pasticcio a Salisburgo: l’arte di ricominciare dall’incompiuto

Al Festival di Salisburgo Raphaël Pichon rielabora Zaide di Mozart in un pastiche che unisce brani da Davide penitente, Thamos e altri lavori. In scena l’Ensemble e il Coro Pygmalion animano una riflessione contemporanea su libertà e memoria. Sobria regia e interpreti eccellenti, con Sabine Devieilhe e Julian Prégardien protagonisti di rara intensità.

Questa volta utilizza la musica di Mozart il secondo pastiche che il Festival di Salisburgo propone al suo pubblico: dopo quello di Vivaldi viene rappresentata in forma semi-scenica una riscrittura di Zaide, il Singspiel incompiuto del 1780, ai cui numeri sono aggiunti brani tratti dall’oratorio Davide penitente, dalle musiche per Thamos, re d’Egitto e da altri pezzi vocali e strumentali degli anni 1779-1785, oltre a una registrazione dello spettrale Adagio in Do per glassharmonica del 1791, l’ultimo anno di vita di Mozart, con cui inizia e si conclude lo spettacolo (1).

Quello che viene fuori, nelle intenzioni di Raphaël Pichon, direttore e autore della concezione, è visivamente vicino a One Morning Turns into Eternity messo in scena da Peter Sellars nella stessa location, la Felsenreitschule: lo stesso sterminato palcoscenico qui ancora più vuoto perché non c’è alcuna struttura scenografica, solo il gioco di luci e ombre di Bertrand Couderc e i sobri movimenti coreografici di Evelin Facchini. Sul palcoscenico a sinistra l’Ensemble Pygmalion, a destra il coro omonimo e l’“azione”, con i solisti che talora appaiono tra le arcate scolpite nella roccia, come il Tiranno Solimano per la sua aria “Der stolze Löw” o Zaide, dietro a una stilizzata glasharmonica che a un certo punto cadrà a terra.

Nella drammaturgia di Eddy Garaudel basata sul testo di Wajdi Mouawad, la figlia di Zaide, Persada, torna nella prigione, ora trasformata in museo, alla ricerca di notizie su sua madre.

Prologo
Persada, una giovane donna, visita i resti di un’ex prigione ora diventata museo. Lì incontra un uomo che sembra essere lì da secoli. È l’uomo che sta cercando: Allazim, il guardiano di questo luogo della memoria. Persada è alla ricerca di tracce di sua madre, che non ha mai conosciuto: Zaide, chiamata anche “la donna che canta”, che un tempo era rinchiusa in una delle celle del luogo. L’unico indizio che Persada possiede. Questo viaggio attraverso lo spazio e il tempo è un ultimo disperato tentativo di scoprire la verità e guarire la ferita della sua storia familiare. Su insistenza della ragazza, Allazim raccoglie i suoi ricordi. Evoca un tempo non così lontano dal nostro, quando questo luogo era una tetra prigione politica in cui molti sogni andarono in frantumi.
Atto primo
Allora. L’arrivo di Zaide è un barlume di speranza per i prigionieri, uomini e donne distrutti da anni di prigionia. Ben presto Zaide viene soprannominata “la donna che canta”, perché è l’unica che riesce a tenere la testa alta di fronte alle umiliazioni quotidiane inflitte dal tiranno Soliman e rispondere al suo scagnozzo Allazim. I prigionieri si aggrappano al loro canto come a un’ancora di salvezza; è un conforto gradito dopo giorni di privazioni e reclusione. Zaide ama un altro prigioniero, Gomatz, ma vengono separati con la forza. Il loro amore sembra quasi ridicolo in questo luogo desolato, ma è autentico e conferisce loro una forza inaspettata. Un giorno Allazim si accorge che Zaide è incinta. È profondamente sconvolto da questa notizia. L’idea che il bambino nasca in quella terribile prigione e che il tiranno Soliman possa usarlo per torturare Zaide e Gomatz in modo ancora più crudele lo indigna. I bambini non devono pagare per i crimini dei loro genitori. Questa scoperta ha l’effetto di una scossa elettrica su Allazim. Decide di rischiare la vita per salvare i prigionieri e prepara la loro fuga.
Atto secondo
Incoraggiati dalla prospettiva di una felicità imminente, i prigionieri preparano la fuga con l’aiuto di Allazim. Ma il destino ha deciso diversamente e, proprio mentre stanno per salpare dalla riva, scoppia una tempesta che riporta la barca verso le gelide mura della prigione. Soliman esulta, invoca morte e vendetta e gli amanti vengono condannati a morte. Con un ultimo grido di disperazione, Zaide dà alla luce sua figlia, la bambina che crescerà con il nome di Persada. Dopo l’esecuzione dei due prigionieri, tutti sono presi dal panico. Come si è potuto permettere tutto questo? Fino a dove si spingerà l’orrore? Allazim si oppone a Soliman e lo supplica di risparmiare la neonata. Soliman, paralizzato dalla follia della sua arroganza e delle sue decisioni, acconsente.
Epilogo
Allazim conclude il suo racconto. Come sfuggire a ciò che ci distrugge? Persada, che ha appena scoperto la verità sulle sue origini, decide di rompere il circolo vizioso della vendetta, di perdonare e di cercare, se ancora possibile, di costruire un futuro diverso.

