Benedetto Pamphilj

Il trionfo del Tempo e del Disinganno

Georg Friedrich Händel, Il trionfo del Tempo e del Disinganno

Baden-Baden, Festspielhaus, 8 aprile 2023

(video streaming)

Magnifica esecuzione della giovanile cantata di Händel

Il contesto de Il trionfo del Tempo e del Disinganno è quello delle “cantate morali” di vecchia tradizione italiana e dei Trionfi del Petrarca, dove il dramma non riguarda tanto la storia narrata o la trama dei quattro personaggi o le allegorie, ma il conflitto tra forze contrastanti. La tesi è: la giovane “bella” deve darsi completamente al “piacere” o, ammonita dal “tempo” e dal “disincanto” (ossia la verità), riflettere precocemente sulla sua caducità e sui veri valori? La risposta del cardinale Benedetto Pamphilj, autore del libretto, è facilmente prevedibile. A Roma il compositore deve farsi conoscere anche come suonatore d’organo ed ecco allora la bellissima parte obbligata per questo strumento che troviamo anche nel suo coevo Salve Regina e poi nel futuro Saul.

Dopo essere stato adattato talora a rappresentazione scenica, qui alla Festspielhaus di Baden-Baden viene eseguito nella forma oratoriale originale e  nella bella ripresa video si possono gustare con maggior agio le preziosità orchestrali della partitura con gli strumenti in primo piano anche visivamente.

E che fiore di strumentisti! Sono quelli dei Berliner Philharmoniker e con loro Emmanuelle Haïm si può permettere tempi rapidissimi, uno scatto dinamico precisissimo sia nel quartetto della seconda parte sia nell’aria «Come nembo che fugge dal vento», anche perché ha a disposizione quattro interpreti vocali di eccezione. Haïm conosce alla perfezione la partitura avendola eseguita già molte altre volte e la fiducia accordata ai musicisti conduce a una lettura travolgente: fin dalla “sonata del ouvertura” tripartita, gli attacchi, il particolare suono, il colore, il fraseggio fanno sembrare specialista da sempre di questo stile una compagine che conosciamo per le mirabili esecuzioni delle sinfonie di Beethoven, Bruckner, Mahler. In piedi o seduta al clavicembalo, la sua mano sicura è sempre presente e riconoscibile nella scelta ottimale delle dinamiche e dei volumi sonori, con un perfetto dosaggio dei pianissimi e dei fortissimi. Quasi un concerto per diversi strumenti, i solisti hanno modo di brillare in interventi virtuosistici: il violinista Daishin Kashimoto, il violoncellista Martin Löhr, l’oboe di Jonathan Kelly hanno a turno il loro momento di gloria. 

La Bellezza inizia e chiude la cantata da quando si affida al «fido specchio, in te vagheggio | lo splendor degl’anni miei» a quando inizialmente giura fedeltà al Piacere, ma conosce già il potere del Tempo che assieme alla Verità fa facilmente breccia con i riferimenti al ciclo della vita e al contenuto delle tombe. La Bellezza allora rifiuta presto gli inganni del Piacere, se ne separa e si converte alla conoscenza delle verità celesti, dove le lacrime dei giusti diventano perle e decide quindi di cambiare vita: «Tu del Ciel ministro eletto | non vedrai più nel mio petto | voglia infida, o vano ardor. | E se vissi ingrata a Dio, | tu custode del cor mio |a lui porto il nuovo cor». La transizione è resa con abilità da Elsa Benoit: inizialmente seducente, svagatamente civettuola, inizia a esitare nell’aria «Una schiera di piaceri» quando teme che «del Tempo i morsi alteri | san rapir la mia beltà» e il tono allora si fa più cauto, l’atteggiamento più pensieroso, ma intatta rimane la fluidità di emissione e il fraseggio elegante del soprano francese.

Di Julija Ležneva si conoscono bene le straordinarie doti di agilità, qui ampiamente dimostrate nelle arie di Piacere, dalla suadente «Lascia la spina, cogli la rosa» alla pirotecnica e vertiginosa «Come nembo che fugge dal vento» – entrambi esempi di autoimprestiti che Händel riprende in opere successive: la prima diventa «Lascia ch’io pianga mia cruda sorte», l’aria di Almirena nel Rinaldo, ma anche «Pena tiranna io sento al core» nell’Amadigi di Gaula, l’aria di Dardano del secondo atto; la seconda confluisce nell’Agrippina sulla bocca di Nerone nell’atto terzo. Il perfetto controllo vocale del soprano russo le permette di affrontare con sfrontata sicurezza le impervie colorature del suo ruolo.

La voce tenorile di Anicio Zorzi Giustiniani dà corpo alla figura del Tempo con autorevolezza, ma è il Disinganno di Carlo Vistoli a stupire per la bellezza della linea di canto e del timbro, così lontano da quello che ci si aspetta da un controtenore, con una naturalezza e un gusto per la parola che non hanno quasi confronto. La dolcezza di emissione, i colori e l’intensità espressiva fanno di «Più non cura valle oscura» e di «Chi fu già del biondo crine» due momenti di magico trasporto e  indicibile bellezza.

Il trionfo del Tempo e del Disinganno

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Georg Friedrich Händel, Il trionfo del Tempo e del Disinganno

Aix-en-Provence, Théâtre de l’Archevêché, 4 luglio 2016

★★★★☆

(live streaming)

«Dunque si prendan l’armi e si vedrà quali più forza avranno: il Piacer, la Bellezza, il Tempo o il Disinganno…»

Sulla sonata introduttiva immagini di giovani che si dimenano ballando, si scambiano pastiglie di ecstasy, finiscono in ospedale o addirittura muoiono, danno subito il tono di quello che Krzysztof Warlikowski vuole dirci mettendo in scena questo oratorio di Händel. Assieme alla drammaturgia di Christian Longchamp ci racconta che Bellezza è una ragazza che «just wants to have fun» e in discoteca incontra e si innamora di un ragazzo, quello che morirà al pronto soccorso. Appoggiata al tronco di un albero, il trucco sfatto, i capelli alla Amy Winehouse, giubbotto di pelle sulla sottoveste, Bellezza canta «Fido specchio in te vagheggio | lo splendor degl’anni miei […] sempre bella io non sarò». Lo specchio è quello di un portacipria e siamo nel giardinetto di una clinica per il recupero dei drogati. Piacere è il fratello un po’ trucido e anche pusher, mentre Tempo e Disinganno sono i genitori che sfiniscono i figli ripetendo che la stagione della giovinezza non durerà per sempre e che l’anima vale più del corpo eccetera eccetera. Il contrasto generazionale è quello che vivono tutte le famiglie ed è ben espresso dal convulso quartetto della seconda parte, intonato come una discussione nervosa a tavola:

Bellezza Voglio Tempo per risolvere…
Tempo Teco è il Tempo…
Disinganno ed il Consiglio…
Piacere ma il Consiglio è il tuo dolor.
Tempo Pria ch’io ti converta in polvere, segui il ben…
Disinganno fuggi il periglio…
Piacere Tempo avrà per cangiar cor.

Alla fine la conversione della Bellezza non porta proprio all’esaltazione mistica prevista nel libretto («Tu del Ciel ministro eletto | non vedrai più nel mio petto | voglia infida, o vano ardor»), giacché la ragazza si taglia invece le vene con un frammento di quello specchio che aveva rotto.

Al termine della prima parte il regista proietta uno spezzone del film Ghost Dance (1983) di McMullen in cui il filosofo Jacques Derrida afferma che il cinema è l’arte che fa ritornare i fantasmi, forse quelli delle pallide donne che siedono sulle poltrone delle due gradinate da cinematografo che formano la scenografia dello spettacolo e che sembrano attendere l’arrivo di un coro, che in questa versione non c’è. In mezzo uno stretto ambiente di vetro in cui il ragazzo morto continua le sue contorsioni pelviche al ritmo della musica. Sulla parete di vetro si riflette (che sia un effetto voluto non si sa) l’immagine di Emmanuelle Haïm che dirige il Concert d’Astrée. L’inusuale formato del palco dell’Archevêché (largo più del doppio dell’altezza) sembra aver suggerito al regista una dimensione cinematografica che ritroviamo anche nei video proiettati in fondo alla scenografia della fidata Malgorzata Szczeniak.