Zaide, ovvero: quando un’opera incompiuta del giovane Mozart si trasforma in uno specchio lucidissimo del nostro tempo, grazie a un’operazione di teatro musicale che ha la grazia dell’intelligenza e il coraggio della libertà. «Una Zaide dei nostri tempi», la chiama Raphaël Pichon, anima e demiurgo del progetto. E già questo basterebbe a far drizzare le orecchie: non la solita riesumazione da archeologi della partitura, ma un gesto teatrale che prende Mozart sul serio. Talmente sul serio da osare guardarlo negli occhi, invece di imbalsamarlo in teche filologiche.

L’idea, infatti, non è quella di completare Zaide come se si fosse Mozart (mission impossible, oltre che un tantino presuntuosa), ma di compiere un petit pas de côté, un piccolo passo laterale, e riscriverne il libretto restando fedeli non alla lettera ma allo spirito. Lo spirito, appunto, di un’epoca che sognava l’Illuminismo e si trovava davanti al dispotismo. Di un’eroina che canta per resistere e di un amore che sfida la tirannia. E dunque, ecco Zaide o La via della luce, metafora neanche troppo velata di un’umanità che ha perso la strada e prova a ritrovarla. Attraverso la memoria, il dolore, la speranza.

Il personaggio nuovo, Persada, non è un orpello moderno incollato per far scena. È il nostro tramite, la nostra lente: deve conoscere il proprio passato per poterlo accettare. Nel frattempo, il coro – magnificamente integrato scenicamente – diventa uno specchio frantumato, riflesso di un’umanità in pezzi. Ma in mezzo a questi cocci resta una voce, quella di Zaide, “la donna che canta”: simbolo radioso di resistenza, bellezza, e testardaggine emotiva.

Ma veniamo alla musica – che è poi quello che conta, sempre. Il tessuto sonoro è un patchwork mozartiano di altissimo artigianato. Si prendono 11 dei 15 numeri superstiti di Zaide e li si intrecciano con sette brani della Messa in do minore K. 427 (che per inciso è diventata Davide penitente), più un cameo del Misericordias Domini K. 222. Sì, il testo è in tedesco, italiano e latino: trilinguismo che potrebbe spaventare, ma che in realtà dà respiro, stratifica il discorso, amplia lo spettro.

Pichon, con il suo sempre eccellente Ensemble Pygmalion, fa un lavoro di ricamo sonoro di rara coerenza: tutto, dalle cuciture barocche agli sbuffi classici, torna perfettamente. E il coro, ripetiamolo, è protagonista: canta benissimo e recita altrettanto bene. Già questo sarebbe un miracolo.

Sul fronte solisti, una cinquina di livello olimpico. Lea Desandre (Persada) è pura intensità incarnata; Johannes Martin Kränzle dà ad Allazim il peso giusto, senza sbavature. Daniel Behle riesce persino a farci empatizzare con il tiranno Soliman (e questo è già teatro, non solo canto). Ma i fuochi d’artificio veri arrivano da Sabine Devieilhe (Zaide) e Julian Prégardien (Gomatz): lei, un miracolo di luce e dolcezza in “Ruhe sanft” – una delle più belle arie scritte da Mozart, punto –; lui, tutto bellezza timbrica e fraseggio innamorato. Perfetti.

E infine, una domanda – un po’ provocatoria, ma necessaria: e se il futuro dell’opera fosse… non nell’opera? Se il teatro musicale del XXI secolo passasse da queste operazioni ibride, rigeneranti, che rimettono in circolo il passato per raccontare il presente? Dopo Bastarda su Donizetti, dopo le reinvenzioni su Verdi de La Monnaie di Bruxelles, ecco che anche Mozart diventa materia viva da plasmare, non santino da incensare. Forse l’opera è davvero uscita dal museo. E forse, finalmente, ha ricominciato a vivere.

(1) Ecco la struttura musicale:
Prologo
Adagio in Do per glassharmonica KV 356 (ora KV 617a)
“Ma tu sì fiero scempio” (Persada) recitativo dall’aria per concerto Ah, lo previdi KV 272
Atto primo
Scena I
“Alzai le flebil voci al Signor” (Coro, Zaide) coro da Davide penitente KV 469/1
Scena II
“Brüder, lasst uns lustig sein” (Allazim) coro da Zaide KV 344/1
“Im Garten der Unschuld” (Allazim) melologo da Zaide KV 344/9
“Der stolze Löw” (Soliman) aria da Zaide KV 344/9
Scena III
“Sii pur sempre benigno” (Coro) coro da Davide penitente KV 469/4
“Sorgi, o Signore” (Zaide, Persada) duetto da Davide penitente KV 469/5
Scena IV
“Ein einziges Glühwürmchen reicht aus” (Allazim) melologo da Zaide KV 344/2
“Ruhe sanft, mein holdes Leben” (Zaide) aria da Zaide KV 344/3
“Einsam bin ich, meine Liebe” (Gomatz) Lied KV Anh. 26
“Nascoso è il mio sol” (Zaide, Persada, Gomatz, Soliman) Canone KV 557
Scena V
“Nicht alle Wahrheiten sind gut zu wissen” (Allazim) melologo da Zaide KV 344/2
“Meine Seele hüpft vor Freuden” (Zaide, Gomatz) duetto da Zaide KV 344/5
“Chi in Dio sol spera” (Zaide, Persada, Gomatz, Coro) coro da Davide penitente KV 469/10
Atto secondo
Scena I
“Misero! O sogno” (Soliman) recitativo dall’aria per concerto Aura che intorno spiri KV 431
“In Mächtigen seht ungerührt” (Allazim) aria da Zaide KV 344/14
“A te fra tanti affanni! (Soliman) aria da Davide penitente KV 469/6
Scena II
“O selige Wonne” (Zaide, Gomatz, Allazim) terzetto da Zaide KV 344/8
“Misericordias Domini” (Coro) Offertorium KV 222
Scena III
Allegro molto da Thamos, König in Ägypten KV 345/7a
“Tiger! wetze nur die Klauen” (Zaide) aria da Zaide KV 344/13
“Se vuoi, puniscimi” (Coro) da Davide penitente KV 469/7
“Freundin! stille deine Tränen” (Gomatz, Allazim, Soliman, Zaide) quartetto da Zaide KV 344/15
“Trostlos schluchzet Philomele” (Gomatz, Zaide) aria da Zaide KV 344/12
Epilogo
“Tra l’oscure ombre funeste” (Persada) aria da Davide penitente KV 469/8
Adagio in Do per glassharmonica KV 356 (ora KV 617a)

Ottavio plus

Henry Purcell
“If music be the food of love” Z 379a
“Music for a while” da Œdipus, King of Thebes Z 583
Suite n° 2 in sol Z 661 (Prelude – [Almand] – Corant – Saraband – [Jig ZD 233])
Suite n° 7 in re Z 668 (Almand – Corant – Hornpipe)
“Fairest isle” da King Arthur or the British Worthy Z 628
“Sweeter than roses” da Pausanias, the betrayer of his country Z 585
“Now that the Sun hath veil’d his light” Z193 da Harmonia sacra or Divine hymns and dialogues
“What power art thou” (“Cold Song”) da King Arthur or the British Worthy Z 628

Georg Friedrich Händel
“Nel dolce tempo” Cantata für Alt e basso continuo HWV 135b
Suite n° 5 in Mi HWV 430 (Prélude – Allemande – Courante – Air double 1-5)
“Vedendo amor” Cantata für Alt e basso continuo HWV 175

Andreas Scholl controtenore, Ottavio Dantone clavicembalo

Innsbruck, Haus der Musik, 30 agosto 2025

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Il glorioso Settecento inglese con Scholl e Dantone

Due compositori inglesi, i più grandi dell’epoca barocca, per l’ultimo concerto delle Settimane di Musica Antica di Innsbruck. Uno, Henry Purcell, nato a Londra nel 1695, l’altro nato dieci anni prima a Halle, ma cittadino britannico dal 1727 quando Georg Friedrich Händel (Germania) diventa George Frideric Handel.