Il testo de Il trionfo del Tempio e del Disinganno (il titolo originale era La Bellezza ravveduta nel trionfo del Tempo e del Disinganno) è del cardinale Benedetto Pamphilj. Vi è contrapposta la falsità dei piaceri terreni alla verità della vita eterna, una disputa morale che è quanto di meno sia rappresentabile essendo i personaggi figure allegoriche e non esistendo una vicenda. Eppure, già solo in Italia questo oratorio è stato messo in scena da Pizzi nel 2009 a Macerata e da Flimm alla Scala quest’anno, per non parlare di quello sconcertante di Bieito a Stoccarda nel 2011. Vero è che la musica di Händel ha in sé una tale teatralità che è diventata prassi comune allestire i suoi oratorii con scene e costumi.

Sono tre le versioni di questo suo primo oratorio con cui il giovane Händel si presenta al pubblico italiano:

  • Il trionfo del Tempo e del Disinganno HWV 46a, Roma 1708 (il titolo originale La Bellezza ravveduta nel trionfo del Tempo e del Disinganno fu modificato probabilmente dalla censura pontificia che vietava alle donne di calcare le scene romane);
  • Il trionfo del Tempo e della Verità HWV 46b, Londra 1737, con una sezione di dieci nuovi numeri;
  • The Triumph of Time and Truth HWV 71, Londra 1757, traduzione in inglese di Thomas Morell. Il compositore, debilitato dagli anni e quasi cieco, aggiunge poco di suo a questa ultima versione.

Un quartetto di interpreti eccezionali è tra gli atout dello spettacolo del Festival di Aix-en-Provence. Sara Mingardo riprende qui dopo Milano il ruolo di Disinganno e oltre alla sontuosità della voce si ammira qui per una volta la sua presenza scenica non sempre valorizzata dai registi. Michael Spyres porta nell’opera barocca la sua perizia belcantistica e non c’è difficoltà nel ruolo del Tempo che non venga risolta con facilità ed eleganza dal tenore americano. Peccato che gli sia stata tagliata una delle sue quattro arie. Nessuna sorpresa dal Piacere di Franco Fagioli (a Milano, ovviamente, il ruolo era un soprano en travesti) che non eccede in acrobazie vocali nelle sue arie, anzi, «Lascia la spina | cogli la rosa» (che sarà riutilizzata come l’aria di Almirena «Lascia ch’io pianga | mia crude sorte» nel Rinaldo del 1711) ha una sua severa compostezza qui. È in «Come nembo che fugge dal vento» che il controtenore argentino inanella i suoi prodigiosi virtuosismi.

Dei nomi dei quattro interpreti quello di Bellezza era il meno altisonante, ma Sabine Devieilhe si è rivelata un soprano sorprendente, dal timbro sottile, ma dagli acuti – e sopracuti – precisi e poderosi (sarà l’erede della Dessay?) e con una dolcezza d’emissione nel registro medio che ricorda Danielle de Niese. Perfetta la presenza scenica e sappiamo quanto richieda il regista polacco. Non una sorpresa, comunque, dopo la sua eccellente prova nel Mitridate parigino.

Intensa ma misurata la direzione di Emmanuelle Haïm che conosce bene la partitura avendola già registrata con Natalie Dessay, Sonia Prina, Ann Hallenberg e Pavol Breslik e in seguito con Sandrine Piau, Marie-Nicole Lemieux, Philippe Jaroussky, Topi Lehtipuu.

Dopo il Festival di Aix lo spettacolo sarà ripreso l’inverno prossimo a Lille e a Caen.

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