Sulla pedana, un po’ scricchiolante, piazzata nella sontuosa Spanischer Saal di Schloss Ambras, prendono posto al clavicembalo Ottavio Dantone, il direttore musicale del festival, e Andreas Scholl, storica voce di controtenore. Due sommi specialisti del repertorio settecentesco che per la seconda volta si mettono insieme per una serata di musica da camera alla vigilia della finale del Concorso Cesti.

La prima parte è dedicata a Purcell di cui si ascolta il song “If music be the food of love” su una poesia di Henry Heveningham basata su un verso di Shakespeare: le gioie dell’amore della musica sono espresse con la tenera melodia di un arioso che segue un breve recitativo. Tratto invece dalle musiche per Œdipus, King of Thebes è invece “Music for a while”, un song su versi di John Dryden dove si celebra il potere lenitivo della musica: «Music for a while shall all your cares beguile» (La musica per un po’ ti distoglierà da tutte le tue preoccupazioni) e il timbro soave di Scholl e l’accompagnamento prezioso dello strumento di Dantone fanno di tutto per confermare l’affermazione. Ancora di Dryden è “Fairest isle”, tratto dalla semi-opera King Arthur dove viene cantata dalla dea Venere in lode dell’isola inglese. Qui è il controtenore a dipanare una linea di canto di grande bellezza. Famoso è il seguente “Sweeter than roses” su versi d Richard Norton e tratto dalle musiche per Pausanias, the betrayer of his country, una delicata melodia per le parole «Sweeter than roses, or cool evening breeze | On a warm flowery shore, was the dear kiss» (Più dolce delle rose o della fresca brezza serale su una calda spiaggia fiorita, fu il caro bacio). Su un livello spirituale è invece “Now that the Sun hath veil’d his light”, un ‘evening hymn’ del vescovo William Fuller, un cullante invito a pregare durante le ore del riposo.

La Suite n° 2 in sol del 1696 e la Suite n° 7 in re sono i brani strumentali scelti da Dantone per far riposare la voce di Scholl. I quattro movimenti della n° 2 mettono in luce la maestria dell’esecutore, che sottolinea il carattere malinconico del secondo tempo (Almand) per poi lasciarsi andare al ritmo di danza del quarto (Saraband) con un fluido gioco di note.

L’ultimo pezzo della prima parte è il celeberrimo “Cold song” («What power art thou»), ancora da King Arthur, dove il cantante rende con virtuosismo il tremore e i balbettamenti del Genio del freddo risvegliato da Cupido.

Morto a soli 36 anni, Purcell ha lasciato libero il campo musicale inglese a Händel, di cui nella seconda parte si ascolta la Suite n° 5 in Mi HWV 430. Formidabile esecutore alla tastiera lui stesso, Händel aveva sfidato Scarlatti in una gara di virtuosismo quand’era a Roma in casa del cardinale Ottoboni e il risultato fu pari: l’italiano vinse al cembalo, il sassone all’organo. La raccolta delle otto “pièces pour le clavecin” fu stampata a Londra nel 1720 e quella in Mi è in cinque movimenti che sembrano voler condensare lo spirito musicale del tempo: dopo il breve Prélude, la precisa Allemande e la pimpante Courante, il quarto movimento è costituito da un Air in 5 variazioni su un tema detto “the harmonious blacksmith” (il fabbro armonioso) che ebbe molto successo come pezzo a sé nell’Ottocento e di cui Dantone rende con gusto e tecnica formidabili il sorprendente crescendo delle variazioni, fino ad arrivare al parossismo della quinta con quelle rapidissime volate di biscrome. Una performance che ha entusiasmato il pubblico.

Nelle vesti di accompagnatore di lusso, il direttore si è nuovamente affiancato al cantante in due cantate composte da Händel in Italia negli anni 1707-08: la prima, Nel dolce tempo HVW 135b, a Napoli; la seconda a Roma, Vedendo amor HVW 175. Ancor più che in Purcell qui Scholl dimostra la sua raffinatissima tecnica esecutiva, dove il gioco dei fiati, i trilli tenuti all’infinito, i passaggi di registro sono finalizzati a un’espressività raffinata. Sorprendente soprattutto la seconda cantata dove quattro recitativi sono intercalati da tre arie di cui una, «Camminando lei pian piano», risveglia precise reminiscenze nell’ascoltatore: si tratta infatti della prima redazione di un’aria che diventerà una delle più famose del Giulio Cesare in Egitto: «Va tacito e nascosto». Ed è proprio questo fuori programma offerto dal cantante alla fine di questo memorabile concerto.

Così si conclude l’edizione 2025 delle Festwochen der alten Musik che l’anno prossimo arriveranno al traguardo dei 50 anni.

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